venerdì 12 ottobre 2012

Il gioco dell'ostrica



Il piacere sessuale è per l’anima ciò che la buona tavola è per lo stomaco.
Quest’associazione gustativa è il leitmotiv sotteso al pensiero e, soprattutto, allo stile di vita dei libertini del XVIII secolo che, in fatto di piaceri, non si facevano mancare nulla. Sesso e cibo: tutto doveva passare attraverso la bocca per soddisfare il corpo e lo spirito. Se possibile prima uno e poi l’altro, altrimenti e ben volentieri, contemporaneamente.
Primo tra tutti i famosi libertini dell’epoca è, naturalmente, Gian Giacomo Casanova. Veneziano, figlio di artisti, cresciuto con un innato istinto all’amore fisico, il giovane fa ben presto delle proprie esuberanti virtù un’arte. A tavola e a letto.
“Coltivare i piaceri dei sensi è stato in tutta la mia vita il mio primo impegno. Sentendomi nato per il sesso diverso dal mio, l’ho sempre amato, e me ne sono fatto amare quanto ho potuto. Ho anche amato con trasporto la buona tavola …” scrive Casanova nella prefazione del celebre “Histoire de ma vie.
Non disdegna alcun cibo, il baldanzoso rubacuori, così come non esita ad accompagnare i più squisiti piaceri del palato ai più viscerali amplessi carnali. E le sue amanti sembrano essere puntualmente deliziate, nonché appagate, da tale sposalizio dei sensi, profferto sempre con generosa abbondanza.
Alcune delle vicende più colorite, divenute leggendarie nella letteratura del libertinaggio settecentesco, riguarda il rapporto di Casanova con un particolare cibo, simbolicamente ineguagliabile nel linguaggio amoroso: l’ostrica. Bisogna premettere che già nel secolo precedente l’allusivo mollusco era considerato un potente afrodisiaco, in grado di surriscaldare l’ardore di Venere e inturgidire il vigore di Priapo. Ma è soprattutto nel Settecento che l’ostrica diventa il preludio gastronomico per eccellenza, il pretesto esplicito per bere ottimo vino, champagne, liquori e ben altro. Non è raro che durante gli orgiastici banchetti, gli invitati riescano a inghiottire anche centinaia di ostriche a malapena masticate, incoraggiati dall’effervescenza del vino profusamente offerto. E questo spesso non è che il ghiotto preambolo al pranzo o alla cena veri e propri.
In effetti, il mollusco pare rappresentare l’esatto opposto delle carni, sia nella concretezza sia nel simbolismo. Carni che puntualmente abbondano con ostentata opulenza sulle ricche tavole settecentesche. La leggerezza dell’ostrica compensa la pesantezza dei manzi; la trasparenza risplende sull’opacità dei maiali; l’effluvio d’oceano inonda i sentori di terra dei polli.
Leggerezza e delicatezza conciliano, dunque, anche gli ardori di Casanova predisponendo i sensi alla complicità più lasciva. Si narra, infatti, che l’audace libertino amasse ordinare un piatto di ostriche prima di andare a dormire, indipendentemente dai bagordi appena consumati. Lo fa ad Amsterdam, per esempio, per corroborarsi dopo una faticosa corsa in slitta sull’Amstel ghiacciato; confessa di averne mangiate trecento insieme a otto amici, una sera a Milano, ricordata non solo per l’abbuffata di conchiglie ma anche per i fiumi di ottimo champagne; e lo fa a Roma, in compagnia di due dame, Emilia e Armellina, gentilmente corrotte a ogni genere di eccesso.
L’ostrica, per Casanova, è come il bacio. La fusione del mollusco vivo con la bocca trasforma il boccone in una sorta di ostia profana. Diventa persino deliziosamente blasfema se si pensa, per esempio, alla relazione carnale che il giovane intreccia nel 1754 con un’enigmatica religiosa sedotta con voluttuose ostriche e poi posseduta, con suo compiaciuto consenso, in una petite maison veneziana. “Ci divertimmo – scrive il Casanova – a mangiare le ostriche scambiandole quando già le avevamo in bocca. Lei mi presentava sulla sua lingua la sua nello stesso istante in cui io le imboccavo la mia. Non esiste gioco più lascivo, più voluttuoso tra due innamorati. E’ anche comico e il comico non guasta poiché le risa son fatte soltanto per gli esseri felici.” A incorniciare la scena già di per sé conturbante e ben dipinta dalle parole dello stesso protagonista, va aggiunto un dettaglio ancor più scabroso. L’erotismo ostreario tra i due è spiato da una stanza attigua dall’ambasciatore di Francia, Pierre de Bernis, amante ufficiale della religiosa, la quale deve avere un’imbarazzante confusione tra cosa sia l’amore per Dio e l’amore per l’uomo.
In seguito, e per molti anni, Casanova ripete spesso questo piacevole rituale erotico-gastronomico che qualcuno ha battezzato “il gioco dell’ostrica.” Un gioco che il Pigmalione oramai navigato non utilizza più come apoteosi di una partita di piaceri tra due amanti già ardenti, bensì come strumento per sedurre e corrompere progressivamente anche le dame più caste e recalcitranti.
Memorabile è una cena, nel 1770, in una locanda di Roma, dove Casanova è intenzionato a sciogliere la timidezza di quelle due giovani amiche, Armellina ed Emilia, con delle costose ostriche. Cinquanta paoli per cento ostriche, questo è il prezzo che l’ospite sottolinea con calcolato orgoglio alle invitate, solleticando ancor di più il gusto peccaminoso del loro scontato consenso. Non solo, insieme allo champagne Casanova ordina allo sguattero altrettante ostriche da consumare dopo cena, come dessert, raccomandandogli di non gettare la deliziosa acqua in cui esse nuotano.
A questo punto, la funzione dei molluschi diventa essenzialmente ludica e straordinariamente carica di un raffinato erotismo che i tre consumano con reciproco diletto. Ne godono a tal punto da riderne insieme, abbandonati nel languido abbraccio del piacere. Addio timidezza, dunque, come testimoniano le memorie di Casanova: “Convengo che era difficile il gioco dell’ostrica. Ma mi sono impegnato a insegnar loro come fare per conservare l’ostrica con l’acqua nella bocca, innalzando in fondo ad essa una barriera con la lingua per impedirle di scivolare nell’esofago. Tenuto a dare l’esempio, ho loro insegnato a introdurre come me l’ostrica e l’acqua nella bocca dell’altro, introducendo al tempo stesso in tutta la sua lunghezza la lingua … ridendo, poi, convenivano con me che nulla poteva essere più innocente.”
Il “gioco dell’ostrica” ha talmente successo che degenera, spesso e volentieri, con scivolamenti apparentemente sbadati dei molluschi nei décolleté delle dame e persino più in basso, laggiù dove il velato mistero rende ancor più eccitante la caccia e gaudente la cattura.
Licenziando le sospirate estasi dei libertini del Settecento, mi rammarico pensando che oggi non siano più diffusi certi innocenti giochi d’amorosi sensi. Del resto, mi pare inevitabile rassegnarsi e adeguarsi ai tempi che cambiano: pochi privilegiati possono permettersi ormai il consumo frequente e cospicuo di ostriche d’eccellente qualità. Tutt’al più nove o dodici, se proprio si vuole strafare accentuando l’enfasi di una cena intima in compagnia del proprio amore. Per non parlare poi dello champagne, oro liquido sempre più prezioso e ricercato.
Tuttavia, alla fine mi domando se in realtà non sia forse un altro l’afrodisiaco assente nei giochi erotici degli amanti di oggi, a tavola così come a letto. Ovvero la fantasia. O forse, pensandoci ancor meglio, quel che spesso manca è un autentico Casanova: un seduttore intrigante, elegante, intelligente e divertente, naturalmente fedele, innamorato ed esclusivo per ogni dama all’altezza delle sue prodezze, naturalmente ricambiate con reciproco piacere.
Con o senza ostriche, un afrodisiaco così non avrebbe certo concorrenti!