martedì 27 gennaio 2015

QUESTIONE DI ... SENSI



Ultimamente, nella mia vita, sono più le persone che vi escono, rispetto a quelle che vi entrano. 
Sarà l’effetto di una naturale selezione degli affetti, reciproca, ovviamente!
Eppure, paradossalmente, mi sento meno sola, più ricca e tanto amata.
A pensarci bene, è come se un’invisibile porta girevole dentro il mio cuore abbia piano piano convertito il traffico sentimentale di doppio senso in  senso unico o, più semplicemente, in … buon senso. 

mercoledì 21 gennaio 2015

martedì 20 gennaio 2015

Geografie del Tempo



Scorgendo una nuvola
Penso ad alta voce
Quant’è bello
Il cielo da quaggiù

Quante volte ci capita di avere dei pensieri che crediamo appartenere solo a noi e invece poi scopriamo che altri hanno espresso le nostre stesse riflessioni, magari con parole assai migliori! Pensieri, sentimenti, emozioni identiche a distanza di secoli, di chilometri, indifferenti all’idioma e all’appartenenza geografica, che si ripetono rimbalzando qua e là nel mondo o, chissà, nell’Universo.
La poesia qui sopra, così apparentemente puerile, avrei voluto scriverla io ogni volta che, col naso all’insù, mi sono sentita rapita dalla bellezza di un fazzoletto d’azzurro spruzzato di bianco. Invece è di Wordsworth, delicato poeta inglese che, tra il 700 e l’800, proprio in virtù del suo fanciullesco candore verso la Natura è stato a lungo sbeffeggiato dai suoi contemporanei e dagli intellettuali più razionali.
Rivalutato definitivamente dopo la sua morte, vive ormai in eterno, grazie alle sue parole gentili, soffici, grate a una Natura che lui sapeva cogliere nei minimi dettagli, dal filo d’erba al ruscello, dalla coccinella al volo d’uccello. Sapeva coglierla e cantarla in Odi degne del più sublime paesaggio, animale, fiore o frutto che avesse il privilegio d’incontrare il suo sguardo.
Dei suoi pensieri, uno in particolare mi attrae. Un pensiero che con presunzione credevo fosse solo mio o di pochi altri sconosciuti sparsi per l’Universo. Ed è questo: Wordsworth, mettendo a confronto la Londra del suo tempo e le campagne circostanti, si chiedeva “come si potesse vivere anche tra vicini da perfetti sconosciuti ..” Quel “mondo turbolento di uomini e cose” che era Londra rappresentava per il poeta un danno, non solo per la salute del corpo ma soprattutto per la salute dell’anima.
Wordsworth accusava la città di favorire emozioni malevole, fatali! Invidia, orgoglio, egoismo, ambizione, superficialità e indifferenza agli altri … ed era convinto che solo la campagna, il contatto con la natura potesse stimolare e ristabilire un atteggiamento benevolo verso sé e verso gli altri. Non è un concetto originale, è vero, e nemmeno esclusivo di Wordsworth (o mio) visto che molti filosofi e intellettuali hanno pascolato sui simili campi di riflessioni, elogiando il rifugio nella Natura come salvezza dell’anima. Eppure, sarà per la semplicità con cui Wordsworth carezza l’argomento o sarà per il suo sguardo francescano nei confronti di ogni Creatura, a partire dall’erba o dalle nuvole, che lo sento particolarmente vicino a me. Molte delle sue Odi somigliano a Haiku e anche se la metrica inglese non obbedisce alle leggi delle poesie giapponesi, penso a Wordsworth come a Basho, per la suggestione che le immagini di poche righe sanno infondere.
Penso a cosa abbiano sentito ‘dentro’ questi poeti al cospetto di un tramonto o di un’alba, di un temporale o di un arcobaleno, linguaggi naturali universalmente comprensibili, certo, ma particolarmente cari ai bambini, agli innamorati e agli artisti. Paesaggi e panorami non solo esteriori ma intimi, che corrispondono agli archetipi dell’animo umano, per questo dunque sono ricorrenti e rimbalzano nello spazio e nel tempo, privandoci dell’esclusività di pensiero. Ci sono poi personaggi, come Wordsworth, che sanno dar vita nuova a questi scenari esteriori traducendoli in vibrazioni interiori attraverso l’enfasi delle parole. E c’è chi, invece, se li tiene stretti dentro, silenti ma nascostamente vivi.
Vero è che certi spettacoli naturali ci accompagnano per tutta la vita e col loro silenzio ci parlano: penso ai miei deserti, agli oceani, alle isole che tanto amo e che, quando si riaffacciano alla mia coscienza, fanno riaffiorare insieme al panorama anche il sentimento che l’ha animato la prima volta. Spesso, questi ritorni di fiamma, queste istantanee di memorie emotive e sensoriali, diventano medicine: è come se venissero in soccorso nei momenti di particolare solitudine, per farmi compagnia. 
Anche a questa sensazione di intimo conforto diluito nel tempo, sensazione che credevo essere solo mia, Wordsworth aveva dato un nome, un nome bellissimo: “Geografie del tempo”.

Esistono nella nostra vita geografie del tempo,
che con netta preminenza conservano
una forza rinnovatrice
che penetra, che ci permette di salire
già alti, ancor più in alto, e ci solleva quando cadiamo.

domenica 18 gennaio 2015

COLORE, SAPORE, ARTE: WASHOKU, UNA FILOSOFIA DI VITA




Il Giappone non è semplicemente un Paese. 
E’ un modo di vivere. Una filosofia, un sentimento, un atteggiamento grato e rispettoso nei confronti della Natura e dell’essere umano in quanto parte integrante della Natura stessa.
Quest’attitudine gentile alla vita si esprime anche in cucina e a tavola, perché cucinare e mangiare per un Giapponese non è questione di sopravvivenza ma di armonia con il mondo che ci circonda.
Dimentichiamo per un attimo i ristoranti di Sushi e Sashimi che fioriscono e dilagano ormai ovunque e concentriamoci, piuttosto, su quello che è l’anima della cucina giapponese, chiamata Washoku.
Washoku significa arte, cultura, condivisione. E’ una pratica sociale dalle radici antichissime, ereditata e tramandata, che si fonda su capacità, manualità, modi di preparare e di consumare il cibo profondamente legati al rispetto della materia prima. Spirito e sensi allacciano un dialogo armonioso che utilizzala grammatica della Natura, un dialogo cadenzato dai colori delle stagioni che si alternano sulle tavole riflettendo un piacere estetico e contemplativo, prima ancora che gustativo. L'attenzione per l'equilibrio è quasi ossessiva nel Washoku e il risultato di tanta precisione è una cucina tanto sensuale quanto spirituale.
La ricchezza di valori racchiusa nel Washoku è stata riconosciuta anche dall’Unesco che, nel 2013, ha eletto la cucina giapponese degna della sua lista, quale patrimonio culturale da tutelare e tramandare.
Il massimo dell’espressione del Washoku si ha durante la celebrazione del Nuovo Anno: un tripudio di piatti ricamati come preziosi merletti, in cui cereali, carni, pesci, ortaggi, fiori e foglie elevano all’ennesima potenza la propria esuberanza, esaltata dall’arte sopraffina di cuoche e cuochi in grado di alternare cotto e crudo con un’eleganza che sdilinquisce. 
E’ come se, grazie all’abile mano umana, gli elementi naturali riprendessero vita nei piatti, spiritualmente risvegliati dal tocco delicato delle bacchette, magico conduttore del gusto alle labbra. Il piacere del profumo e del sapore sopraggiunge solo quando lo stupore degli occhi cede al desiderio del palato, obbedendo tuttavia a gesti ritualici lenti e ponderati.
Per noi occidentali il rischio di banalizzare il Washoku a pura piacevolezza dei sensi o, peggio, a moda e mondanità, è prepotente. Ma se agli appetiti più superficiali aggiungiamo un pizzico di curiosità nei confronti di una Cultura culinaria tanto seducente, ecco che allora possiamo arricchire anche le nostre conoscenze, oltre alle nostre pance.

In linea con il raffinato minimalismo nipponico, potremmo dire che l’anima del Washoku si basa su 5 colori, 5 sapori e 5 modi di cucinare.

I 5 colori riflettono gli elementi della Natura e lo scorrere delle stagioni. Sono il rosso “aka” (frutti, ortaggi, fagioli e il riso aka-jiso o yukari); il verde “ao” (ao in giapponese significa sia verde sia blu: vegetali, erbe, alghe e alcuni pesci tra cui le sardine, o ao-zakana); il giallo “ki” (frutti, verdure, uova, cereali e noci. Alcuni cibi vengono colorati naturalmente di giallo grazie alla gardenia, o “kuchinashi no mi”); il bianco “shiro” (riso e cerali, semi e tuberi, tofu e latte di soia, carni bianche e alcuni pesci delicati, shiromi-zakana); il nero “huro” (alghe nori, funghi shiitake, soia e fagioli neri e semi di sesamo).
I 5 sapori, o fragranze, sono il salato “kan” (sale, salsa di soia e miso); l’acido “san” (aceto, limone e fragranze fermentate); il dolce “kan” scritto diversamente dal kan salato (zucchero, mirin, miele e mizu ame); l’amaro “ku” (caffè, te, erbe e vegetali chiamati sansai); il piccante “shin” ( wasabi, karashi e togarashi). Il sapore di umami meriterebbe un discorso a parte, anche se ormai anche in occidente è riconosciuto e non è più così misterioso!
Infine, i 5 modi di cucinare sono il crudo “nama” (sushi e sahimi ma non solo); il “bollire lentamente” “niru” (letteralmente “niru” traduce una lenta immersione di diversi ingredienti in acqua in ebollizione. Il risultato sono straordinarie zuppe dai vari sapori e colori, arricchite da un’acqua naturalmente ricca di minerali); il grigliato “ageru” (tradizione presa in prestito da Cina e Corea di cui “tempura” è l’espressione più nota anche a noi, insieme al “agemono”); al vapore “musu” (la cucina a vapore, detta anche “wan mono” dal coperchio utilizzato, si pratica direttamente a tavola e si presta alla maggior parte dei prodotti lasciandoli intatti nelle virtù e nei sapori).

Consapevole dell’insufficienza di queste righe per trasmettere tutta la ricchezza del Washoku, mi riprometto di tornare in futuro a raccontare frammenti dell’anima del Giappone. Magari dopo averlo visitato e aver finalmente saziato i miei occhi perdutamente innamorati di questo Paese dalla profonda spiritualità … anche a tavola!

martedì 13 gennaio 2015

DIVERSAMENTE GIOVANI



12 gennaio, ore 17.15. Sala d’attesa del medico.

Immaginando di dover aspettare parecchio prima di essere ricevuta dal dottore e di avere quindi un bel po’ di tempo da ingannare, mi sono previdentemente portata un libro da leggere.
Così, seduta nel mio angolino insieme alle sei persone che dovevano essere ricevute prima di me, lo estraggo dallo zaino e m’appresto a calarmi nella lettura. 
Dopo una manciata di secondi, il trillo acuto di un cellulare mi distrae bruscamente. E’ evidentemente un sms ricevuto da una delle signore lì in attesa, quella col bastone, che, con aria divertita, s’affretta a rispondere digitando freneticamente sul suo touch screen. Passano pochi minuti e un altro suono, stavolta melodioso ma non per questo a me gradito, proveniente da un altro cellulare mi scuote e d’istinto spio con aria volutamente torva l’espressione della persona responsabile dell’ennesima incursione telefonica. Email, facebook o messenger? Chi lo sa! Non faccio in tempo a comunicare con lo sguardo il mio silente disappunto alla signora occhialuta tutta presa dall’invisibile mittente, che un nuovo squillo sopravviene e un signore baffuto, tossendo e bofonchiando, avvia una sonora chiacchierata con una certa Eleonora, di cui alla fine avrei saputo anche cosa avrebbe mangiato per cena!
La storia s'è ripetuta più o meno secondo lo stesso copione con altre due persone, che poi si son messe a discutere tra loro se fosse meglio un Iphone o un Samsung ...
Ora, rivedendo con la mente la situazione, mi scappa un po’ da ridere! Io lì dentro ero la più giovane (!), le altre sei persone in attesa (due signori e quattro signore) superavano abbondantemente i settanta anni e, dai discorsi involontariamente e forzatamente intercettati erano tutte nonni e nonne.
Ebbene, c’è qualcosa che non quadra in questo quadretto di banale vita quotidiana: sono io o sono loro? Vediamo … io sono lì con un libro-vecchia-maniera in mano che cerco disperatamente di cominciare a leggere; loro, inceve, con un cellulare (anzi, uno smart phone di ultima generazione) ciascuno, che smanettano come adolescenti con incurante disinvoltura, una disinvoltura quasi stonata, mi dico, se penso agli acciacchi e ai problemi che, ahimè, devono probabilmente sopportare. E non mi sorprenderebbe se, oltre ai cellulari, nelle borse nascondessero anche qualche Ipad …
Non so, ripensandoci ora mi sembra di vedere il mondo capovolto, sovvertito, un mondo senza tempo, senza età e, dopo tutto, ecco … mi piace! Altro che ‘vecchi’, mi dico sorridendo! Tutt’al più quelle signore e quei signori li si può chiamare ‘diversamente giovani’, come ama dire un mio caro ‘vecchio’ amico (ovviamente over 70 e possessore di tre cellulari!).
Dopo tutto, è rassicurante dovendo guardare in prospettiva … Così, a casa decido di riprendere serenamente la lettura interrotta. A proposito … il libro, quello che avevo portato con me per ingannare il tempo durante l’attesa dal medico, è scritto da Marc Augé, un antropologo francese e, guarda caso, s’intitola: “La vecchiaia non esiste!”
E c’era bisogno di un antropologo per scoprirlo? 

lunedì 12 gennaio 2015

IL RISCATTO DELL'OLFATTO



La mia prima lettura dell’anno promette golosi spunti di scrittura e mi riporta ad uno dei miei primi amori intellettuali: l’odore e il senso dell’olfatto.
“All’origine del gusto. La nuova scienza della neurogastronomia” di Gordon Shepherd (Codice Edizioni) è un piacevolissimo viaggio a cavallo tra le neuroscienze e l'arte culinaria, che mira alla comprensione dei sapori attraverso l’esplorazione degli odori.
Una spiegazione della chimica sensoriale e delle reazioni cerebrali legate al gusto e al cibo che segna definitivamente il riscatto dell’olfatto il quale, lungi dall’essere un senso flebile e vestigiale (come a lungo s’è pensato), persevera una potenza e un’utilità insostituibili anche in noi esseri umani (ricordandoci d’essere innanzitutto animali).
Un libro per chi ha … naso e abbia voglia di conoscere meglio la sua immensa responsabilità nella vita quotidiana, a tavola ma non solo. Ricordiamoci, infatti, cosa scriveva il grande Napoleone in una missiva alla sua amata Giuseppina, prima di incontrarla in un appuntamento galante:
“Arriverò fra tre giorni. Non lavatevi!”

domenica 11 gennaio 2015

COMPLICE ALCHIMIA



Capita, talvolta, di sentirsi attratti da una persona che non si conosce affatto come se, invece, la si conoscesse da sempre. Incuriositi da qualche fugace dettaglio, intercettato magari in un abbozzo di conversazione, o in un timido scambio di sguardi, ecco che scatta in noi un guizzo che ci fa improvvisamente sentire in contatto fisico e mentale con quello ... 'sconosciuto'. 
Un guizzo di eccitazione, sicuramente condiviso, che agita piacevolmente entrambe le creature magicamente connesse da un  dialogo sospeso in un una complice alchimia.  
Allora mi chiedo, non sarà che anche per gli esseri umani valga una specie di legge gravitazionale universale? Non sarà che, come i pianeti, anche le persone obbediscano a loro insaputa ad invisibili ordini ineluttabili, dettati da una grammatica fisica, chimica o matematica?
Chissà, forse è meglio non sapere. Forse è meglio accontentarsi d'essere romantici poeti anzichè dotti astrofisici e abbandonarsi alle leggi di questa deliziosa congiunzione astrale!

sabato 10 gennaio 2015

OCCHI VUOTI



Ieri, seguendo le notizie sulle violenze subite da Parigi e dall’Occidente intero, guardavo rapita e confusa i volti dei terroristi. Guardavo i loro occhi ipnotizzata, paralizzata. Occhi apparentemente vuoti, senza un indizio di espressione, indifferenti a tutto e a tutti, alla vita e alla morte. 
Cercavo di capire, di trovare risposte alle domande che ogni persona ragionevole – non ‘buona’, semplicemente ‘ragionevole’ – si starà ponendo in queste ore.
Cosa ci sarà dietro quegli occhi? Cosa dentro quelle teste, quei neuroni, quelle sinapsi, quei pensieri, e soprattutto cosa dentro quei cuori … quale storia, quale cammino, quale credo può riuscire ad azzerare anche l’ultima briciola di umanità che dovrebbe albergare in un essere umano, se non altro per puro istinto di sopravvivenza?
Avvilita, e senza risposte, mi sono poi guardata allo specchio. Ho guardato i miei occhi, smarriti, increduli, pieni di domande. E, con evidente imbarazzo, ho cercato di capire che senso ha tutto quello che faccio quotidianamente, che utilità ho io, di fronte ai grandi sconvolgimenti di questa assurda e complicata vita. Briciole, parole, pensieri scribacchiati, pensieri sciolti, gocce disperse in un oceano che non m'appartiene. Scrivere articoli su cosa si mangia, cosa si beve, dove si va in vacanza, quali ristoranti piacciono, quali hotel raccomandare, che città visitare, quali fiere consigliare ... Che misera quotidianità è questa, quando nel frattempo il mondo fuori impazzisce per mano di un esercito occulto di fanatici dagli occhi vuoti!
Eppure, tornando a guardare i miei di occhi, un pensiero più sciolto degli altri mi raggiunge allo specchio e mi salva dall'imbarazzante frugare in me stessa. E se fosse proprio questo il senso del mio agire? Se fosse proprio quello di prendermi cura con amore della mia piccola quotidianità senza personali fanatismi e cieche ambizioni, con coerenza e onestà d’animo, con trasparenza e disinteresse. Scrivere. Usare le parole con spontanea passione, cercando possibilmente di aggiungere un po’ di bellezza alla realtà, senza mentire, che di bugie in giro ce n’è già abbastanza. Forse ha un senso anche regalare a chi legge un po’ di leggerezza con la dovuta intelligenza: un orizzonte nuovo, un panorama sconosciuto, un sapore inatteso, un profumo eccitante … creare desiderio, suscitare curiosità, invogliare a sognare. Guai smettere di sognare!
Allora, mi son detta, anche le parole scritte su argomenti un po’ frivoli, che parlano ai sensi e meno all’animo, possono avere una propria utilità. Allora, anche il tempo speso a ragionare su un cibo, un vino, un hotel o un viaggio, può avere un senso che non è sprecato: quello di creare un tessuto comune, piacevolmente condiviso anche nella consapevolezza della superficialità, un tessuto fatto di fiducia e di sguardi aperti, diretti, luminosi, nonostante tutto il buio che c’è intorno. Un tessuto leggero, fatto di parole, che possa sfidare il senso di paura, la diffidenza e la tentazione di vendetta contro tutti i volti dagli occhi vuoti, passati, presenti e speriamo non futuri, in cui si possa continuare a fare esistere e resistere un mondo bello e buono … buono in tutti i sensi.

mercoledì 7 gennaio 2015

La Danza



La scrittura è per la mente ciò che la danza è per il corpo: libertà.
Libertà d’espressione, movimento, creazione, eccitazione, fervore, amore!
Nel momento in cui diventa un’imposizione, ci sono almeno tre scelte: assecondare il coro e trasformare la ballerina in una marionetta; abbandonare il palcoscenico e smettere di danzare; riprendere a suonare la propria musica e tornare a danzare seguendo i passi del proprio cuore.

giovedì 1 gennaio 2015

La verità



Rifiutare di confrontarsi in un dialogo diretto può significare almeno due cose.
1) Chi si nega al confronto non ritiene il suo interlocutore all’altezza della situazione. 
In tal caso peccherebbe di presunzione.
2) Chi si nega al confronto ritiene che il suo interlocutore possa avere ragione. 
In tal caso peccherebbe di viltà.
In entrambi i casi, vincendo il silenzio non vincerà mai la verità.