venerdì 27 settembre 2013

KIWI: FRUTTO O UCCELLO?



Il kiwi oggi fa parte dei frutti presenti sulle nostre tavole in ogni stagione, nonostante maturi durante i mesi invernali, almeno in Italia. Cresce su un arbusto contorto e capriccioso, chiamato ‘actinidia’, che necessita del talento umano per essere domesticato e produttivo. Il frutto che ne deriva è anche chiamato ‘uva di Cina’, perché il suo sapore a metà tra l’aspro e il dolce e la sua consistenza polposa ma acquosa evocano l’uva spina.
Storia
I cinesi, in effetti, conoscevano questo frutto da millenni e lo consumavano senza averlo mai coltivato. Furono invece i Neozelandesi ad avviarne la coltura, rendendolo popolare sulle tavole a fine pasto. La produzione del kiwi su larga scala si consolidò, quindi, in Nuova Zelanda a partire dagli anni Trenta e il successo del frutto fu dovuto principalmente al fatto che fosse particolarmente ricco di vitamina C e che fosse facilmente conservabile in casa o in cantina, purché a basse temperature.
Dopo la Seconda Guerra mondiale, la popolarità del kiwi accrebbe e la coltura dell’actinidia si diffuse in tutto il globo. Tuttavia, durante la guerra fredda che vide gli Stati Uniti aspramente schierati contro la Cina di Mao Tse Tung, prima durante la guerra di Corea e poi quella del Vietnam, si decise unanimemente che un frutto dal nome ‘uva di Cina’ non potesse assolutamente comparire sugli scaffali dei supermarket americani. Così, da allora, il kiwi fu chiamato esclusivamente con il nome con cui è diffuso oggi. Nome che deriva dal principale paese produttore dell’epoca, la Nuova Zelanda appunto.
Curiosità
Ma perché si chiama proprio Kiwi? Perché il kiwi è l’emblema della Nuova Zelanda. Ma la cosa buffa è che tale nome non si riferisce a un frutto, bensì a un uccello. Un uccello aptero, ovvero senza ali, da cui il suo nome scientifico apteryx. Il nome dell’uccello, che oltretutto ha un aspetto molto tenero, è quindi diventato anche quello del frutto, altrettanto attraente, perché oltre ad essere buono è davvero bello. Per correttezza, bisogna dire che il kiwi, tecnicamente, è una bacca e non un frutto. La differenza dipende dalla presenza di tutti quei semini neri all’interno della sua polpa, tipica struttura delle bacche, appunto. Ciò lo rende esteticamente attraente nelle sue intime geometrie cromatiche che ricordano i cristalli variopinti di un caleidoscopio. Bellezza a parte, il kiwi è soprattutto sano. Se mangiato leggermente acerbo può indurre qualche effetto lassativo, tuttavia è facile indurre a piacere la maturazione semplicemente tenendolo in casa, in un cestino accanto a qualche mela. Le mele, infatti, sprigionano etilene il quale stimola nel kiwi una maturazione naturale. Se si ha un buon naso, basta annusare un kiwi per intuire il suo stato di maturazione: quando, infatti, è pronto comincia a rilasciare effluvi piuttosto marcati e vagamente alcolici, e prima che diventino troppo intensi è tempo di mangiarlo.
Proprietà
Oltre alle proprietà rinfrescanti e vitaminiche, dovute all’alta concentrazione di vitamina C, il kiwi ha la fama di possedere un potere antisettico, remineralizzante e antianemico.  Inoltre, aiuta a regolarizzare la pressione cardiaca e riduce l'assorbimento del colesterolo cattivo. Anche le donne in gravidanza possono trarre benefici dall'assunzione di kiwi, in quanto la vitamina C aiuta ad alleviare e prevenire i problemi connessi alla circolazione sanguigna.
Alcuni studi dimostrano, inoltre, che la vitamina C è in grado di proteggerci dalla cataratta, il disturbo della vista che insorge quando si opacizza il cristallino; per prevenire ciò sarebbe, quindi, sufficiente consumare un paio di kiwi al giorno. La presenza di minerali, quali il ferro e il magnesio, fa del kiwi l'alimento ideale per sfidare lo stress quotidiano, mentre l'elevato contenuto di potassio contrasta la depressione e la stanchezza in generale.
Infine, il kiwi ha poche calorie: 100 gr di frutto corrispondono a circa 44 calorie. Come dire che il kiwi lascia leggeri mettendo le ali all’organismo … anche se è un frutto e non un uccello! 

giovedì 19 settembre 2013

Il cammino del fare anima




JAMES HILLMAN
Il cammino del fare anima e dell’ecologia profonda

di SELENE CALLONI WILLIAMS

Ogni libro possiede un’anima. Ma non tutti i libri parlano all’anima.
“James Hillman – Il cammino del fare anima e dell’ecologia profonda” di Selene Calloni Wiliams ha entrambe le qualità perché invita il lettore a entrare in contatto con il proprio mondo interiore e a porsi domande, guidato dalla voce narrante dell’autrice. Più che un libro si tratta di un diario, un dialogo che l’autrice intrattiene con Eva, bambina immaginaria e contemporaneamente donna del futuro. Leggendo queste pagine si ha la sensazione di correre insieme all’autrice lungo il fiume che attraversa Edimburgo e di specchiarsi insieme a lei nel volto del suo maestro, James Hillman. Volto che appare scolpito nel ghiaccio e che non svanisce al sole perché la sua anima trascende il tempo e lo spazio in un gioco di rimandi.
La corsa lungo il fiume è per Selene Calloni Williams il pretesto d’accompagnare il lettore verso la meditazione, gli insegnamenti del suo maestro e le immagini assorbite in Oriente, tra oracoli, lama, yogin e sciamani.
Ne risulta un viaggio caleidoscopico, interiore ed esteriore: dalle voragini della psiche a lande remote dove le visioni dei mistici orientali si fondono con il metodo immaginale di Hillman, rinforzandolo. Si tratta di un prezioso esercizio di ecologia profonda: imparare a chiudere gli occhi esteriori, quelli rivolti all’apparenza, e aprire quelli interiori, rivolti all’essenza, è l’unico modo per fare anima. “Tutto dipende da quello in cui abbiamo fiducia. A volte penso che non vi sia che una sola grande malattia nel nostro mondo: il non credere all’anima.”
Il libro è corredato da un suggestivo DVD: sciamani e mistici, dall’Argentina alla Birmania, dal Tibet alla Siberia, introducono in un mondo tutto da esplorare. Lasciarsi contagiare, in fondo, è un po’ come partire insieme a Selene Calloni Williams e il suo Daimon.

venerdì 13 settembre 2013

MANDRAROSSA, UNA FAVOLA VERA


PICCOLI VIGNAIOLI PER UN GRANDE VITIGNO



Il territorio
Secondo i Greci, il vino è opera di un dio, Dioniso, che attraverso la fermentazione penetra nell’uva e in noi esseri mortali, sublimandoci col piacere dell’ebbrezza. Tuttavia, osservando il paesaggio siciliano dove il profumo dei vitigni s’accorda con quello di uliveti, agrumeti e ogni immaginabile ‘ben di Dio’, pare non esserci dubbio: il vino è opera dell’uomo, anzi della donna e dell’uomo. In particolare, la regione attorno a Menfi (AG) è un susseguirsi di morbide vigne che hanno stretto un’amorevole alleanza con il mare africano lambito da spiagge dorate. E’ una fetta di Sicilia ancora poco frequentata dal grande turismo e questo suo naturale pudore ne accresce il fascino. E’ qui, tra orti, giardini, bagli e templi senza tempo che la vite trova le condizioni ideali per crescere, benedetta dalla qualità del terreno (da limoso a calcareo, da argilloso a sabbioso), dal calore del sole e dalla brezza del mare (Bandiera Blu). Viene spontaneo inoltrarsi lentamente tra queste colline, sottovoce per non violare il ritmo dei vignaioli che scompaiono dentro l’abbraccio del verde, mentre i trattori colmi d’uva brulicano per le vie. E al cospetto di queste ritualiche cadenze, s’intuisce il pensiero dei Greci: perché la vigna curata dalla mano dell’uomo diventa un fatto spirituale e non solo vegetale.
Donne e uomini
Un territorio vocato alla viticoltura non avrebbe valore senza la passione delle persone che, ogni giorno, coccolano e crescono i frutti della terra. I volti di donne e uomini parlano chiaro: c’è entusiasmo negli sguardi di chi ha deciso di investire risorse economiche e umane qui, a casa propria. E’ una comunità fondamentalmente rurale questa, forte di una tradizione che si tramanda da generazioni. Una comunità che sorprende per la naturale armonia tra nonni, padri e figli, uniti dall’amore per le stesse radici: i giovani hanno preso le redini di un bagaglio culturale prezioso, arricchendolo con creatività e spirito d’iniziativa. La freschezza portata dalle nuove leve, che s’imbevono d’esperienza all’estero per tornare a casa più forti, è tangibile. Oltre a giocare un ruolo fondamentale nell’organizzazione del lavoro, l’alleanza tra giovani e anziani ha creato un humus socioculturale eccezionalmente fertile. Il ruolo della donna è altresì strategico: la Brigata delle Donne di Menfi, nata dall’esperienza di 25 donne selezionate per la fedeltà alle tradizioni culinarie locali e guidata da Bonetta Dell’Oglio, è portavoce nel mondo di prelibatezze di alta gourmetteria siciliana. Un esempio di come la semplicità possa tramutarsi in alta cucina grazie all’intraprendenza di donne finalmente protagoniste anche fuori casa.
Settesoli e Mandrarossa
Nata nel 1958 a Menfi per iniziativa di un gruppo di viticoltori, Settesoli è maturata sotto la presidenza di Diego Planeta. Non si tratta semplicemente di una Cantina ma di un vero e proprio distretto vinicolo: con 2.000 soci, una superficie vitata di circa 6.000 ettari, quattro stabilimenti e una capacità lavorativa di circa 500.000 quintali di uve l’anno, Settesoli rappresenta la maggiore azienda vitivinicola siciliana nonché il più grande vigneto d’Europa. Il 70% delle 5.000 famiglie presenti qui è coinvolto in Settesoli e questo è un ulteriore punto di forza in un Paese dove è tanto difficile per gli imprenditori riuscire a fare squadra. Questa sinergia favorisce un rapporto qualità prezzo assolutamente competitivo, in Italia e all’estero. Nei vigneti Settesoli sono privilegiati gli allevamenti tipici a contro spalliera e le potature tradizionali, nell’assoluta tutela dell’ambiente. I vini, tutti a Indicazione Geografica Tipica, sono ottenuti da uve selezionate portate a maturazione e vinificate nella zona di origine, che integrano metodi tradizionali e innovazione tecnologica: autoctoni come Nero d’Avola, Grecanico, Grillo, Inzolia e internazionali come Syrah, Merlot e Cabernet Sauvignon. Inoltre, Settesoli è inserita nella Strada Del Vino Delle Terre Sicane, che comprende Menfi, Contessa Entellina, Sciacca, Santa Margherita del Belice e Sambuca di Sicilia, scenari scolpiti nel tempo e resi eterni dal Gattopardo di Tomasi di Lampedusa. http://www.cantinesettesoli.it/
Mandrarossa rappresenta l’eccellenza all’interno di Settesoli, è una specie di favola divenuta realtà. Il suo nome significa mannara rossa, ossia stazzo rosso, per via del color della terra che dà vita alle uve. Il neo Presidente Vito Varvaro, forte di una lunga esperienza manageriale anche all’estero, è convincente quando afferma che “Le previsioni future prevedono una crescita esponenziale per Mandrarossa, i soci saranno pagati di più e una nuova classe di giovani vignaioli e amministratori emergerà. La neonata Doc Sicilia può essere un trampolino di lancio per l’export su cui dobbiamo investire nuove risorse.” Già vincente in Inghilterra e nel Nord Europa, Mandrarossa rappresenta una sfida anche per gli Stati Uniti e nulla teme dalla concorrenza di Cile e Australia: è straordinario che una regione italiana tenga testa a intere nazioni. Mandrarossa opera come una grande famiglia allargata che, grazie a un’intensa attività di sperimentazione in vigna, ha maturato vitigni autoctoni e internazionali. Così, accanto ai classici Nero d’Avola e Grecanico, si coltivano gli internazionali Merlot, Syrah, Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc, Chardonnay e i più sperimentali Viogner, Fiano, Sauvignon Blanc, Chenin Blanc, Petit Verdot e Alicante Bouschet. I nomi dei vini Mandrarossa alludono al profondo legame con il territorio e parlano di contrade, di mare e di zolle. Ma è solo sorseggiando un Urra di Mare o un Santannella, un Timperosse o un Cartagho che le parole incontrano il piacere del buon bere. http://www.mandrarossa.it/
Il Mandrarossa Vineyard Tour
Settembre è il periodo più bello per visitare il Menfishire. Durante la vendemmia tutta la campagna è in festa, le vigne sono fulgide e la comunità celebra la vita, dedicandosi alla raccolta delle uve alle prime luci dell’alba o la notte, quando l’aria è fresca. Il Mandrarossa Vineyard Tour anche quest’anno - dal 4 all’8 settembre - ha aperto le porte delle case dei vignaioli ai visitatori. Un viaggio multisapore articolato in degustazioni, laboratori sensoriali, eco tour a cavallo, in kayak, in veliero o in deltaplano, insieme a tanti momenti dedicati al contatto con la gente, per scoprire i segreti del dialogo tra persone e territorio. L’accoglienza è emozionante e insieme ai sapori dei piatti e ai profumi dei calici, si apprezza la generosa spontaneità degli abitanti. Piccoli resort, agriturismi e B&B immersi nel verde offrono un’atmosfera calda e famigliare che fa sentire a casa, mentre i ristoranti corteggiano i palati più esigenti con armonie di mare e terra, condite con oli e vini locali. Il piacere della vita agreste s’anima nelle case di campagna - salotti all’aria aperta e dimore d’autentico buon gusto - e il Mandrarossa Vineyard Tour ne propone un vasto assaggio. Imperdibile è Casa Natoli, splendido baglio del 1830 e sede della Cucina Mandrarossa, che incanta con gli affreschi interni, il cortile lastricato e la fioretta, un rigoglioso giardino di piante secolari e palmizi. Mentre a Casa Mangiaracina, Casa del Grano e dell’Olio, si può degustare il pane prodotto con il lievito madre, grigliato e condito con olio da olive Nocellara, Biancolilla e Cerasuola, in abbinamento al Cavadiserpe; a Casa Lombardo, Casa dell’Orto e delle Erbe, si assaggiano le verdure appena colte, cucinate sulla brace e insaporite con olio e sale marino, in abbinamento al Santannella; nella Pineta Molinari, Casa del Mare, il pesce appena pescato è servito in abbinamento al fresco Urra di Mare, di fronte a una spiaggia che incanta. E dopo una giornata squisitamente bucolica, al calar del sole prende vita Villa Varvaro, Casa dell’Arte e della Musica: elegante dimora ottocentesca nel cuore Menfi, dove si ascolta musica brindando alle stelle.



BOX

Dove sostare
Tra le soffici colline di Menfi sorge l’Antico Baglio di Casa Mirabile. Completamente restaurato, il Relais offre tutto il gusto della sicilianità condita dal sorriso del padrone di casa, Lillo Barbera, che vizia gli ospiti con il pane conzato, le aragoste appena pescate e un’infinità di sposalizi tra fragranze di terra e di mare. E dopo i vizi, una bella piscina all’ombra degli ulivi sazierà definitivamente ogni desiderio.
Si trova anch’esso a Menfi, a circa 1 km dal mare. Per la sua ottima posizione e la tipologia dei servizi è l’ambiente ideale per chi desidera una vacanza all’insegna della tranquillità senza rinunciare allo sport nella natura. Le camere e la suite con vista su mare e campagna si traducono in spazi dedicati al godimento estatico più assoluto.
Questo piccolo Relais adagiato sulle colline di Menfi offre, insieme alla squisita ospitalità, tramonti mozzafiato che inebriano gli occhi ed emozionano il cuore, mentre il corpo è coccolato dai sapori buoni della cucina.

Il Ristorante Albergo Da Vittorio, a Porto Palo di Menfi, si articola in due spaziose sale, una interna e una affacciata sulla spiaggia sabbiosa. Propone piatti della migliore tradizione locale, dagli antipasti di pesce crudi e cotti fino ai dolci di mandorle. La carta dei vini è altrettanto golosa e spazia tra le più note etichette del panorama enologico siciliano. Vittorio opera nel settore della ristorazione sin dai primi anni settanta e da allora non delude mai: impossibile non tornarci.
Il Ristorante nasce con Nino Bentivegna nel 1985, nel cuore di Sciacca. L’accoglienza e il menù mescolano sapientemente raffinatezza e semplicità, fedelmente alla tradizione siciliana. I sapori di pesce, pasta e carni sono valorizzati da una presentazione che appaga l’occhio prima del palato. Particolare attenzione è dedicata a piatti vegetariani e senza glutine nonché, naturalmente, alla selezione di vini locali, connubio perfetto per piatti perfetti.
Enoteca Strada del Vino Terre Sicane http://scoprimenfi.com/573-2/
Nello storico Palazzo Planeta di Menfi, l’enoteca, in collaborazione con SI.STE.MAVino (associazione delle aziende vitivinicole del territorio), promuove l’enogastronomia siciliana attraverso eventi tematici e corsi di degustazione, oltre ad essere punto di riferimento per acquistare vini e prodotti della gastronomia locale.

mercoledì 11 settembre 2013

DiVina degustArte



Secondo i Greci, il vino è opera di un dio, Dioniso, che attraverso la fermentazione penetra nell’uva e attraverso essa in noi esseri mortali, sublimandoci col piacere dell’ebbrezza.
Tuttavia, osservando il paesaggio siciliano dove il profumo dei vitigni s’accorda con quello di uliveti, agrumeti e ogni immaginabile ‘ben di Dio’, pare non esserci dubbio: il vino è opera dell’uomo, anzi della donna e dell’uomo. In particolare, la regione attorno a Menfi nell’agrigentino è un susseguirsi di morbide vigne che hanno stretto un’amorevole alleanza con il mare africano lambito da spiagge dorate. E’ una fetta di Sicilia ancora poco frequentata dal grande turismo e questo suo naturale pudore ne accresce il fascino. E’ qui, tra orti, giardini, bagli e templi senza tempo che la vite trova le condizioni ideali per crescere, benedetta dalla qualità del terreno, dal calore del sole e dalla brezza del mare. Viene spontaneo inoltrarsi lentamente tra queste colline, sottovoce per non violare il ritmo dei vignaioli che quasi soccombono all’abbraccio del verde, mentre i trattori colmi d’uva brulicano obbedienti in fila per le vie. E al cospetto di queste ritualiche cadenze, s’intuisce il pensiero dei Greci: perché la vigna curata dalla mano dell’uomo diventa un fatto spirituale e non solo vegetale.
Dalle vigne alle case dei vignaioli, per finire seduti in riverente silenzio di fronte ai calici che solenni ci interrogano durante le degustazioni tecniche di fine sera. Il filo conduttore è sempre lui: il Vino. E la sua degustazione, a mio profano parere, ha poco di tecnico ma molto di artistico. Al cospetto di un Syrah Petit Verdot o di un Alicante Bouschet, non mi riesco a fermarmi alle note di fiori di pesco e frutto della passione del primo, o agli effluvi di frutti di bosco e ciliegia del secondo. Mi avventuro, piuttosto, tra i pensieri e le emozioni che ogni breve sorso stimola in me. Somiglia più a un sogno ad occhi aperti, un vino, o a una poesia, a un quadro, a una musica? Guarda più all’interno, verso le nostre impressioni e memorie, come la madeline di Proust, oppure guarda all’esterno, verso il mondo e le reazioni nei confronti di esso?
Mentre i sommelier professionisti eseguono i gesti ritualici assecondando le pittoriche narrazioni dell’enologa, io disobbedisco rincorrendo per qualche istante i miei pensieri. E mi torna in mente un libro di Roger Scruton dal titolo “Bevo dunque sono”. D’accordo con l’audace filosofo innamorato di Chablis, penso che il vino sia un canale di comunicazione tra un ‘dio’ e l’uomo, tra spirito e ragione. Attraverso il vino, l’essenza distillata dal suolo sembra riversarsi nelle vene risvegliando il corpo alla vita e, una volta ridestato il corpo, il vino invade dolcemente l’anima. Ecco che sospinti da un sorso profumato, i pensieri galoppano, i sentimenti volano e le parole si liberano. Anche in silenzio. Perché è la voce interiore che parla. E’ come se il vino ricordasse all’anima le sue origini corporali e al corpo il suo significato spirituale. E dunque ben venga quella piacevolezza che rende molle la logica, quell’ebbrezza che non nuoce ma che ispira. Perché l’ebbrezza somiglia all’erotismo, mentre l’ubriachezza è pornografia, non confondiamo!
E allora, non somiglia forse alla poesia, il Vino, e all’arte la degustazione? Così, quel Syrah dalle note di fiori di pesco mi rimanda alle colline verdeggianti che si tuffano nel mar d’Africa, e quell’Alicante dal flavor di sottobosco mi riporta i sorrisi generosi dei vignaioli incontrati nei bagli di Menfi. O, forse, in verità è Dioniso che attraverso l’uva è entrato in me e mi sta sublimando con i suoi pensieri divinamente terreni… 

mercoledì 4 settembre 2013

Somiglianze



A volte la somiglianza tra regno vegetale e regno animale è straordinaria. Basta saperla scovare.
Cogliere un fico maturo dalla pianta del giardino, per esempio, può portare inaspettatamente a tuffarsi in mare per imbattersi in uno dei suoi tanti abitanti. Sì, perché se adagiamo sul piatto quel bel frutto rosso pregno di linfa zuccherina e lo tagliamo delicatamente in cinque fettine, i suoi lembi vermigli si schiuderanno mollemente ai lati come docili lingue, scoprendo un cuore carnoso che rasenta l’oscenità tanto appare sensuale. Ed ecco che questa profferta lasciva del fico allo sguardo, prima ancora che al palato, ricorda la foggia di una stella marina alla deriva. Una meravigliosa asteroidea che, con le braccia affusolate dai riflessi d’oro rosso, s’abbandona sulla roccia lucente, mentre tutto il corpo turgido si lascia avidamente leccare dal sole e dal mare, proprio come una dea assetata di vita.
Ripensandoci … a volte la somiglianza tra regno vegetale e animale è straordinaria, sì, ma lo è ancor di più quella con il regno degli esseri umani. Basta saperla scovare!