mercoledì 11 settembre 2013

DiVina degustArte



Secondo i Greci, il vino è opera di un dio, Dioniso, che attraverso la fermentazione penetra nell’uva e attraverso essa in noi esseri mortali, sublimandoci col piacere dell’ebbrezza.
Tuttavia, osservando il paesaggio siciliano dove il profumo dei vitigni s’accorda con quello di uliveti, agrumeti e ogni immaginabile ‘ben di Dio’, pare non esserci dubbio: il vino è opera dell’uomo, anzi della donna e dell’uomo. In particolare, la regione attorno a Menfi nell’agrigentino è un susseguirsi di morbide vigne che hanno stretto un’amorevole alleanza con il mare africano lambito da spiagge dorate. E’ una fetta di Sicilia ancora poco frequentata dal grande turismo e questo suo naturale pudore ne accresce il fascino. E’ qui, tra orti, giardini, bagli e templi senza tempo che la vite trova le condizioni ideali per crescere, benedetta dalla qualità del terreno, dal calore del sole e dalla brezza del mare. Viene spontaneo inoltrarsi lentamente tra queste colline, sottovoce per non violare il ritmo dei vignaioli che quasi soccombono all’abbraccio del verde, mentre i trattori colmi d’uva brulicano obbedienti in fila per le vie. E al cospetto di queste ritualiche cadenze, s’intuisce il pensiero dei Greci: perché la vigna curata dalla mano dell’uomo diventa un fatto spirituale e non solo vegetale.
Dalle vigne alle case dei vignaioli, per finire seduti in riverente silenzio di fronte ai calici che solenni ci interrogano durante le degustazioni tecniche di fine sera. Il filo conduttore è sempre lui: il Vino. E la sua degustazione, a mio profano parere, ha poco di tecnico ma molto di artistico. Al cospetto di un Syrah Petit Verdot o di un Alicante Bouschet, non mi riesco a fermarmi alle note di fiori di pesco e frutto della passione del primo, o agli effluvi di frutti di bosco e ciliegia del secondo. Mi avventuro, piuttosto, tra i pensieri e le emozioni che ogni breve sorso stimola in me. Somiglia più a un sogno ad occhi aperti, un vino, o a una poesia, a un quadro, a una musica? Guarda più all’interno, verso le nostre impressioni e memorie, come la madeline di Proust, oppure guarda all’esterno, verso il mondo e le reazioni nei confronti di esso?
Mentre i sommelier professionisti eseguono i gesti ritualici assecondando le pittoriche narrazioni dell’enologa, io disobbedisco rincorrendo per qualche istante i miei pensieri. E mi torna in mente un libro di Roger Scruton dal titolo “Bevo dunque sono”. D’accordo con l’audace filosofo innamorato di Chablis, penso che il vino sia un canale di comunicazione tra un ‘dio’ e l’uomo, tra spirito e ragione. Attraverso il vino, l’essenza distillata dal suolo sembra riversarsi nelle vene risvegliando il corpo alla vita e, una volta ridestato il corpo, il vino invade dolcemente l’anima. Ecco che sospinti da un sorso profumato, i pensieri galoppano, i sentimenti volano e le parole si liberano. Anche in silenzio. Perché è la voce interiore che parla. E’ come se il vino ricordasse all’anima le sue origini corporali e al corpo il suo significato spirituale. E dunque ben venga quella piacevolezza che rende molle la logica, quell’ebbrezza che non nuoce ma che ispira. Perché l’ebbrezza somiglia all’erotismo, mentre l’ubriachezza è pornografia, non confondiamo!
E allora, non somiglia forse alla poesia, il Vino, e all’arte la degustazione? Così, quel Syrah dalle note di fiori di pesco mi rimanda alle colline verdeggianti che si tuffano nel mar d’Africa, e quell’Alicante dal flavor di sottobosco mi riporta i sorrisi generosi dei vignaioli incontrati nei bagli di Menfi. O, forse, in verità è Dioniso che attraverso l’uva è entrato in me e mi sta sublimando con i suoi pensieri divinamente terreni… 

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