mercoledì 26 giugno 2013

Conversione laica



Sono fortunata. 
Il mio è un lavoro straordinario: viaggi frequenti, soggiorni in posti magnifici, pranzi e cene in ristoranti superstellati. Assaggiare bontà e bellezza per poi scrivere articoli e recensioni, invitando i lettori delle riviste a partire per gustare le stesse esperienze da me vissute.
Va bene, per un po’. Ma poi?
Poi, dopo ogni viaggio e recensione, s’accumula un crescente senso di vuoto. S’annida nell’ombra della coscienza un sapore d’inutilità che bussa dal profondo dell’anima e costringe a una riflessione. Perché non sbarazzarsi un po’ del lusso della superficialità e dar luce invece a una realtà più ingombrante? Nel Mondo esistono luoghi, situazioni e persone che meriterebbero più d’ogni altri d’essere visitati, conosciuti e raccontati. Penso a tutte le missioni e le opere di volontariato che si fanno largo tra le foreste equatoriali o sbocciano negli aridi deserti africani. Perché non andare laggiù a toccare, annusare, assaggiare la fatica e la soddisfazione che trasuda ogni giorno da chi si dedica a costruire dal nulla qualcosa per gli altri e, in fin dei conti, anche per sé, per inventare un Mondo migliore?
Se è possibile contagiare con le parole e, attraverso un articolo, stimolare in chi legge la curiosità e il desiderio di partire, forse è anche possibile svegliare la coscienza e aprire gli occhi su una realtà scomoda ma viva e non poi così lontana come si vorrebbe pensare.
Sono fortunata. Il mio lavoro è straordinario ma potrebbe esserlo ancora di più, per me stessa e per gli altri, compresi quelli che non leggono perché non sanno o non possono farlo.
Per questo sto combattendo affinché qualche rivista, qualche direttore particolarmente sensibile, decida di aprire una finestra editoriale dedicando spazio anche al mondo spesso sconosciuto del volontariato, in particolare in Africa, la culla dell’Umanità. Sono tantissime le opere missionarie disseminate nel continente, laiche e religiose, dignitose, gioiose ma troppo silenziose. Tutte le testimonianze che finora ho raccolto per mio esclusivo interesse mi hanno trasmesso una grande gioia e uno straordinario senso di coraggio, non ricordo dolore ma solo sorrisi. E allora, mi domando, perché non trasferire queste realtà e queste emozioni ad altri in modo che possano esserne toccati e magari spinti a contribuire  anche da casa senza bisogno necessariamente di partire?
Non ho ancora trovato quella rivista né quel direttore particolarmente sensibile, non è facile lo so, perché viaggi stampa di questo genere restituiscono scarso rendimento non sostentandosi di pubblicità. Tuttavia confido. Io sono pronta a partire subito, per scrivere, per raccontare ma soprattutto per sentire e far sentire. 
Perché se l’indifferenza è contagiosa, lo è ancor di più la voglia di combatterla!

L'Arte dell'Essere Donna



MADRE, REGINA, GUERRIERA E SEDUTTRICE
Nel teatro della vita, i diversi modi dell’Essere Donna

Da sempre l’arte sublima le molte sfumature del femminino, declinate in diverse tipologie caratteriali, a seconda dei momenti storici da cui sono generate e, al di sotto di questi modelli epocali, dà volto agli archetipi psicologici dell’Essere Donna.
Ne abbiamo scelti quattro – l’idea di Madre, Regina, Guerriera e Seduttrice – come emblemi delle anime femminili, per proporre un percorso tra arte e psicologia, che vuole essere un omaggio alla Donna ma anche a coloro che, ogni giorno, si prendono cura della salute femminile. Chiamati a misurarsi con le delicate alchimie di ogni individuo, essi trovano nella sensibilità dell’ascolto lo strumento forse più potente di osservazione, indagine e comprensione della persona.
Le quattro figure di Donna sono qui raccontate attraverso opere di assoluta diversità stilistica, poste a confronto tra loro, in un gioco di richiami che rende evidenti le costanti psicologiche di ogni archetipo e fa riflettere su come ogni donna persegua il proprio equilibrio interpretando una costante molteplicità di ruoli, nella personale ricerca di una sintesi esistenziale tra funzioni sociali, aspirazioni e pulsioni, che prende il nome di Felicità.



DONNA MADRE


Raffaello, Madonna della seggiola, olio su tavola, 1513 - 1514, Italia, Firenze
(Firenze), Palazzo Pitti - Galleria Palatina

La maternità rappresenta un'esperienza primaria che getta le basi di ogni futura evoluzione psichica, in quanto ognuno di noi nella vita – donna e uomo - fa i conti con l’archetipo materno, in primo luogo come figlia e figlio. E’ un archetipo che include non solo l’essenza della vita e della continuità della propria esistenza nel tempo attraverso la prole ma anche un insieme di trasformazioni spesso conflittuali, in questo caso esclusive della Donna. Trasformazioni fisiche, per via degli inevitabili mutamenti del corpo, e psichiche, per via di un’evoluzione personale ineluttabile.  
La Madonna è la Madre per eccellenza e supera ogni significato religioso perché appartiene alla nostra cultura, prima ancora che alla fede. Le Madonne di Raffaello, in particolare, sembrano scolpire proprio quest’archetipo materno nel cuore della sua fonte vitale. Esse paiono trascendere la dimensione perturbante del divenire madre e rassicurare chi le osserva, poiché attraverso i loro sguardi dal candore disarmante è evidente che il bene vince sempre sul male, così come la vita vince sempre sulla morte.
In particolare, la Madonna della seggiola evoca l’afflato protettivo che ogni Donna sprigiona quando il suo essere femminino si realizza in essere materno. Non è la forma del corpo di Donna che conta. E’ la forma circolare a vincere, geometria perfetta che si ripercuote nel movimento rotatorio di tutte le figure: dai volti paffuti ai piedini plastici del Bambino, dalle ginocchia della Madonna all’inclinazione delle teste, la composizione calibra mirabilmente estetica e simbolismo. Non si tratta semplicemente di tratti stilistici e pittorici, bensì di trasposizioni tecniche che rimandano a costanti psicologiche ben precise. La linea verticale della spalliera, infatti, indica rigore e rettitudine bilanciando la morbidezza delle figure e nascondendo gli artifici della tecnica dietro la semplicità della tenerezza. Ecco che la forma circolare traduce l’archetipo uterino per eccellenza: l’abbraccio materno, accogliente, nutritivo e protettivo.
L’alta qualità pittorica con la sua mirabile cromia colloca l’opera intorno al 1514. Tuttavia, questo è solo un colto e superfluo dettaglio perché essa, in realtà, trascende ogni epoca: questo volto dalle fattezze soffici potrebbe essere quello della madre di ognuno di noi, o della madre che è in noi. Gli occhi della Madonna, ovvero della Madre, scrutano nel profondo chi la osserva e i piedini rosei del Bambino chiedono carezze, come quelli di qualunque neonato. Semplicità e grazia, profondità e leggerezza: ecco cosa provò probabilmente Henry James quando vedendo l’opera esclamò di sentirsi: “Happy beyond the common dream”, ovvero “felice al di là del sogno comune”. E ogni Donna sa che nessuno più di una Madre può incarnare la felicità di un sogno che da mistero si fa continuamente realtà.


Picasso, Maternità, olio su tela, 1971, Museo Picasso, Parigi

Il divenire madre non è solo gioia ed esaltazione della vita. E’ anche sacrificio e dolore. Questo pare ricordarci Picasso con le sue Maternità pittoriche. E’ interessante soffermarsi un istante sulla visione della Donna da parte dell’artista per intuire alcuni aspetti più nascosti del significato di maternità. I suoi ritratti di madri potrebbero essere definiti “schizofrenici”, poiché sembrano intimamente connessi con l’inquietudine e con l’inafferrabile, e non solo con l’amore e la femminilità. Da qui, forse, una certa sensazione di estraneità della funzione materna trasmessa dalle sue opere. In questo senso, la visione pittorica diventa psicologica e consente di completare quell’archetipo di maternità essenzialmente concavo, ovvero accogliente e recettivo, con l’altro aspetto più conflittuale e disarmonico. Forse, parte della frustrazione della Donna Madre raccontata da Picasso deriva dall’incapacità dell’uomo di afferrare del tutto quest’esclusiva condizione esistenziale. Condizione che ruba temporaneamente la Donna al compagno per donarla totalmente alla nuova vita che porta in grembo.
In questa Maternità emerge, infatti, tutta la molteplicità di emozioni del fascinoso viaggio da semplice essere Donna a essere Madre. Subentra una scissione inevitabile di un nucleo interno che, attraverso la nascita del figlio, ritrova finalmente coerenza e interezza dando definitivamente senso al dolore della lacerazione. Impossibile, dunque, ignorare le inquietudini e le ansie che la natura di Madre porta con sé: il corpo cambia e la Donna non è padrona della propria trasformazione perché vive un rapporto fusionale ineluttabile. E le pennellate spigolose di Picasso sembrano proprio sottolineare l’acuta e inevitabile complessità psicologica del divenir madre. Perché essere mamma significa anche mettere in secondo piano una parte di sé in virtù di qualche cosa di più grande e di incomprensibile all’universo maschile.
Secondo la psicologia junghiana, in una stessa donna convivono più dee, più anime femminili, e la loro reciproca conoscenza fornisce la chiave per la comprensione di sé e dei rapporti che stabilisce con gli altri. Gli occhi della Donna raffigurata in questo quadro sembrano richiamare proprio questo concetto: la Donna che osserva se stessa Madre.
La sofferenza che fa inevitabilmente parte dell’Essere Madre è tuttavia sopportabile e superabile. Ecco, allora, che tra le tante spigolature della maternità di Picasso, bastano un ginocchio tondeggiante, un braccio avvolgente e una mano sicura a sostenere il piccolo nella sua aurora alla vita, per ristabilire quel rassicurante sospiro che ogni madre, di ogni tempo, emana. Anche in questa opera, nonostante la disinvolta anafettività del cubismo, s’intravede un cerchio: quell’archetipo di vita, che oggi come sempre cuce il sotteso dialogo tra la Donna e la Madre, e tra la Madre e il suo eterno bambino.




DONNA REGINA

Teodolinda dai Mosaici, Basilica San Vitale, Ravenna

Secondo la grammatica psicoanalitica più diffusa, la Regina nei sogni è l'archetipo del femminile evoluto e consapevole di sé, con cui si manifesta l'amante, la sposa, la grande madre e la sacerdotessa. Le sue qualità psicologiche sono il potere e l'autorità che possono esprimersi nella vita attraverso vari ruoli. Infatti, se è vero che all’interno della singola Donna convivono più donne, è importante raggiungere una sorta di cooperazione fra tutte le figure interiori. Tutti gli aspetti della personalità devono interagire armoniosamente al fine di trovare un equilibrio che possa placare le parti attive talvolta in conflitto. Quando la Donna, attraverso la consapevolezza del proprio Io, diviene conscia della compresenza di differenti declinazioni femminili, può sentirsi davvero Regina nel suo regno e considerare le proprie voci interne come una sorta di “assemblea” o di fedele corte a suo sostegno.
Insieme a quello di Madre, l’archetipo di Regina è anche il più antico e sopravvive non solo nei sogni ma anche nei miti e nelle fiabe. E anche se oggi al mondo le signore coronate sono rare, c’è l’arte a rendere eterni i simboli di un potere squisitamente femminile che nei secoli ha subito molte trasformazioni. Al di là del ruolo sociale, è la tempra psicologica a rendere la Donna autorevole e potente. Teodolinda per esempio, due volte moglie, madre e infine Regina, evoca tutt’oggi una figura che rivoluzionò il ruolo della Donna e con il suo carisma assunse tra i Longobardi una dominanza politica e religiosa indiscussa. E’ sorprendente la sua somiglianza con la Donna d’oggi, capace di gestire se stessa nella sfera pubblica e in quella privata, sfidando e spesso soffocando i conflitti interiori. I Mosaici che la raffigurano, pertanto, non sono semplicemente un capolavoro cromatico dove ogni minuscolo tassello riluce di regalità. Sono anche l’emblema di una personalità estremamente sfaccettata, incorruttibile persino dalle tentazioni dei ricchi ornamenti che indossa. Lo sfarzo delle perle e la tracotanza dell’oro completano il suo fascino ma non lo sostituiscono: il potere della regalità non si riduce alle vesti ma traluce dal viso e dai dettagli somatici. Regale è il naso di Teodolinda, affilato, deciso, degno di un uomo di quei tempi. Rispetto alle labbra sottili spicca come un simbolo maschile al centro di un armonioso fluttuare femminile. L’arte bizantina, e non solo, sembra confortare i più accreditati studi di morfopsicologia. Conducendo i tratti somatici alla personalità si deduce, infatti, che il volto sia diviso in tre piani sagittali: istintivo, affettivo e cerebrale. Il naso fornisce informazioni sulla vita sentimentale e in particolare il naso aquilino, più frequente fra gli uomini, esprime un’esigenza d’indipendenza e di padronanza delle passioni e dei sentimenti. Nelle donne, pertanto, è indice di mascolinità che diventa simbolo di potere e autorità, come nel caso dell’imperatrice Teodora o di Cleopatra.
Solo gli ornamenti floreali ricamati sull’abito pomposo evocano una femminilità che, per coerenza al ruolo regale, contornano appena l’aura di potere di una sovrana altera ma innanzitutto Donna, fiera del suo ruolo. I tasselli del mosaico sembrano evocare proprio quella convivenza di più voci femminili all’interno di ogni Donna, un coro psicologico straordinariamente armonico che anche l’arte ha saputo cogliere.


George Gower, Queen Elisabeth, I, 1588, Abbazia di Woburn

Nella nostra società, il volto moderno dell’archetipo femminile di Regina può essere incarnato dalla cosiddetta donna in carriera, almeno nella cultura occidentale. Oggi sempre più donne, infatti, occupano posizioni di potere - metaforicamente il trono delle tradizionali corti - che per anni sono rimaste un’esclusiva dei maschi: dirigenti, imprenditrici, politici, ministri, presidenti, primari. Regine senza corona, insomma, che si sono realizzate personalmente e socialmente facendo emergere la parte più tenace di sé. Le donne al potere funzionano egregiamente, sono intelligenti e appassionate e raggiungono straordinari risultati negli affari, sostenute probabilmente da un estro creativo squisitamente femminile. Succede, tuttavia, che molte di queste moderne Regine, accanto al successo professionale, accusino anche un inspiegabile senso di infelicità, di vuoto e una profonda solitudine nella vita affettiva. Talvolta subentrano problemi e conflitti con i mariti e con i figli, squilibri che conducono a fasi di incertezza, di depressione o d’isolamento dalle relazioni sociali. Immensa dev’essere la padronanza di sé da parte della Donna per gestire al meglio questa giostra di ruoli che la impegna nella vita.
Le donne al potere che presentano questo tipo di conflitti, si dice in termini psicologici, che siano possedute dall’Animus, cioè fagocitate dalla parte più maschile di sé. Una dimensione che tutte le donne potenzialmente posseggono ma che, se mal gestita, rischia di soffocare la componente più femminile, cioè l’Anima. E’ frequente, infatti, che la Donna di potere riesca a reprimere elegantemente la propria carica emozionale in virtù del ruolo che copre, a rischio tuttavia di incorrere in frustrazioni e in quel vuoto sentimentale che nessun essere umano può a lungo sopportare. Ancora una volta, emerge la necessità per la Donna di saper armonizzare tutte le voci femminili che parlano al suo interno, per far sì che la Regina regni senza vittime sacrificali.
La regina Elisabetta è un magnifico esempio delle numerose Donne Regine della storia. L’Armada Portait era stata commissionata per commemorare la vittoria dell’Inghilterra sull’Invincibile Armada spagnola. Un evento memorabile e simbolicamente significativo poiché fu reso possibile anche dalla determinazione della sovrana Elisabetta I, appunto. Donna che nel suo glaciale, eppur perturbante, incedere suscitava istintivamente timore, devozione e rispetto. E’ sorprendente come a distanza di secoli emergano alcuni tratti comuni tra la solenne regalità di un’imperatrice longobarda e una sovrana d’Inghilterra, come se entrambe affondassero le radici caratteriali nello stesso humus psicologico, riconducibile anche alla Donna d’oggi. Ancora una volta, qui spicca lo sfarzo di vesti sontuose e di gioielli luminosi, simboli di conquiste sociali precluse alla maggior parte delle donne. Eppure, ecco che anche in questo ritratto vince l’espressione imperturbabile, regale appunto: lo sguardo impassibile, le labbra appena accennate e quel naso sottile e affilato che senza indugio sfida gli uomini, i nemici e la sorte.



DONNA GUERRIERA

Dante Gabriele Rossetti, Giovanna d'arco, 1863, Museo del castello, Strasburgo

Quando la forza di volontà della Donna si accende di passionalità, ecco che può diventare battagliera e armarsi di una spinta interiore ancora più sorprendente. Chissà se la Donna Guerriera contemporanea assomiglia più ad Antiope, audace regina delle Amazzoni; al Soldato Jane della pellicola americana; oppure conduca le sue battaglie nella concentrazione di un laboratorio, con lo spirito indomito di Rita Levi Montalcini per esempio; o con la tempra delle migliaia di donne impegnate per la difesa dei propri diritti elementari, come accade in molte culture lontane dalla nostra.
Probabilmente, la Donna Guerriera di oggi è tutto questo insieme, declinato a seconda degli spaccati geografici, culturali e sociali. E di certo, sia che si tratti di passione politica o di amore per la scienza, di promozione di una nuova cultura o di attività sociali poco cambia: quando la spinta motivazionale è forte, l’abnegazione femminile è totale per difendere i propri ideali, soprattutto quando è in gioco il bene comune. Forse, in questo donarsi totalmente in virtù di un’ideale giusto, si cela lo stesso afflato che nutre la Donna Madre verso il figlio. E se gli ideali cambiano con l’epoca e la cultura, quella spinta motivazionale non si spegne, come fosse una sorta di energia tellurica pronta a sgorgare dalla bocca di un vulcano in sopita attesa.
L’archetipo femminile di Guerriera è ben rappresentato dall’intramontabile carisma e dall’energia fisica della Pulzella d’Orléans, eroina della Guerra dei Cent’anni e simbolo di una bellicosità mistica. In virtù dell’aura magica che l’accompagnava sin da giovanissima, fu detta, infatti, “la divina” probabilmente come contraltare laico alla sua santità e in omaggio alla sua femminilità oltre che alla sua vocazione di guerriera. Essa è e rimarrà imperituro esempio di come la Donna possa diventare al contempo un mito, una santa e una dea nell’immaginario dell’umanità non solo contemporanea ma millenaria. Vista in trasparenza, oltre le vesti della sua epoca, Giovanna d’Arco è una guerriera profondamente sensuale, castigata e contemporaneamente esaltata dalla sua uniforme da battaglia decorata di bianchi gigli, una guerriera che imbraccia la spada della liberazione come fosse un privilegiato oggetto d’amore. Quell’accostare l’arma al viso suggerisce un’identificazione tra la Donna e il suo ruolo: la lotta per la difesa delle proprie credenze e delle proprie ambizioni, fatte di giustizia e lealtà. Non è un semplice impugnare la spada questo: scatta quasi un bacio tra le labbra carnose appena protese e la lama affilata, e in quest’espressione s’indovina tutta la potenza di una personalità femminile declinata al piglio tradizionalmente maschile.
Ecco perciò che in Giovanna d'Arco i tratti mascolini, sottolineati dal mento prominente e dalla mascella volitiva, contrastano con la dolcezza e la femminilità dello sguardo, con le labbra turgide e i lunghi capelli ondulati. Così come la tunica dai toni caldi e pastosi stride con la freddezza dell'armatura, rendendo ancora più passionale e irresistibile la guerriera, attuale come non mai. Sotto queste vesti, emerge la Donna combattiva che si batte in ogni Donna, oggi come sempre.


Franz von Stuck, Pallas Athene, olio su tela, 1898, Museum Georg Schäfer, Schweinfurt

Combattere per difendere un ideale o per conquistare un diritto non implica affatto l’uso della prepotenza e della sopraffazione. E la Donna lo sa, perché altre sono le armi in suo possesso con cui affrontare le battaglie in cui crede: la dialettica e, in generale, l’intelligenza.
La fanciulla Atena rappresenta mitologicamente le declinazioni più nobili dell’animo battagliero femminile, quelle intellettuali appunto. Nelle sue mani, la guerra diventa strumento di giustizia e non di abuso, di lungimiranza e non di prevaricazione, di astuzia e non di violenza. E’ la natura stessa di Donna a fornire alla Pallade Atena gli strumenti con cui intraprendere le proprie virtuose battaglie: razionalità, sensibilità e saggezza. Per questo motivo la dea incarna un carattere psicologico in cui anche la Donna d’oggi si rispecchia, sotto lo slancio di nuove ambizioni e intraprendenze ma mossa dalla stessa archetipica emotività intellettuale, o intelligenza emotiva. L’intelligenza emotiva fa parte della natura complessa della Donna, anche se non è una prerogativa esclusivamente femminile. Può essere definita come la capacità di far dialogare testa e cuore, ossia combinare pensiero ed emozioni per prendere decisioni ottimali. Per molti secoli, il pensiero occidentale ha cercato di tenere distinta la parte razionale da quella emozionale. Inutilmente, perché psicologi e neuroscienziati hanno dimostrato come senza emozioni non possiamo letteralmente valutare, non siamo in grado di prendere decisioni. E l’intelligenza emotiva sembra essere l’arma per eccellenza della Donna Guerriera, poiché in questa tipologia di Donna, più che in ogni altra, l’emotività diventa cerebrale e sembra essere la somma ultima tra il meglio della femminilità e il meglio della mascolinità. Osservando il ritratto della dea, la prima s’indovina dai tratti affusolati del viso e dall’incarnato tenero, la seconda dalla postura eretta e dai simboli di fierezza che la dea ostenta. Ma quel che trafigge con garbo chi osserva il suo volto è soprattutto l’espressione ironica degli occhi e dell’enigmatico sorriso, molto somigliante a quello della Monna Lisa in quegli angoli delle labbra vagamente voltati all’insù. Questi tratti somatici sono specchio di una personalità sagace e intelligente.
Si sa che l’ironia è la più alta forma di intelligenza, sia nelle relazioni sociali, sia nell’affrontare i conflitti interiori verso se stessi. Ancora una volta psicologia e neuroscienze van d’accordo nel considerare l’ironia come una sorta di raffinata strategia per far fronte ai cataclismi psicologici quotidiani: sapersi guardare allo specchio con il giusto distacco e sorridere ogni tanto di sé aiuta sempre. E’ un’arma di difesa e di attacco che la giovane Atena, con il suo allusivo sorriso, sembra sfoderare e consigliare a tutte le donne, di ogni tempo e di ogni cultura, quale strategia psicologica per sopravvivere, e possibilmente, vincere ogni guerra. Atena insegna esattamente questo: non serve la violenza per comunicare la propria forza, basta uno sguardo intelligente, come quello di una Donna che sappia sfruttare la propria femminilità con l’ingegno dell’intelletto.



DONNA SEDUTTRICE

Tiziano, Venere di Urbino, olio su tela, 1538, Italia, Firenze (Firenze), Galleria degli Uffizi

La seduzione, insieme alla maternità, è tra queste declinazioni di psiche femminile quella più misteriosa per l’uomo. Forse anche perché è la più ancestrale e trasversalmente presente in ognuna delle altre declinazioni: la Donna crescendo può eventualmente diventare Madre, Regina o Guerriera ma inevitabilmente, sin dall’inizio della sua vita, impara a sedurre. La bambina seduce per compiacere e per ricevere affetto dai genitori e questo imprinting appreso dalla madre si sviluppa in diverse modalità nell’età adulta, perché la seduzione biologicamente assolve alla funzione di scelta in amore e, dunque, assolve alla procreazione.
Il linguaggio del corpo che la Donna usa per sedurre è, dunque, inutilizzabile dal suo complementare maschile, in parte resta persino incomprensibile e per questo fascinosamente potente. La Donna normalmente privilegia il tempo, mentre l'uomo propende per l'azione. La Donna palpita nell'attesa, l'uomo agisce direttamente. E questo fa sì che donne e uomini manifestino gestualità e trucchi diversi per comunicare la propria carica seduttiva. Il silenzio, la sospensione e il sottile piacere collegato al desiderio sembrano essere il filo conduttore di un comportamento femminile che spesso viene vissuto come sommerso, interiore, fonte di gratificazioni intense e decisamente personali, in cui l’attesa è già di per sé piacere. Nella donna la ciclicità, legata anche a fattori squisitamente biologici, sembra condurre e ricondurre le cose all'interno di un meccanismo immutabile e identico a sè. Laddove, invece, nell'uomo è la finalità lineare del ritmo a giocare una parte preponderante nel gioco seduttivo e forse è proprio quest’alternanza di tempi e di spazi, di vuoti e di pieni, a creare il dialogo tra i due.
Anche in questo caso, l’arte aiuta a condensare in uno sguardo concetti più complessi. Guardando la Venere di Tiziano, per esempio, pare di immergersi in un istante sospeso nel tempo. Non ci si sente soggiogati da una dea ma si è conquistati da una nobildonna nuda, sdraiata su un letto probabilmente appena svegliata, in attesa che le sue serve le portino i vestiti. Ma anche in attesa di qualcos’altro: di una reazione alla sua seduzione da parte di chi la ammira. La donna è un tutt’uno con la posa lasciva e tuttavia determinata, sfidante: con una mano si copre il pube, con l’altra regge un mazzetto di fiori che lascia languidamente cadere sul materasso, come fosse un invito a chi la osserva a osare di più, a fare un passo avanti. La sensualità della scena è accresciuta dal letto disfatto, dal tepore palpabile del corpo e dal suo sguardo provocante che penetra l’osservatore. Ecco: lo sguardo, l’inclinazione del capo e l’atteggiata morbidezza della postura sono la trasposizione di una grammatica che solo la Donna sa utilizzare per esprimere la propria sensualità. Una grammatica lenta e ponderata, che appartiene a un linguaggio ancestrale, poiché da sempre la Donna si serve della bellezza per conquistare e per confermare a se stessa la propria femminilità. Una femminilità che l’assenza di veli, come in questa Venere, rende pericolosamente vincente, addirittura mortale, se non fosse per quella mano che, pudicamente, impone il rispetto dell’attesa.

De Lempicka Tamara, La chemise rose - La camicia rosa, olio su pannello, 1933, USA, Florida, Courtesy Beatrice Levy

Una mano tra i capelli volutamente scomposti, le gambe accavallate in maniera disinvolta, un battito di ciglia allusivamente ammiccante. Sono solo alcuni dei gesti con cui la Donna, più o meno consapevolmente, lancia continui messaggi di seduzione che da puro istinto diventa arte. Il ruolo di amorevole madre o di autorevole guida non zittisce la voce erotica presente nella natura femminile che, a seconda delle epoche e delle culture, emerge in affascinanti sfumature comportamentali. Dalla seduzione alla trasgressione spesso il passo è breve e l’erotismo che scaturisce dalla personalità femminile dipende, naturalmente, dalla risposta della controparte, dell’altro-da-sé. Difficile, quindi, distinguere in questa tipologia l’Essere Donna dall’Essere Uomo, perché è come se dall’incontro delle due metà scaturisse una terza forma di Essere, mediata dal linguaggio dei due protagonisti.  
Un esempio di seduttrice fortemente trasgressiva è certamente Tamara De Lempicka. Non semplicemente un’artista ma un esempio di anticonformismo esistenziale all’insegna della più raffinata sensualità. Donna dall’audace personalità, sosteneva di non seguire la moda – sia nella vita sia nell’arte - ma di “farla”, cioè di distinguersi dalla “normalità” creando un’alternativa alla normalità. Con l’eleganza di un fuoriclasse, la pittrice sembra interpretare perfettamente il desiderio e insieme la necessità che ogni Donna ha di sedurre gli altri a conferma della propria femminilità.
Femminista ante litteram, disinibita e amante della bella vita, assurge come emblema in questa categoria psicologica poiché visse senza regole, tra lussuria, lusso e fama. Visse la vita che avrebbe voluto vivere, in bilico tra l’effimero, come l’amore per la moda, e l’arte, cui donò impegno e dedizione. Il suo spirito libero è palpabile e sempre presente nelle sue opere, che, proprio per questo trasparire dei sentimenti, sembrano pure e incontaminate, come solo le istantanee delle emozioni riescono ad essere. Tuttavia, nella forma di seduzione da lei raccontata emerge un tratto in più: trapela una forte consapevolezza dell’emancipazione sessuale della Donna che, da rappresentazione su tela diviene incarnazione di molte donne d’oggi. E’ vero che con quello sguardo rivolto lontano, con il volto reclinato e con il reggiseno scivolato quanto basta per suscitare eccitazione, la ragazza mira a sedurre. Ma è anche vero che l’osservatore sembra superfluo, poiché ella si sente già vincente, affascinante e completa in quel suo rivelarsi appena. E’ una Donna perdutamente libera dal senso del peccato e non sente quindi il bisogno di mascherare la propria sessualità, anzi le piace esibirla se pur elegantemente, inseguendo il gusto del proibito. Sembra sognare ad occhi aperti, forse un nuovo amore o forse solo l’illusione di un amore, scivolata in un mondo abitato fondamentalmente solo da se stessa, consapevole del potere non solo seduttivo ma anche distruttivo che una Donna con le sue infinite voci interiori può esercitare.

(Pubblicazione per ALFAWASSWERMANN, Studio Moruzzi, Giugno 2013)

martedì 25 giugno 2013

Il Sogno



Mi sveglio sognando. 
Poesia nel cuore, eccitazione nella mente … da cosa dipende?
Dal ricordo di un sorriso, dall’impronta di una carezza, dall’eco di un bacio? 
O dal desiderio di trasformare quel ricordo in un nuovo incontro?
A te la risposta.
A me il sogno.

venerdì 21 giugno 2013

La donna che sussurrava ai pellicani



Circa cinquant’anni fa lo Yucatan era ancora una coriacea distesa di sabbia e rocce, simile a uno sperone galleggiante proteso tra il Mar dei Caraibi e il Golfo del Messico. In superficie, una landa vergine popolata da iguane, facoceri, felini, scimmie e serpenti, avviluppata dall’intreccio di mangrovie assetate di sale. Sottoterra, un dedalo di fiumi e rivoli d’acqua dolce che formano i cosiddetti “cenotes”, tunnel e grotte di stalattiti e stalagmiti dai colori fiabeschi che tutt’oggi si possono visitare ripercorrendoli a nuoto dal cuore della terra fino allo sbocco in mare. Alla fine degli anni 60, un gruppo di speculatori alla riscossa ha trasfigurato vertiginosamente il volto naturale di quest’angolo di Messico rimpiazzandolo con ambiziosi disegni umani. E’ nata così Cancún. E l’isola dello Yucatan, lunga 23 chilometri con capitale Chetumal, separata dalla terraferma da due canali collegati al mare attraverso una fitta rete di fiumi e lagune, s’è trasformata in un cocktail da brochure patinata, a metà tra Las Vegas e Miami: mega alberghi, centri commerciali, ristoranti, discoteche, torri panoramiche, zoo e acquari. Tutto ricorda un immenso parco giochi, dove la Natura è stata definitivamente addomesticata nei Parchi di Xel-Ha, Xcaret, Xplor, e dove persino i delfini sono stati turisticizzati per nuotare con noi umani all’interno del Delfinario, grande attrattiva della Riviera Maya.
Oggi, la Riviera che si srotola da Cancún verso Sud per 
oltre 135 chilometri è pressoché questo: il mare da un lato e la giungla dall’altro, separati dalla mano dell’uomo, la carretera 307. Tuttavia, per riscoprire il volto nudo dello Yucatan, basta spingersi un po’ più a sud e infilarsi nel labirinto di sentieri nascosti dalla foresta, che come linguaggi segreti portano a baie ancora selvagge affacciate sulla barriera corallina del Belize, la seconda per ricchezza dopo quella australiana.
Dimentichiamo per un attimo, quindi, Playa del Carmen e la  Quinta Avenida per avventurarci nel cuore di Akumal, Tulum e Sian Ka’ an.
Akumal è la Baia delle Tartarughe che, tra aprile e ottobre, di giorno nuotano come angeli a pochi metri dalla riva, mentre la notte risalgono guardinghe il bagnasciuga per cercare un angolo indisturbato dove deporre le uova. E’ imperdibile nuotare insieme a loro, pare di volare in un acquario dove il tempo è dilatato e rallentato. E’ qui che s’impara a sentirsi ospiti del mare, parte della Natura, e non dominatori di essa e se non fosse per i ristorantini che popolano la spiaggia di borotalco di Akumal si avrebbe l’illusione di un insperato ritorno all’Eden perduto.
Salutando le tartarughe e riprendendo la carretera, si scivola ancora più a sud, fino alla più nota spiaggia della Riviera Maya, Playa Paraiso, che carezza Tulum. Una lingua di sabbia candida lunga 10 chilometri dove si erge sovrana l'unica acropoli maya sulla costa, poiché questo luogo in origine non era una città fortificata bensì un porto. Le rovine di El Castillo e del Tempio del Dio Discendente, la misteriosa divinità a testa in giù, assumono le sfumature che il sole dona loro, mentre gigantesche iguane riposano indifferenti alla presenza umana tra rocce roventi e  palme assetate di vento. Un tuffo in mare, dopo aver ripercorso secoli di storie truci e leggende inquietanti, è un sollievo soprattutto quando la temperatura e l’umidità diventano implacabili.
Ma è proseguendo oltre Tulum pueblo che si tocca definitivamente l’anima più vergine della Riviera Maya. Percorrendo una lunga strada sterrata che dal cuore di Tulum sbocca al mare, si arriva a Sian Ka ‘an, una biosfera tra laguna e oceano avvolta nella giungla, dichiarata patrimonio mondiale dell’Unesco. Qui sorge anche una delle case di Antonio Banderas, ben occultata ai curiosi dalla folta foresta. Osservando l’intrico di piante, ci si stupisce di come la vegetazione sia riuscita a sconfiggere la roccia spingendo le sue radici in profondità nella dura terra per trovare l’acqua. Qui vive stabilmente una comunità di messicani di circa 600 persone; la biosfera infatti non potrebbe ospitarne più di 900, pena l’equilibrio dell’ecosistema. Anche la pesca, prima fonte di sostentamento, è regolata e limitata giornalmente per non violentare il mare. La gente di Sian Ka ‘an è semplice e accogliente, non sempre ha un tetto ma ha quasi sempre un’amaca in cui dormire, cullata dalla fresca leggerezza del vento. Una scuola, una chiesa e una specie di farmacia, tutto qui. E se la vita degli abitanti si ripete identica a se stessa ogni giorno in ogni stagione, quella del turista ha molto più di cui godere. A bordo di lance si può andare alla ricerca di delfini e tartarughe in libertà, lontano dall’artificiosità dei parchi acquatici, soffermandosi a fare snorkeling nelle piscine naturali in cui si tuffano le mangrovie. Solo pesci, stelle marine, rettili e uccelli: dalle fregate magnifiche ai pellicani pardi, dai cormorani all’aquila marina.
Anche qui si sapora l’anima della Natura cui vien spontaneo avvicinarsi con pudico rispetto. Se si è fortunati, ci si può trovare completamente soli e assistere ai voli acrobatici dei pellicani che ingordi pescano i pesci. Sono buffi e vagamente sgraziati nel loro tuffarsi in acqua: pesantemente s’alzano nel cielo sospinti dal vento per avvistare dall’alto il boccone di turno, poi si gettano a capofitto nel mare, come frecce lanciate da un arco invisibile, l’istinto. Se sono abili riemergono col lungo becco rigonfio di pesce, altrimenti tocca loro ripetere la pesca, impresa faticosa poiché il piumaggio dei pellicani è folto e permeabile. Per questo, prima di ogni tuffo, si spalmano sulle penne un olio che il becco secerne spontaneamente e che li rende più agili nel mare. Anche la loro pancia è strutturata per agevolare l’impatto con l’acqua essendo provvista di un naturale air bag che ammortizza il colpo. Non esibiscono canti melodiosi i pellicani, eppure con quell’occhietto luminoso che osserva attento dall’alto del becco, sembrano comunicare anche con noi. E’ come se benevolmente si concedessero alla curiosità umana lasciandosi avvicinare senza apparente timore. Guardandoci, paiono dire: “Va bene, resta pure qui, creatura che non appartieni né al mare né al cielo. Tu non m’interessi perché non rubi il mio pesce e non usurpi la mia aria e se non ti avvicini troppo possiamo essere amici.”
Per qualcuno un linguaggio tra noi e gli animali, pellicani compresi, esiste davvero, mentre per altri, i più, è solo una follia. Eppure trovandomi spesso sola sulla spiaggia a osservare i tuffi pindarici dei simpatici pennuti, ho sussurrato loro parole buffe senza alcun imbarazzo, fiduciosa d’essere in qualche modo ascoltata e capita. E ho ringraziato non so quale invisibile presenza che solo il vento fosse testimone di questa complice intesa tra Donna e Natura.
Questo è il Messico! 

(Su Mete d'Italia e del Mondo di luglio)

mercoledì 19 giugno 2013

Messico, nuvole e amore



L’accoglienza del Messico è stata piuttosto scoraggiante, a dire il vero. Una coda d’uragano che ha colpito Miami ha lambito per qualche giorno anche la Riviera Maya donandole un malinconico sapore autunnale. Tuttavia i giorni di pioggia, calda come lacrime, sono presto sfumati nell’oblio, cancellati definitivamente da un sole avvolgente e penetrante come il chili yucateco.
Un calore avvolgente e penetrante come l’abbraccio che mi ha accolto al Pavoreal, un resort immerso nella natura selvaggia alle porte di Tulum, ancora pressoché sconosciuto al pubblico italiano che continua a preferire l’artificiale lusso di Playa del Carmen all’imprevedibile bellezza della Terra. Il privilegio d’essere una tra i pochi ospiti del resort mi ha permesso non solo di sincronizzarmi col ritmo quieto del cuore messicano ma anche di tessere fili emozionali profondi e sinceri con le persone che animano il piccolo villaggio.
A loro dedico spontaneamente queste righe, prima di decantare panorami ed esperienze vissute qui, per ringraziarli dell’indimenticabile affetto che mi hanno regalato.
Prima tra tutte c’è Angela, la receptionist dal sorriso d’angelo, sempre disponibile e complice delle necessità dei clienti. E’ lei, con la sua garbata presenza, che dà il benvenuto in quest’angolo di paradiso, dove regna sovrana la voce del mare, del vento e degli uccelli,  incontrastati sovrani del luogo, insieme a draghesche iguane, goffe rane e granchi azzurri.
Serena è invece la jefe del equipe, il capo dello staff d’animazione, tanto rigorosa nell’organizzare il programma di lavoro quanto sensibile alle più impercettibili sfumature dei sentimenti. L’ho battezzata Marlene Dietrich, per via della sua voce calda e della sua forte carica femminile in scena.
Poi c’è Giulia, che se non esistesse bisognerebbe inventarla. Lei non danza solo con il corpo, dai riccioli all’alluce, ma con l’anima e con tutta se stessa trasmette una vitalità contagiosa cui è difficile resistere. Mi ricorda Jo, di Piccole Donne Crescono, per la sua incontenibile energia e bramosa curiosità di conoscere il mondo.
Riccardo è la più recente new entry del resort e con la sua discreta presenza riesce a risultare comico senza muovere un dito, anzi…muovendo solo un dito persino quando balla. L’ho chiamato Mr. Bean, con tutto il rispetto per il suo aspetto fisico, il fatto è che strappa una risata solo a guardarlo.
Infine, ci sono i due ragazzi che più di tutti mi hanno toccato il cuore, Jacopo e Andrea.
Jacopo sul palco trasforma il tumulto delle sue emozioni in movimento, lui non balla semplicemente ma si racconta e si esprime spremendo l’anima alla ricerca di sempre nuova energia. Anche se, leggendo alcune sue poesie e racconti, credo che dentro il ballerino si nasconda il germe dello scrittore, romantico e struggente. Per questo il suo modo d’essere mi ricorda il delicato misticismo di William Blake.
E poi c’è Andrea, sorriso angelico e sguardo seducente. E’ votato al musical, lo si sente quando canta, quando balla ma anche semplicemente standogli accanto perché in lui vibra l’artista da grande palcoscenico. Mentale e sentimentale, ha la tempra del conquistatore, di terre e di cuori, per questo mi ricorda il grande Giulio Cesare.
Ognuno di loro - insieme agli Chef, ad Alessandro il pasticcere, a José el cocinero habanero màs sabroso de la Riviera Maya, e a tutto il personale messicano del Pavoreal – hanno trasformato le nuvole in sole e il vento in un abbraccio. Ognuno di loro ha lasciato impresso il suo sguardo nella mia mente e la sua voce nel mio cuore e ora vorrei salutarli così:
Angela, convinci la direzione a investire di più sul Pavoreal perché realizzi tutte le potenzialità che ha in sé, lo merita davvero!
Serena, continua a cantare coma Marlene ma dai meno crocette ai tuoi ragazzi, ti vogliono bene come tu a loro!
Giulia, non spegnere mai quel sorriso che t’illumina, è un dono raro!
Riccardo, occhio che prima o poi al Dreams s'accorgono che non sei americano e ti becchi un sacco di crocette!
Jacopo, l’amore può far paura ma è anche una straordinaria fonte d’energia e d’ispirazione: vivilo con coraggio!
Andrea, prima di venire ad applaudirti a La Scala, spero di rivederti dalle nostre parti, per rinnovare il prolungato abbraccio che ci siamo scambiati alla partenza!
E siccome le partenze sono sempre dolorose, vorrei asciugare le lacrime dell’addio con il sorriso dell’arrivederci. Perché, a volte, una semplice vacanza può trasformarsi in sentimento e non avere mai fine.