domenica 17 aprile 2016

Il mio sogno


Mi sveglio all’alba tormentata da un sogno.
Fuori, un vento prepotente agita il lago e il primo pensiero, aprendo gli occhi nel semibuio, è che io somiglio al lago. Il mio sogno è il suo vento.
Mi trovo completamente nuda al principio di una spiaggia deserta. Davanti a me, su una lingua di sabbia dorata dal sapore africano, una lunga fila di fenicotteri bianchi e rosa procede in riverente processione, tagliando esattamente a metà lo scenario dal profilo surreale. Sotto la processione rosa, il folto tappeto di granelli dorati; al di sopra, l’evanescenza celeste del cielo mescolata al blu del mare.
Mi sento sopraffatta da tanta bellezza, un inatteso privilegio, perché sono completamente sola e voglio a tutti i costi fermare questo spettacolo, prolungarlo, toccarlo per goderne ancora, sempre … Così vado incontro ai fenicotteri incuranti della mia presenza e mi armo dell’unico strumento in grado di rendere in qualche modo eterno quel miracolo della Natura: la mia macchina fotografica. Il contrasto è totale, lo avverto in uno spiraglio di coscienza onirica. Loro, i fenicotteri, abbracciati dall’eleganza della naturalezza. Io, goffamente nuda, armata di tecnologica vanità.
Cerco in tutti i modi di accendere l’apparecchio, lo esploro con una difficoltà nuova, immane, non lo riconosco … non trovo i pulsanti, non so come usarlo, non riesco a fare funzionare ciò che mi è stupidamente familiare. E intanto i fenicotteri sfilano, uniti da un segreto dialogo, lentamente si allontanano dalla portata del mio sguardo, danzando all’unisono sulle zampe flessuose che li portano da est a ovest, richiamati da chissà cosa o chi. Vorrei allungare la mano per fermare lo spettacolo, come fosse una pellicola da riavvolgere a piacere, eppure non posso. Resto così nuda e impotente con i piedi sprofondati nella sabbia a leccare con gli occhi l’ultimo sprazzo di rosazzurro, l’ultima piuma lambita dal mare che, piano piano, diventa il lago.
Il lago agitato dal vento.
E mi sveglio.
Un improvviso senso di frustrazione mi assale. Combattuta tra l’estasi estetica di un sogno ancora acceso e la sensazione di vuoto che mi ha lasciato, mi chiedo che senso dare a quel messaggio onirico. E perché mi sento così triste.
La risposta sorge spontanea come il primo vagito del mattino.
La bellezza, così come la giovinezza, la gioia, l’amore, sono doni tanto immensi quanto evanescenti. Nulla può contro il tempo. Nulla può scolpirli in una istantanea da gustare e rigustare a piacere, perché un istante dopo il loro nascere, non ci sono più. Nessuno strumento umano ha il potere di vincere la caducità, di ingabbiare l’evolvere della bellezza, intesa come tutto ciò che di desiderabile l’esistenza ci offre. Non ci resta che ammirarla quando arriva, accettando la nostra nudità con gratitudine e umiltà. Perché a volte l'unico modo per essere protagonisti è accettare di essere spettatori.
L’unico strumento, forse, a nostra disposizione per assaporare appieno la bellezza della vita è la curiosità: l’apertura degli occhi, della mente e del cuore di fronte a tutto ciò che ci rende privilegiati protagonisti di un sogno, effimero sì ma ricamato apposta per noi.

Così mi alzo, guardo fuori... nessun fenicottero, né mare, né sabbia. Solo io e il mio lago agitato dal vento. Il mio sogno di tutti i giorni.