lunedì 8 aprile 2013

Il pollo di Newton



La cena era in tavola da tempo ormai ma Isaac Newton, immerso nei suoi studi, non si era ancora mostrato in sala da pranzo. L’amico William Stuckeley era sempre più impaziente e affamato. Alla fine sollevò il coperchio dal piatto scoprendo un pollo. Se lo mangiò tutto, poi furtivamente rimise a posto il coperchio. Alla fine Newton arrivò, salutò l’amico e si mise a tavola. Sollevò il coperchio e vide che sul piatto erano rimaste le ossa. Serafico, commentò: “Come siamo distratti noi filosofi. Ero proprio convinto di non aver ancora mangiato!”
Questo gustoso aneddoto riportato da Massimiano Bucchi nel suo libro “Il pollo di Newton,” edito da Guanda, esprime la concezione che la figura dello scienziato ha alimentato per molto tempo nell’immaginario collettivo. Quella, cioè, di un corpo essenzialmente ascetico e di una mente tanto sublimata nel ragionamento astratto da dimenticarsi completamente di dettagli materiali, come il cibo appunto. Eh, sì, perché perdere tempo a mangiare quando c’è così tanto cui pensare?
Tuttavia, paradossalmente questo episodio rivela anche quanto sia stretta la relazione tra scienza e cucina: pur considerandola indegna di un filosofo, la cucina - ovvero il piacere del cibo - è ritenuta responsabile delle sue distrazioni. Dunque, la sua importanza diventa logicamente incontestabile.
Di fatti, Massimiano Bucchi – docente di Scienza, tecnologia e società all’Università di Trento – dimostra che la scienza s’inserisce in cucina non tanto come incomprensibile fattucchiera dello straordinario, quanto come semplice manifestazione dell’esperienza quotidiana. Basterebbe osservare come la maionese riesce ad addensarsi oppure a impazzire per intuire che la riuscita o il fallimento della preparazione dipendono essenzialmente da questioni chimiche, molecolari, dunque scientifiche. 
Di conseguenza, se la scienza è sempre stata a fianco della cucina, il palato, insieme al naso, è sempre stato strumento conoscitivo per eccellenza, non meno sensibile e affidabile dell’armamentario sperimentale con cui la natura è abitualmente interrogata.
Attraverso una serie di aneddoti davvero gustosi – da Francis Bacon a Isaac Newton, da Benjamin Franklin a Louise Pasteur – Bucchi non solo svela le inattese modalità di intersezione che tuttora esistono tra scienza e cucina ma offre anche un’interpretazione dei rapporti tra scienza e società nel corso dei secoli. Infatti, allorché la scienza si afferma sul piano sociale come istituzione di rilevanza e autorevolezza, diviene anche un modello cui la cucina può ispirarsi (basti pensare all’attuale cucina molecolare). Dal canto suo, la cucina può essere considerata anche come un’opportunità di divulgazione seduttiva di contenuti scientifici altrimenti poco digeribili da tutti.
A proposito: sapete tutti, vero, perché la maionese impazzisce?