sabato 9 marzo 2013

Sapori e dissapori dai fornelli alla Tv



Le astuzie psicologiche della televisione gastronomica, tra seduzione e mortificazione d’intramontabili appetiti

Sono passati quasi quarant’anni da quando andò in onda la prima trasmissione di cucina in Italia.
Fu il sorriso materno di Wilma De Angelis, nel 1979, a spalancare il sipario su un palcoscenico destinato a fare del cibo spettacolo e degli chef attori. Il cammino, in realtà, fu per diversi anni pacato e rassicurante con una graduale dilatazione della spettacolarità dell’arte culinaria. Tutti ricordano con nostalgico affetto la simpatia di Corrado che, negli anni ‘80 intratteneva le famiglie con “Il Pranzo è servito”, imperdibile parentesi di relax per tantissimi italiani, trasmissione che ancora oggi sopravvive se pur in altre vesti.
Bei tempi quelli! Non solo perché eravamo tutti più giovani ma anche perché certe trasmissioni emanavano emozioni positive, di domestica serenità. Anche quando la sfida tra gli chef si mostrava appassionata, l’atmosfera ricalcava l’ambizione di due amici che si misurano nella complicità di un gioco alla pari, tra sorrisi e pacche sulle spalle, dove alla fine nessuno era mai moralmente sconfitto. Un’atmosfera amichevole e famigliare sottolineata anche dalle sigle musicali candide, fanciullesche, in cui lo spettatore di passaggio era invogliato a cullarsi senza timore, tornando ogni giorno a questo piacevole appuntamento con la tv gastronomica. Naturalmente, alla simpatia del conduttore e all’abilità dei cuochi seguiva il giudizio del pubblico in studio e a casa ma l’assenza di severità lasciava in fine il sapore di una messinscena leggera e divertente. La trasmissione era poi coronata da un paio di ricette semplici e alla portata della più maldestra casalinga, da mettere in opera alla prima occasione, magari fischiettando le note allegre del programma.
Negli anni, la tradizione di questi primi embrionali show culinari s’è tramandata con crescente ingordigia, sia da parte degli attori abbagliati dalle luci della ribalta, sia dei telespettatori sempre più avidi di proiettarsi in sfide impossibili ai fornelli, immedesimandosi di volta in volta con lo chef del cuore.
Oggi, per fortuna, da un lato resistono le intramontabili rubriche gastronomiche che saporano di cultura, anche se costrette spesso in spazi tristemente angusti. D’altro canto, proliferano programmi dedicati alla preparazione della ricetta del giorno, condotti prevalentemente da gentili mani femminili che mescolano simpatia, informalità e un pizzico di imbranataggine, tanto per tranquillizzare chi sta a casa e portarlo sullo stesso piano di chi sta in tv. Tuttavia, la vera novità è che spopolano e si moltiplicano programmi decisamente più audaci, prevalentemente condotti da chef coi pantaloni, che con ostentata arroganza infiammano gli animi dei telespettatori non attraverso il garbato solletico dei sensi bensì attraverso l’esasperata provocazione dei nervi. Basterebbe soffermarsi sul sottofondo musicale di alcuni programmi di guerra gastronomica per percepire il messaggio emotivo sotteso: non più il ritornello naif di Corrado ma una suspense sonora alla Dario Argento, che amplifica pause, sospiri e colpi di scena del duello all’ultimo sangue tra chef e conduttori. Complice del pathos scenico ad alta tensione è la telecamera che indugia impietosa nelle pieghe espressive dei partecipanti fino a cogliere malcelati sudori e contagiosi batticuore.
Il successo di questi show è indiscutibile, sia in Italia sia all’estero, e i casting per parteciparvi sono ambitissimi, vista la fama assicurata dei protagonisti. Tuttavia questo spostamento dal piacere del cibo al piacere della persona testimonia come sia andato perso il sapore ingenuo delle prime trasmissioni e si sia inquinato il rapporto tra conduttori, cuochi e telespettatori ma, soprattutto tra le persone e il cibo! Cibo che da inconsapevole protagonista sembra essere scivolato in secondo piano, divenendo solo una comparsa, un volgare pretesto per dar sfogo a emozioni e reazioni elementari che nulla hanno a che fare con l’alimentazione né con l’arte culinaria.
Su questi palcoscenici, infatti, succede di tutto: si chiacchiera, si spettegola, si maligna, ci si offende, ci si consola, si ride, si soffre, si piange e si esulta. Quello che si fa poco è cucinare, appunto, o insegnare a cucinare.  E tanto meno mangiare. La sensazione diffusa è che il valore del cibo in questo tipo di tv sia sempre più mortificato e disprezzato, perché esso non è più veicolo di cultura ma di primaria emotività. E l’overdose di programmi di questa fattispecie tende da un lato a fagocitare il pubblico in un vortice aggressivo, dall’altro a trasformarlo in un unico grande cannibale, sempre più dipendente e acritico nei confronti della quotidiana indigestione mediatica.
A tutti, infatti, sarà capitato di inciampare in queste trasmissioni durante lo zapping, se non altro per affrettarsi a cambiare canale prima di esserne ipnotizzati. Qual è, allora, il segreto di tale successo? Questi show stimolano dei meccanismi inconsci comuni a tutti noi, che i programmi piacciano o no. L’astuzia psicologica è disarmante nella sua semplicità: l’ossimoro di attrazione-repulsione, di piacere-crudeltà, di seduzione-mortificazione è intrinseca all’essere umano e suscita un’inevitabile spinta di immedesimazione, di reazione proiettiva nei confronti degli attori attorno ai fornelli. Così, emotivamente rapiti, da casa partecipiamo ineluttabilmente al sadismo del giudice conduttore o al masochismo dell’apprendista chef, dimenticandoci completamente del cibo, della ricetta e delle cose buone, lasciandoci piuttosto risucchiare da una viscerale partecipazione psichica. Questo tipo di coinvolgimento somiglia molto ai moti perturbanti suscitati dalle esibizioni a sfondo erotico-sessuale: pur sapendo che è tutta una messinscena e che gli attori sono semplicemente caricature delle nostre attese, ci si abbandona all’evoluzione, o involuzione, dei sentimenti di fronte a un’intimità sempre più profanata dall’esasperazione delle emozioni forti.
In fin dei conti, non dovremmo sorprenderci né scandalizzarci. La chiave del successo di questi show è la stessa dei programmi di trent’anni fa, perché essi sono figli del tempo che li accoglie: non fanno altro che dare in pasto al pubblico il menù che il pubblico vuole. Pubblico che, alla fine, è l’unico veramente cotto a puntino.
Come diceva il buon Corrado, anche oggi il pranzo è servito, solo con ingredienti diversi.
E chi non gradisse, può sempre cambiare canale!

Paola Cerana
Mete d’Italia e del Mondo, Aprile 2013