martedì 20 gennaio 2015

Geografie del Tempo



Scorgendo una nuvola
Penso ad alta voce
Quant’è bello
Il cielo da quaggiù

Quante volte ci capita di avere dei pensieri che crediamo appartenere solo a noi e invece poi scopriamo che altri hanno espresso le nostre stesse riflessioni, magari con parole assai migliori! Pensieri, sentimenti, emozioni identiche a distanza di secoli, di chilometri, indifferenti all’idioma e all’appartenenza geografica, che si ripetono rimbalzando qua e là nel mondo o, chissà, nell’Universo.
La poesia qui sopra, così apparentemente puerile, avrei voluto scriverla io ogni volta che, col naso all’insù, mi sono sentita rapita dalla bellezza di un fazzoletto d’azzurro spruzzato di bianco. Invece è di Wordsworth, delicato poeta inglese che, tra il 700 e l’800, proprio in virtù del suo fanciullesco candore verso la Natura è stato a lungo sbeffeggiato dai suoi contemporanei e dagli intellettuali più razionali.
Rivalutato definitivamente dopo la sua morte, vive ormai in eterno, grazie alle sue parole gentili, soffici, grate a una Natura che lui sapeva cogliere nei minimi dettagli, dal filo d’erba al ruscello, dalla coccinella al volo d’uccello. Sapeva coglierla e cantarla in Odi degne del più sublime paesaggio, animale, fiore o frutto che avesse il privilegio d’incontrare il suo sguardo.
Dei suoi pensieri, uno in particolare mi attrae. Un pensiero che con presunzione credevo fosse solo mio o di pochi altri sconosciuti sparsi per l’Universo. Ed è questo: Wordsworth, mettendo a confronto la Londra del suo tempo e le campagne circostanti, si chiedeva “come si potesse vivere anche tra vicini da perfetti sconosciuti ..” Quel “mondo turbolento di uomini e cose” che era Londra rappresentava per il poeta un danno, non solo per la salute del corpo ma soprattutto per la salute dell’anima.
Wordsworth accusava la città di favorire emozioni malevole, fatali! Invidia, orgoglio, egoismo, ambizione, superficialità e indifferenza agli altri … ed era convinto che solo la campagna, il contatto con la natura potesse stimolare e ristabilire un atteggiamento benevolo verso sé e verso gli altri. Non è un concetto originale, è vero, e nemmeno esclusivo di Wordsworth (o mio) visto che molti filosofi e intellettuali hanno pascolato sui simili campi di riflessioni, elogiando il rifugio nella Natura come salvezza dell’anima. Eppure, sarà per la semplicità con cui Wordsworth carezza l’argomento o sarà per il suo sguardo francescano nei confronti di ogni Creatura, a partire dall’erba o dalle nuvole, che lo sento particolarmente vicino a me. Molte delle sue Odi somigliano a Haiku e anche se la metrica inglese non obbedisce alle leggi delle poesie giapponesi, penso a Wordsworth come a Basho, per la suggestione che le immagini di poche righe sanno infondere.
Penso a cosa abbiano sentito ‘dentro’ questi poeti al cospetto di un tramonto o di un’alba, di un temporale o di un arcobaleno, linguaggi naturali universalmente comprensibili, certo, ma particolarmente cari ai bambini, agli innamorati e agli artisti. Paesaggi e panorami non solo esteriori ma intimi, che corrispondono agli archetipi dell’animo umano, per questo dunque sono ricorrenti e rimbalzano nello spazio e nel tempo, privandoci dell’esclusività di pensiero. Ci sono poi personaggi, come Wordsworth, che sanno dar vita nuova a questi scenari esteriori traducendoli in vibrazioni interiori attraverso l’enfasi delle parole. E c’è chi, invece, se li tiene stretti dentro, silenti ma nascostamente vivi.
Vero è che certi spettacoli naturali ci accompagnano per tutta la vita e col loro silenzio ci parlano: penso ai miei deserti, agli oceani, alle isole che tanto amo e che, quando si riaffacciano alla mia coscienza, fanno riaffiorare insieme al panorama anche il sentimento che l’ha animato la prima volta. Spesso, questi ritorni di fiamma, queste istantanee di memorie emotive e sensoriali, diventano medicine: è come se venissero in soccorso nei momenti di particolare solitudine, per farmi compagnia. 
Anche a questa sensazione di intimo conforto diluito nel tempo, sensazione che credevo essere solo mia, Wordsworth aveva dato un nome, un nome bellissimo: “Geografie del tempo”.

Esistono nella nostra vita geografie del tempo,
che con netta preminenza conservano
una forza rinnovatrice
che penetra, che ci permette di salire
già alti, ancor più in alto, e ci solleva quando cadiamo.