giovedì 29 ottobre 2015

UN DOLCE … RITORNO A CASA AL PROFUMO DI BANANA





L’America è grande. In tutto.
Rientro dai suoi spazi immensi e vertiginosi con il bisogno di planare nel mio abituale spazio, per ritrovare la dimensione della quotidianità, del dettaglio, dell’intimità. E, guarda caso, lo faccio sospinta da un preciso ricordo legato all’avventura americana ancora fragrante.

Un ricordo nato da un sapore, quello di un dolce assaggiato là, che – un po’ come la tenera madeleine di Proust – solletica non solo i sensi ma soprattutto le emozioni.
Si tratta di quello che gli Americani chiamano Banana Bread – pane di banana – che in realtà nulla ha a che fare con il pane, ma possiede l’anima e l’aspetto di un goloso plumcake a base di banane mature, dalla  consistenza invitante, soffice e spugnosa.
Il termine “bread” sarebbe la risposta statunitense al “loaf” britannico: ovvero un cake – un dolce – da affettare, adatto per la prima colazione e per il te del pomeriggio. In realtà, in America il Banana Bread è sempre gradito, anche durante il brunch, e personalmente lo trovo perfetto soprattutto la notte, prima di dormire, quale preludio a soffici sogni!
Il profumo che questo dolce sprigiona è molto persistente e ne anticipa il sapore, pastoso e rotondo, e forse per questo alimenta i ricordi e farcisce le memorie di sensazioni dense di piacere.
Decido dunque di prepararlo oggi, appena tornata: un invito alla grande America a fare ingresso nel piccolo mondo di casa mia.

Ingredienti

Polpa di banane, 450 g (quattro banane molto, molto mature)
Zucchero, 120 g (o stevia, un’alternativa sana e altrettanto buona, consigliata dall’amica Maureen, ottima cuoca!)
Sale, un pizzico
Limone q.b.
Uova, 2
Farina, 200 g
Lievito in polvere, 6 g
Burro, 120 g
Cannella, ½ cucchiaino
Bicarbonato, 3 g
Noci, nocciole e cioccolato (piacere nell’impasto, a seconda dei gusti)

Imparando dall’amica Maureen che le dosi sono importanti, certo, tuttavia il segreto del successo finale va affidato ai sensi, all’intuito, a quella comunicazione silente che ogni mano esperta intrattiene con gli ingredienti e con gli strumenti di lavoro. Complici l’olfatto, immancabile nell’arte culinaria, e l’amore per il piacere.

Guidati dunque da queste bussole invisibili squisitamente femminili, si procede con la sapienza della manualità.
Innanzitutto si schiaccia con la forchetta la polpa delle banane fino a renderla pastosa, inumidendola con qualche goccia di limone per evitare che annerisca.
In una ciotola si monta il burro ammorbidito con lo zucchero (o la stevia) fino a tradurli in un composto spumoso, al quale vanno uniti le uova e il sale.
A questo impasto già di per sé attraente vanno aggiunte le banane lavorate, fino ad amalgamare bene tutto, lasciando che il profumo di frutta matura si sposi definitivamente con gli altri ingredienti, inebriando le narici.
Al composto profumato vanno infine aggiunti la farina setacciata, il lievito e il bicarbonato. Ultima seduzione olfattiva, il tocco di cannella.
Si procede imburrando e infarinando uno stampo da plumcake, versandone il composto che non deve superare i 2/3 della forma. Noci, nocciole o gocce di cioccolato possono essere cosparse sulla superficie, oltre che nell’impasto, in modo da rendere più croccante l’impatto al palato.
Non resta che infornare a 180 gradi per 60 minuti circa, controllando la cottura con il trucco dello stecchino.
Il Banana Bread va lasciato decantare e va affettato tiepido, quando i sentori olfattivi lasciano il posto agli stimoli gustativi. In questo modo tutto l’ambiente finisce col godere del suo profumo caldo e avvolgente. Profumo di tropici e di casa, di esotico e di familiare, al tempo stesso. Profumo di buono, da condividere con gli amici, con la famiglia, in semplice armonia.
Anche questo è America. Un’America che dalle sue esagerazioni sa ricavare anche intime  emozioni. Infatti, la storia del Banana Bread pare essere legata a un evento storico di monumentale importanza: sembra che il dolce sia nato durante la Grande Depressione quando, per esigenze di economia domestica, le donne utilizzavano tutto in cucina, anche avanzi, scarti e materie prime al limite del decoro. Come, appunto, le banane annerite dall’eccessiva maturazione, meno buone ma meno costose.
Da cibo umile, dunque, a ricca tradizione. Nel 1933 il Banana Bread compare per la prima volta nel Balanced Recipes Cookbook della Pillsbury Company e conquista definitivamente gloria nel 1950 grazie al Chiquita Banana’s Recipe Book.
Il Banana Bread, negli anni, ha guadagnato anche un suo National Day, che cade il 23 febbraio. E anche se oggi è solo il 29 ottobre, mi piace eleggere il Banana Bread come il mio dolce personale, per celebrare un dolce ritorno a casa.
Thank’s America!

domenica 4 ottobre 2015

Memoria o desiderio


Giornate come questa inducono all’ozio.
Avvolta nel caldo abbraccio di una coperta, somiglio alla montagna di cui perdo i contorni, così ammantata di avide nuvole. Nuvole spumose e dense che inghiottono anche il sottile confine tra lago e cielo, tra acqua e terra, tra estate e autunno.
Così, abbandonata a una sensuale indolenza che scalda più di una coperta, mi trastullo con i contorni di me stessa chiudendo fuori il freddo, la pioggia e le nuvole.
Dentro, solo sole. Le carezze dell’amore.
Sole che gioca a rimbalzare ricordi e sogni, in un’immaginaria gara, una sfida di forza, di intensità, di durata …chi vincerà? 
La memoria o il desiderio?
Entrambi, probabilmente, rincorrendosi a vicenda verso il meritato traguardo di un presente trasognato. Perché non può esserci desiderio senza memoria.
Così come non può esserci lago senza cielo, acqua senza terra, estate senza autunno.
Sole senza pioggia.
Io senza te.