domenica 4 settembre 2016

GENOVESI SÍ MA... DAL CUORE SICILIANO


Sarà la voglia di dolcezza che in questa mite sera lacustre mi riporta con la mente alla mia amata Sicilia. In particolare a Erice.
Mi si perdoni la nuda materialità ma in quest’istante non sto rievocando la magnificenza di questo piccolo borgo sopravvissuto intatto al tempo. Sto immaginando, piuttosto, di affondare le labbra nella morbida cremosità di un dolce nato qui, anch’esso sopravvissuto al tempo, simbolo della sicilianità gastronomica.
Mi riferisco alle “genovesi” di Erice: dolci di pasta frolla con un cuore di delicata crema pasticcera cosparsi da una carezza di zucchero a velo. La prima cosa che mi son chiesta, dopo il primo assaggio di dolcezza in un pomeriggio assolato di luglio trascorso là, è stato il perché di quel nome. Perché chiamare “genovesi” delle creature partorite dalla pasticceria artigianale squisitamente siciliana? Raccogliendo qua e là qualche curiosità ho scoperto che, pur restando l’etimologia incerta, una suggestiva ipotesi riguarderebbe la forma del dolce che ricalca la sagoma del cappello dei marinai genovesi. Infatti, in passato i commerci tra Trapani e Genova erano molto intensi, il che renderebbe plausibile un’associazione tra le genovesi ericine e l’aspetto dei marinai liguri.
Storicamente, in realtà, tra il 1300 ed il 1500 alcune famiglie nobili dedicarono a Erice oltre trenta chiese, per coronare la carica di prete di un primogenito maschio, come voleva la tradizione. Con il trascorrere degli anni, molte chiese passarono alle suore e alle monache di clausura, abili pasticcere ricche di tempo e di inventiva. Dalle loro mani nascevano i “mustazzoli”, dolci di marzapane con confettura di cedro, e le mie amate “genovesi”, appunto. Nella seconda metà dell’Ottocento una apposita legge dettò la chiusura dei conventi e il rischio di perdere questo patrimonio di arte pasticcera fu scongiurato grazie all’iniziativa di una signora molto speciale: Maria Grammatico.
Maria, durante un’infanzia particolarmente difficile, aveva vissuto nel monastero e da “grande” cercò di imitare l’arte culinaria delle monache, giocando con ingredienti, dosi e fantasia. Grazie alla sua perseveranza oggi non solo si possono gustare le genovesi ericine in tutta la loro bontà ma è anche possibile visitare il goloso laboratorio che Maria conduce per la gioia di turisti e soprattutto dei Siciliani, fieri delle proprie tradizioni anche gastronomiche.
La pasticceria di Maria Grammatico anima la Via Vittorio Emanuele, nel cuore di Erice: i dolci colorano le antiche vetrine dai profili in legno invitando i passanti all’assaggio. Imbarazzante la scelta fra mostaccioli delle monache e frutta di Martorana, tra le minne e i cannoli, fra le cassatine e ... le genovesi!
Gli abitanti di Erice dicono che Maria è sempre lì, nel suo laboratorio, a prendersi cura delle sue dolci creature, oggi come tanti anni fa. Un buon esempio di come la passione possa trasformarsi in imprenditorialità e la storia in un presente da tramandare alle generazioni future.


Per chi fosse curioso, la storia di Maria Grammatico è ben raccontata da Mary Taylor Simeti, nel libro Mandorle amare (Palermo 2004). E per chi volesse cimentarsi nella preparazione delle genovesi ericine può pescare una delle tante ricette in rete, anche se l’originalità è garantita solo ed esclusivamente andando a Erice, direttamente nella bottega di Maria Grammatico.
Un’occasione in più per innamorarsi della Sicilia e della sua infinita dolcezza.


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