lunedì 3 settembre 2012

Elogio della lentezza




La lentezza può essere una scelta di vita.
Può suonare anacronistico questo pensiero in un mondo come il nostro, dove il tempo sembra avere sempre più valore per ciò che si fa o si ha, piuttosto che per ciò che si è. Si corre, si arraffa, si grida, si fa a gara sgomitando per arrivare primi, dimenticando che il tempo ha le sue despotiche leggi e non si lascia corrompere né addomesticare.
Così, la concitazione, l’ansia, la frenesia e l’impazienza, rischiano di non essere più solo la maniera con cui raggiungere il traguardo prefisso ma finiscono per diventare il traguardo stesso, lasciando le nostre menti sempre più affaticate e le nostre mani sempre più vuote.
Tuttavia, credo che ognuno, durante il viaggio dell’esistenza, possa decidere quale velocità imprimere al proprio procedere, a partire dai gesti quotidiani più semplici e scontati. Così, con la giusta lentezza, la vita può assumere l’aspetto di una pioggerellina fine e ristoratrice, piuttosto che quello di un’onda prepotente e fagocitante.
Respirare lentamente è un esercizio non esclusivamente fisico ma anche spirituale, che riduce la tensione, induce un senso di quieta eccitazione e predispone l’animo a una più consapevole partecipazione alla vita.
Osservare lo scorrere dei panorami lentamente aiuta a capire che le giornate non sono la semplice ripetizione degli scarabocchi di ieri, bensì la rinnovata creazione del domani, sempre diverso e pronto a sorprenderci con i suoi colori.
Mangiare lentamente permette di assaporare effluvi, consistenze e sfumature aromatiche inafferrabili dall’ingordigia, stabilendo un contatto intimo con il piacere del gusto, dato dal dialogo concertato con tutti gli altri sensi.
Conversare lentamente, concedendo all’interlocutore il tempo per pensare, rispettando con educazione le pause, i ritmi e i silenzi, è una buona abitudine troppo spesso dimenticata, che trasforma l’umiltà in generosità e ricchezza conoscitiva.
Ascoltare lentamente insegna a far spazio dentro di sé per ospitare qualcuno di diverso, eppure somigliante, invita al confronto accogliente e lascia che le parole dell’altro volteggino libere come piume, prima di posarsi sulle nostre, intrecciando con esse nuove ali.
Passeggiare lentamente meditando, indugiare in silenzio ad aspettare che i pensieri ci raggiungano, senza inseguirli, richiede calma e regala calma, trasformando lo spazio interiore d’apparente sospensione in slancio emotivo e creativo.
Sognare lentamente, concedersi il tempo del riposo e delle fantasticherie, avvicina a quello sciabordio tra attenzione vigile e incoscienza che più somiglia al dolce far niente uterino, dove la mollezza onirica diventa incomparabile effervescenza inventiva.
Aspettare lentamente educa a pregustare le primizie senza consumare l’immaturo frutto del piacere, facendo riscoprire l’eccitazione del corteggiamento, del chiedere permesso, del cauto sfioramento e del tacito consenso.
Amare lentamente, penetrare piano la sfera emotiva della persona amata, con garbo, rispetto e partecipazione, insegna che il nostro procedere esistenziale non è destinato ad essere solitario. C’è sempre tempo per l’Amore. C’è un tempo per le parole, un tempo per gli sguardi, un tempo per le carezze e uno per la passione. E anche la passione più focosa richiede la giusta lentezza per esprimere la sua forza vitale senza che bruci nel lampo di un’eruzione. Non esiste trasgressione più audace dell’intimità condivisa in privato con chi s’impara ad amare, nel cauto esplorare gli anfratti turgidi e segreti del desiderio. Anche un bacio deve nascere lento, soffice e gentile per comunicare la pienezza dell’amore, come un passo di danza mosso in pacata alternanza, golosa promessa d’altri vertiginosi e umidi volteggi.
Fare l’amore lentamente, affidandosi con fiducia l’un l’altro, è la beffa più sublime che noi, esseri umani innamorati, possiamo giocare al tempo, sovvertendo leggi e limiti, scavalcando confini e orizzonti, abbattendo muri e maschere, consapevolmente ebbri, insieme, nel tiepido fluire del reciproco piacere. Distillare l’impeto in un crescendo lascivo, diluirlo in trascinati sospiri di desiderio, è l’arte umana che più avvicina al divino. E’ un’apparente immobilità, dove l’afflato vitale pare morire e rinascere a ogni goduto spasmo, a cavallo di una sincopata sinfonia scandalosamente nuova, eppure pudicamente familiare.
Allora, la lentezza condivisa con chi si ama rasenta l’eternità e dona l’illusione di una conquistata immortalità.

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