domenica 18 gennaio 2015

COLORE, SAPORE, ARTE: WASHOKU, UNA FILOSOFIA DI VITA




Il Giappone non è semplicemente un Paese. 
E’ un modo di vivere. Una filosofia, un sentimento, un atteggiamento grato e rispettoso nei confronti della Natura e dell’essere umano in quanto parte integrante della Natura stessa.
Quest’attitudine gentile alla vita si esprime anche in cucina e a tavola, perché cucinare e mangiare per un Giapponese non è questione di sopravvivenza ma di armonia con il mondo che ci circonda.
Dimentichiamo per un attimo i ristoranti di Sushi e Sashimi che fioriscono e dilagano ormai ovunque e concentriamoci, piuttosto, su quello che è l’anima della cucina giapponese, chiamata Washoku.
Washoku significa arte, cultura, condivisione. E’ una pratica sociale dalle radici antichissime, ereditata e tramandata, che si fonda su capacità, manualità, modi di preparare e di consumare il cibo profondamente legati al rispetto della materia prima. Spirito e sensi allacciano un dialogo armonioso che utilizzala grammatica della Natura, un dialogo cadenzato dai colori delle stagioni che si alternano sulle tavole riflettendo un piacere estetico e contemplativo, prima ancora che gustativo. L'attenzione per l'equilibrio è quasi ossessiva nel Washoku e il risultato di tanta precisione è una cucina tanto sensuale quanto spirituale.
La ricchezza di valori racchiusa nel Washoku è stata riconosciuta anche dall’Unesco che, nel 2013, ha eletto la cucina giapponese degna della sua lista, quale patrimonio culturale da tutelare e tramandare.
Il massimo dell’espressione del Washoku si ha durante la celebrazione del Nuovo Anno: un tripudio di piatti ricamati come preziosi merletti, in cui cereali, carni, pesci, ortaggi, fiori e foglie elevano all’ennesima potenza la propria esuberanza, esaltata dall’arte sopraffina di cuoche e cuochi in grado di alternare cotto e crudo con un’eleganza che sdilinquisce. 
E’ come se, grazie all’abile mano umana, gli elementi naturali riprendessero vita nei piatti, spiritualmente risvegliati dal tocco delicato delle bacchette, magico conduttore del gusto alle labbra. Il piacere del profumo e del sapore sopraggiunge solo quando lo stupore degli occhi cede al desiderio del palato, obbedendo tuttavia a gesti ritualici lenti e ponderati.
Per noi occidentali il rischio di banalizzare il Washoku a pura piacevolezza dei sensi o, peggio, a moda e mondanità, è prepotente. Ma se agli appetiti più superficiali aggiungiamo un pizzico di curiosità nei confronti di una Cultura culinaria tanto seducente, ecco che allora possiamo arricchire anche le nostre conoscenze, oltre alle nostre pance.

In linea con il raffinato minimalismo nipponico, potremmo dire che l’anima del Washoku si basa su 5 colori, 5 sapori e 5 modi di cucinare.

I 5 colori riflettono gli elementi della Natura e lo scorrere delle stagioni. Sono il rosso “aka” (frutti, ortaggi, fagioli e il riso aka-jiso o yukari); il verde “ao” (ao in giapponese significa sia verde sia blu: vegetali, erbe, alghe e alcuni pesci tra cui le sardine, o ao-zakana); il giallo “ki” (frutti, verdure, uova, cereali e noci. Alcuni cibi vengono colorati naturalmente di giallo grazie alla gardenia, o “kuchinashi no mi”); il bianco “shiro” (riso e cerali, semi e tuberi, tofu e latte di soia, carni bianche e alcuni pesci delicati, shiromi-zakana); il nero “huro” (alghe nori, funghi shiitake, soia e fagioli neri e semi di sesamo).
I 5 sapori, o fragranze, sono il salato “kan” (sale, salsa di soia e miso); l’acido “san” (aceto, limone e fragranze fermentate); il dolce “kan” scritto diversamente dal kan salato (zucchero, mirin, miele e mizu ame); l’amaro “ku” (caffè, te, erbe e vegetali chiamati sansai); il piccante “shin” ( wasabi, karashi e togarashi). Il sapore di umami meriterebbe un discorso a parte, anche se ormai anche in occidente è riconosciuto e non è più così misterioso!
Infine, i 5 modi di cucinare sono il crudo “nama” (sushi e sahimi ma non solo); il “bollire lentamente” “niru” (letteralmente “niru” traduce una lenta immersione di diversi ingredienti in acqua in ebollizione. Il risultato sono straordinarie zuppe dai vari sapori e colori, arricchite da un’acqua naturalmente ricca di minerali); il grigliato “ageru” (tradizione presa in prestito da Cina e Corea di cui “tempura” è l’espressione più nota anche a noi, insieme al “agemono”); al vapore “musu” (la cucina a vapore, detta anche “wan mono” dal coperchio utilizzato, si pratica direttamente a tavola e si presta alla maggior parte dei prodotti lasciandoli intatti nelle virtù e nei sapori).

Consapevole dell’insufficienza di queste righe per trasmettere tutta la ricchezza del Washoku, mi riprometto di tornare in futuro a raccontare frammenti dell’anima del Giappone. Magari dopo averlo visitato e aver finalmente saziato i miei occhi perdutamente innamorati di questo Paese dalla profonda spiritualità … anche a tavola!

3 commenti:

  1. Apprezzo molto il tuo modo di trattare la cucina giapponese. Conosco un pochino la cucina kaiseki e trovo molte affinità (per esempio ogni portata cotta in modo diverso come scrivi tu). A mia volta io preparo quasi ogni giorno un ramen, un piatto se vuoi umile, ma di grande equilibrio. Quando ho ospiti non lo propongo perché per il solo fatto che sia brodoso in Italia non è più di tanto apprezzato. Ma preparandolo... è meditare. Trovo di essere in totale sintonia con quello che scrivi forse perché cucino.

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  2. Grazie Fabiano, si sente che anche tu 'vivi' la cucina con amore e che l'esperienza a tavola va ben oltre il piacere del nutrimento. Hai ragione, ramen, miso e tutto ciò che è brodoso da noi non è molto diffuso, anche perchè l'apprezzamento implica una sonorità cui noi occidentali non siamo abituati, eppure altrove è espressione di puro piacere ... Invidio i tuoi ospiti!

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  3. Sono arrivato sano e con un po' di sola nella plaga bustese, deserta da esseri viventi con capacità di comunicare...
    Nella valle dei sapienti, manca il posto dell'Arsizio...

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