sabato 6 ottobre 2012

Un Amore necessario



Quando Jean-Paul Sartre e Simone di Beauvoir si conoscono, sono appena ventenni ma il loro primo folgorante incontro segna la gestazione di un eterno sodalizio, mentale e sentimentale.
I due non sono solo un uomo e una donna qualunque che intrecciano le proprie agitate esistenze. Sono due fervide menti, febbrili e ribelli, destinate a un’osmosi che scolpirà definitivamente il pensiero intellettuale degli anni a venire.
Lei, ragazza solitaria, asociale e antiborghese, sente precocemente di possedere un cervello maschile dentro un corpo di donna. “M’immersi nella letteratura- scrive in una delle sue minuziose autobiografie – come in altri tempi nella preghiera.” Decide presto e senza indugio di assecondare la sua contraddittoria natura d’intellettuale senza farsi intimidire dal sapere maschile, subordinando al lavoro di scrittrice l’aspetto squisitamente femminile e i fatui vezzi del gentil sesso. Lui, bellicoso, ruvido e diffidente, si sente sin da piccolo inadeguato ai suoi simili, anche per via dell’aspetto fisico piuttosto ingrato che lo vuole strabico, tarchiato e sgraziato come un rospo. Questo “insipido sboccio in perpetua attesa di abolizione, cherubino avvizzito, miserello che non interessa a nessuno” - come lui stesso si definisce - combatte il feroce desiderio di sparire nel Nulla con l’insaziabile fame di cultura, trovando nella letteratura la sua religione e la tempra del suo carattere.
Sartre e de Beauvoir sembrano, dunque, due gemme germogliate dalle stesse radici e destinate a fondersi in una coppia filosofica che finirà per trascendere le singole identità, trasformando le inquietudini di ognuno in uno straordinario sodalizio esistenziale. I due si sono istintivamente attratti, come due energie telluriche calamitate da un invisibile collante chimico, sentendo di appartenere irrimediabilmente l’uno all’altra. Eppure, si sono dati del lei per oltre cinquant’anni, non hanno mai vissuto insieme definitivamente, non si sono mai sposati né hanno avuto figli ed entrambi si sono concessi frequenti relazioni amorose, contingenti al loro stesso amore. Un amore che li vedrà indissolubilmente legati in un rapporto senti-mentale incorruttibile, fino all’epilogo delle loro stesse vite.
“Quello che c’è tra noi due – ha scritto Sartre riferendosi a lei – è un amore necessario. La cosa meravigliosa di Simone è che ha l’intelligenza di un uomo e la sensibilità di una donna. In lei trovo tutto quello di cui posso avere bisogno.”
“Sartre rispondeva esattamente ai desideri dei miei quindici anni – racconta da parte sua Simone de Beauvoir – Era il mio doppio, nel quale ritrovavo tutte le mie manie portate all’incandescenza. Con lui avrei potuto condividere tutto.
Il loro è stato un Amore necessario, dunque. Necessario, nel senso di totale. A unire la coppia filosofica è stata una complicità mentale e spirituale. Hanno fatto l’amore innanzitutto con la mente, un amore traboccante di passione e di amplessi che il corpo da solo non potrebbe donare. La compenetrazione tra Sartre e de Beauvoir è stata talmente profonda da resistere a ogni prevaricazione esterna, perché quando si ama da dentro, ogni passione contingente scivola via come olio sull’acqua.
Per questo i due amanti intellettuali possono permettersi di concedersi, spesso e volentieri, avventure occasionali in maniera trasparente, raccontandosele con eccitata partecipazione, sbeffeggiando ogni inutile codice morale e perbenista. Perché loro sono ‘oltre’. A volte Sartre tesse morbose relazioni proprio con le stesse donne giovani e belle sgusciate fuori dalle braccia di de Beauvoir, assolutamente disinibita di fronte alla promiscuità dei sessi, di cui invocava la fratellanza. Si alimenta così, negli anni, un trasgressivo scambio di amanti che giostrano in una specie di famiglia allargata, di cui i due intellettuali sono il motore.
Nonostante le tribolate passioni contingenti, comunque, l’amore necessario tra Sarte e de Beauvoir è incorruttibile, viscerale e immortale, tanto che la coppia resterà unita a dispetto dell’ineluttabile usura del tempo.
"Se muori, mi sdraierò accanto al tuo corpo e rimarrò lì ad attendere la tua fine, senza mangiare né bere, tu marcirai tra le mie braccia ed io amerò te, già carogna: perché non si ama niente se non si ama tutto." Così scrive Sartre alla sua compagna, la quale con parole squisitamente tenere risponde: “E’ spaventoso non poter consolare qualcuno dal dolore che gli si dà abbandonandolo; è spaventoso che qualcuno vi abbandoni e non vi dica più nulla.”
Il 15 aprile 1980 all'ospedale di Broussais, Simone de Beauvoir s’infila con un brivido di dolore nel letto di Jean-Paul Sartre, dove oramai il suo corpo ancora caldo giace esanime. Sarà, questa, la loro ultima notte insieme, come a suggellare la sintesi estrema del loro eterno, necessario amore.
"La sua morte ci separa - scriverà con rassegnata commozione lei, ormai privata della sua metà - e la mia morte non ci unirà. E' bello così, che le nostre vite abbiano potuto accordarsi per un così lungo tempo."
I corpi di Jean-Paul Sartre e Simone de Beauvoir riposano oggi nel cimitero di Montparnasse, accanto a quelli di Baudelaire. Mentre i loro pensieri continueranno a volteggiare liberi e irreprensibili, uniti per sempre nella memoria della posterità.

Codicillo personale.
Al di là della personale ammirazione che nutro per questi due personaggi, ve ne sono molti altri, di altrettanta levatura filosofica, artistica e letteraria, che hanno immortalato con le parole le proprie storie d’amorosi sensi. Abelardo e Eloisa, Nietzsche e Lou Andreas-Salomé, Hanna Arendt e Heidegger, Scott Fitzgerald e Zelda Zaire, Henry Miller e Anais Nin, solo per citarne alcuni sfogliando a caso le pagine del tempo. 
La letteratura ha, infatti, il potere di rivestire le storie d’amore d’un fascino sensazionale che trasforma ogni realtà vissuta in romanzo da leggere. Forse, nella quotidianità, queste vicende amorose non sono sempre state così affascinanti e anche i leggendari amanti ogni tanto s’annoiavano tra le lenzuola, si arenavano in banalità e si stiracchiavano pigri tra i fumi d’oppio e gli effluvi d’assenzio. In fin dei conti è soprattutto la capacità di saper raccontare le storie che le rende straordinarie e immortali, insieme agli inquieti protagonisti.
Questo per dire che, probabilmente, ogni giorno, in ogni casa, in ogni letto e in ogni epoca storica - compresa la nostra, fatta anche di una virtualità sfuggente ma quanto mai concreta - si avvicendano intrecci amorosi tanto sofferti quanto sublimi destinati a restare privi di testimoni, perché svaniscono senza lasciare impronte nella biblioteca esistenziale dell’universo.
Del resto meglio così, o saremmo sommersi da romanzi tutti speciali, eppure alla fine tutti uguali e per ogni tipo d’amore dovremmo inventare un titolo diverso, proprio come per i libri.
Meglio risparmiare la fantasia per vivere l’amore, anziché scriverlo. Perché, per quanto raccontato in mille versioni, l’amore è multiforme, imprevedibile, cangevole, indefinibile e resterà sempre un mistero. Un mistero necessario.
In poche parole, l’amore è e sarà sempre un delizioso, subdolo mentitore. 

giovedì 4 ottobre 2012

Animali senza coda e animali senza cuore



Tra le tante notizie che scorrono in rete, ne è apparsa una poco fa che mi ha particolarmente addolorato. Si tratta dell’immagine di un povero cane sofferente cui è stata amputata la coda con un colpo d’accetta.
Ora, senza soffermarmi su questa brutalità che ancora oggi viene praticata su molte razze canine, anche se non con la stessa barbarie grazie al cielo, vorrei cercare di spiegare perché la coda non è un semplice optional per i cani ma una parte del corpo fondamentale per una sana vita sociale.
Chiunque abbia un cane sa che lo scodinzolio è una risposta emotiva a uno stimolo. Non tutti sanno, però, che lo scodinzolio cambia a seconda dello stimolo e che, quindi, il modo di muovere la coda esprime il tipo di emozione provata e anticipa la reazione che il cane avrà di fronte allo stimolo. Quando il cane osserva qualcosa o qualcuno che suscita una risposta positiva, cioè di avvicinamento (il padrone o la ciotola della pappa) lo scodinzolio è ampio e scorre da destra a sinistra, con un’evidente maggiore estensione verso destra. Spesso, in alcune razze, la coda giunge persino a lambire il lato destro del corpo, tanto è il vigore con cui viene sventolata. Quando, invece, il cane osserva uno stimolo negativo (una persona non famigliare o un cane dominante con atteggiamento aggressivo) lo scodinzolio esprime una risposta di ritrazione, anziché di avvicinamento, rivelata dal movimento della coda decisamente più accentuato verso sinistra. Rispetto alla prima reazione positiva, in questo caso lo scodinzolio è anche meno ampio e insistente.
Questa asimmetria non è identica in tutte le razze di cani. Facendo un’analogia con l’animale uomo, potremmo dire che somiglia alla preferenza per l’uso della mano destra, visto che il 90% degli individui è destrimane mentre gli altri sono mancini o ambidestri. Lo stesso accade nei cani, per cui lo scodinzolio verso destra di fronte a stimoli positivi e quello verso sinistra di fronte a stimoli negativi copre l’80 % circa degli individui, una percentuale comunque alta.
L’analogia con l’uso della mano suggerisce che la reazione della coda è guidata dal cervello, ovviamente, perché la parte destra del cervello comanda la parte sinistra del corpo e viceversa, tanto negli umani quanto nei cani. E questo ha un’importante implicazione con i sentimenti e le reazioni emotive, visto che l’emisfero destro è quello fondamentalmente emozionale e quello sinistro razionale. In realtà i marchingegni cerebrali son ben più complessi, tuttavia queste poche regole elementari sono sufficienti per dimostrare l’importanza che ha - a livello di comunicazione e non solo di funzionalità - quel banale pezzo di ossa e pelo che ogni tanto scodinzola apparentemente a caso. Quel banale pezzo di corpo che, insieme alle orecchie, noi umani ci ostiniamo ad amputare per rispondere a ideali estetici del tutto non condivisibili e sovvertibili.
Ora, ditemi, quali altri modi avrebbero i cani di comunicare tra loro e con noi se non usando il linguaggio del proprio corpo? Non tutti gli umani sanno guardarli negli occhi e interpretare il loro pensiero, anche se sono sicura che questo sia possibile, in una reciprocità comunicativa sorprendente. E non tutti i cani per indole abbaiano, guaiscono o ululano, ma è certo che tutti muovono le orecchie e scodinzolano. Come potrebbero, dunque, i cani esprimere gioia, paura, diffidenza, sofferenza, gratitudine se vien tolta loro la possibilità di utilizzare la naturale mimica del corpo?
Riguardo per un attimo la fotografia di quella creatura sofferente cui è stata mozzata la coda con un colpo d’accetta. Un moto di rabbia mi ruggisce dentro e ora vorrei poter guardare in faccia anche l’autore di quel barbaro gesto. Mi chiedo chi sia l'animale, lui o il cane. Sento che vorrei punirlo, eppure son convinta che questo povero cane, al contrario di me, sarà sempre capace di perdonarlo.

Pagamento in natura



Certe case editrici piuttosto importanti sono molto soddisfatte delle mie recensioni. Si complimentano, dicendomi che riesco a dare una seconda vita ai libri e io me ne compiaccio, perché amo il lavoro che faccio.
Sono talmente entusiaste che, ogni volta, mi gratificano omaggiandomi di nuovi libri appena sfornati, da recensire, ovviamente. Così, al loro compiacimento si unisce quello delle riviste che pubblicano le recensioni e anche il mio, lo confesso, che sento il mio narcisistico Ego gonfiarsi sempre più smoderatamente.
In poche parole, vengo pagata ‘in natura’. Tanto che sono sommersa da libri, senza avere più spazio dove riporli.
Ora, mi sorge un pensiero: se anziché scrivere recensioni di libri avessi decantato le qualità di certi dolci, che so, strudel, sacher, cannoli o babà? Sarei certamente obesa, a questo punto, visto che è mia abitudine sperimentare l’argomento di discussione prima di raccontarlo. O, peggio ancora, se avessi dovuto raccomandare le virtù di vibranti oggetti di piacere per solitarie signore insoddisfatte delle proprie relazioni amorose? Non oso immaginare ma di certo sarei esaurita in breve tempo e avrei dovuto chiedere aiuto a un bravo analista per risolvere le mie inevitabili frustrazioni psicofisiche!
In conclusione, posso dire d'essere davvero fortunata. Essere pagata in natura, con i libri, è cosa buona e giusta: nutre senza ingrassare e soddisfa senza peccare! 

mercoledì 3 ottobre 2012

L'anima del piacere



Dire che uomini e donne sono diversi è un’ovvietà. E in questo caso non alludo solo a certe manifeste fattezze fisiche ma, innanzitutto, al cervello che fermenta pensieri, sensazioni, emozioni per natura differenti. Altrettanto evidente è che i due sessi sono destinati a completarsi, inevitabilmente spinti dal desiderio di ripristinare un’originaria idillica unità.
Prima della scienza, è stata la filosofia a cercare di spiegare quest’ineluttabile motore che spinge uomini e donne a ricongiungersi attraverso l’amore e la ricerca di un piacere fisico non circoscritto alla pura procreazione. Per esempio, nel “Simposio”, Platone abbozza con pensosa arguzia uno stuzzicante dialogo sull’origine della sessualità, cercando di spiegare l’anima del piacere attraverso una metafora ben nota. Lo fa tramite il commediografo Aristofane il quale, durante un banchetto, racconta il mito secondo cui in origine, oltre all’uomo e alla donna, esisteva anche una terza creatura: l’ermafrodita. Con eccitato coinvolgimento di tutti i presenti, Aristofane spiega che:
“La figura di questo essere umano era arrotondata, dorso e fianchi formavano un cerchio; aveva quattro mani e quattro pure erano le gambe; aveva anche due facce, piantate su un collo anch’esso rotondo, completamente uguali e attaccate, in senso opposto, a un unico cranio.”
Tuttavia, la potenza di queste ambigue creature deve aver alquanto allarmato gli dei, al punto che Zeus decise di dividerle in due parti, ricucendo la pelle strappata nel punto di mezzo con un nodo. Nodo che sarebbe diventato l’ombelico. Da quel momento in poi, la vita degli esseri umani sarebbe stata dettata dalla costante brama di ricongiungersi con la metà perduta. E il sesso sarebbe diventato il collante necessario per ricucire i frammenti smembrati dalla volontà (o dall’invidia) divina, trasformando così la ricongiunzione squisitamente biologica in un ineguagliabile piacere fisico.
Questo, come la maggior parte dei miti, sopperisce con la fantasia della metafora all’incompiutezza scientifica, azzardando anche un’arguta analisi psicologica. Il desiderio di fare sesso verrebbe così interpretato come una specie di nostalgia, un atavico impulso a tornare all’originale paradiso perduto, fatto di vigore ma soprattutto di equilibrio e completezza. In poche parole, meno liriche di quelle di Aristofane, fare sesso con chi si ama nascerebbe dal desiderio di far l’amore con se stessi per ritrovarsi finalmente completi.
Naturalmente non è possibile ridurre l’anima del piacere sessuale a un nocciolo atavico così lineare, perché i preamboli erotici che anticipano e seguono l’estasi sono infiniti e imprevedibili. Se fosse così semplice, l’eccitazione scoccherebbe dalla somiglianza e non dalla differenza, e l’attrazione sarebbe indotta da quel pallido riflesso di noi stessi riprodotto e ricercato nella persona amata. Non è sempre e solo così, appunto. E quell’inesprimibile richiamo tra le braccia dell’amante, quello scioglimento dei lombi, quel dolce inturgidimento, quel desiderio di fusione, di sperdimento e di ritrovamento che conduce all’estasi resterà, probabilmente, un eterno argomento di disquisizione per filosofi, scienziati, poeti e forse per gli stessi amanti.
Non è, infatti, questo uno dei misteri più belli che unisce la missione di procreare a quella di sperimentare il piacere più intenso mai conosciuto? Un piacere talmente intenso e fulminante da essere paragonato al culmine estremo della vita, ovvero la morte.
L’orgasmo, in letteratura, è stato infatti spesso accostato al decesso, tanto che i francesi, con la loro aristocratica raffinatezza, l’hanno battezzato petit mort. Non somiglia, infatti, all’unione di due semicerchi carnali destinati a liquefarsi quella tra due corpi? Due amanti, unendo le proprie membra e il proprio afflato, diventano complici della loro stessa morte, perché se fossero immortali non avrebbero bisogno di fondersi donandosi un reciproco piacere per creare una nuova vita.
Da qui, l’impercettibile confine – o ponte d’unione - tra estasi sessuale ed estasi mistica, o religiosa. Entrambi gli estatici deliqui, infatti, implicano un donarsi totale all’altro – che sia Uomo o Dio – in un dissolvimento senza possibilità di ritorno, in cui migliaia di particelle di piacere trasformano momentaneamente il corpo in anima e viceversa. Quello dell’orgasmo diventa, forse, l’attimo terreno più vicino al paradiso, in cui la coscienza è paralizzata e l’identità confusa, in cui il dolore si fa dolce e la durezza si scioglie in spasmi primordiali. E’ l’attimo in cui l’essere umano diventa al tempo stesso angelo e animale, non una ma due volte contemporaneamente, perché fuso nell’abbraccio complice dell’amante.
Se la pittoresca metafora di Platone ha dato un sapore squisitamente terreno alla natura del piacere sessuale come ricongiunzione con se stessi, nessuno come Santa Teresa d’Avila ne ha offerto un’interpretazione tanto sublime e sensuale, come comunione con Dio. La mistica spagnola del Cinquecento, infatti, con disarmante semplicità, ha descritto spesso questa sensazione di estremo sdilinquimento che fluttua tra anima e corpo, quest’estasi irrinunciabile che fa vibrare le corde più intime, fino a ricongiungere il cielo con gli inferi, grazie ai sensi terreni:
“Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere gemiti, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore che non c’era da desiderarne la fine. E’ un idillio così soave che io supplico la divina bontà di farlo provare a chiunque pensasse che io mento …”
Insomma, dal sacro al profano, le interpretazioni circa la natura del piacere sessuale si sono affastellate nei secoli, facendo spesso accapigliare filosofi e scienziati, psicologi e religiosi. Sarebbe bello poter credere a quest’impulso di ricongiunzione cosmica di due metà separate ma, in realtà, l’argomento resta un intricato mistero più facile da vivere che spiegare. Ad un’interpretazione univoca, probabilmente, non si giungerà tanto facilmente ma, nel frattempo, il piacere sessuale (quando non è fine a se stesso) continua ad essere ciò che di più umano eleva l’anima di chi sa vivere con amore e passione, consolandola delle inevitabili afflizioni dell’esistenza.
Non ultima, l’afflizione di non essere, ahimè, né dei, né santi, né immortali ma semplicemente esseri umani.

martedì 2 ottobre 2012

Grande, grande, grande!


Alcuni cosiddetti "grandi uomini" si sentono talmente grandi 
da dimostrarsi insuperabili anche nelle loro bassezze. 
Al punto che riescono alla grande
a comportarsi sempre come perfetti "grandi bambini".

Misunderstanding


"I don't want to be bad with you.
I just want to be with you in my bed!"

Parole, parole parole!



Le parole appartengono per metà a chi le pronuncia e per metà a chi le ascolta.
E' già difficile capirsi guardandosi negli occhi, figuriamoci guardando dentro un monitor.