martedì 4 settembre 2012

La malaombra



Vivere non è facile, tanto meno lo è scegliere di morire.
Lo scorso anno, il 25 novembre, Luciano Francesconi, 77 anni, storico disegnatore del Corriere della Sera, si è sparato un colpo di pistola alla testa, dentro l’ascensore della sua abitazione milanese. Due giorni dopo, Gary Speed, 42 anni, allenatore del Galles, è stato trovato impiccato nel garage della sua casa di Huntington. Altri due giorni dopo, il 29 novembre, Lucio Magri, 79 anni, fondatore del Manifesto, ha posto lucidamente fine alla sua esistenza affidandola a una clinica svizzera, dove la dolce morte è un amaro diritto.
Questi macabri epiloghi, avvenuti a distanza di pochi giorni, costringono a fermarsi e riflettere su quell’ombra che accomuna esistenze apparentemente normali, diverse tra loro ma ugualmente infelici: la depressione. Se ne parla sempre più spesso alla luce di questi fatti oscuri. “E’ il male del nostro tempo, è recidiva, può colpire tutti a tutte le età, specialmente le donne … E’ una malattia del cervello, ha basi biologiche e si può curare.” Questo è, più o meno, quello che si sente in televisione, sui giornali e in rete. In realtà, non è così semplice. Pensare alla depressione esclusivamente come una malattia biologica o neurologica è quasi confortante. C’illude di poterla isolare, analizzare, misurare, radiografare, scannerizzare, anestetizzare e magari curare. Più inquietante è considerare la depressione come un male dell’anima. Possiamo prendere un fegato, un pancreas, un cuore, un cervello e medicarli. Ma come afferrare qualcosa d’impalpabile come l’anima? Dove andare a frugare? Con quale strumento scientifico, microscopico o telescopico? Quale bisturi, medicina o antidoto per qualcosa che è invisibile?
Medici, psicologi, neurologi, specialisti d’ogni campo stanno cercando di fare chiarezza in mezzo al naturale smarrimento che il dolore di questi recenti avvenimenti aggiunge al già dilagante senso d’incertezza. Tra questi c’è un medico italiano che si occupa da sempre di depressione e di malesseri dell’anima. E’ Eugenio Borgna, psichiatra dalla rara capacità empatica e comunicativa. Ha scritto molti saggi, poeticamente lucidi, mescolando all’analisi clinica la sensibilità umana di chi s’addentra umilmente nel dolore altrui per ascoltarlo, capirlo e confortarlo, perché la parola è la prima medicina per chi soffre. Proprio in questi giorni, ha pubblicato un libro illuminante, dal titolo “Elogio alla depressione”, scritto insieme al sociologo Aldo Bonomi, edito da Einaudi. Io credo che farebbe bene a tutti, ma proprio a tutti, spegnere la tv e leggere queste pagine. Sia per capire meglio i drammatici paradossi del nostro tempo nitidamente radiografati da Bonomi, sia per abbattere i superficiali pregiudizi su un male, una malaombra, che non è qualcosa di folle, di estremo ed estraneo a noi ma al contrario riguarda tutti, direttamente o indirettamente. Perché la malinconia, il taedium vitae, non coinvolge solo l’intimità di chi personalmente ne soffre. Riguarda anche la famiglia, il lavoro e la società, attraverso il contagio di emozioni ferite, affetti frantumati e isolamenti dolorosi che, senza sfociare necessariamente in drastici epiloghi, conducono a un soffocato e doloroso naufragio.
“Non esiste una sola depressione ma diverse forme di depressione” spiega Borgna. Possiamo distinguere una depressione esistenziale, una depressione motivata e una depressione psicotica, che a volte si confondono, mescolando cause biologiche, psicologiche e sociali.
Nella depressione esistenziale, la tristezza galleggia improvvisamente nella nostra anima senza un’apparente ragione e dilaga fulminea nella nostra interiorità, logorandoci. Ci si sente afflitti, svuotati d’interesse, incapaci di gustare il senso della vita. Si fatica persino a pensare, risucchiati da uno smarrimento che oscura gioie e raggela speranze. Il tempo soggettivo non ha più nulla a che fare con quello esterno, con quello misurabile, perché tende a rallentare e a disgiungersi nelle sue tre dimensioni agostiniane: presente, passato e futuro si sciolgono. La dimensione del futuro tende ad arrestarsi, assorbita nel passato che si dilata grottescamente nella nostra immaginazione. Questo tipo di tristezza, tuttavia, non è patologica e non ha nulla a che fare con la depressione come malattia. E’ un’esperienza di vita che ci appartiene nel momento in cui ci fermiamo a riflettere sul senso dell’esistenza, delle cose spesso effimere che ci circondano e ci asfissiano, svuotandoci dei valori più veri e profondi. Questo tipo di tristezza è la malinconia nel senso più leopardiano, propria dell’uomo che avverte l’incombenza dell’infinito, cui s’accosta con tutta la sua fragilità e la sua inadeguatezza. La consapevolezza di questa precarietà è sorgente di riflessione e di straordinaria creatività ma non è malattia. Questo tipo di depressione, questa sconosciuta che abita in ognuno di noi, fa semplicemente parte della vita ed è bene farsela amica.
La depressione motivata, o reattiva, sgorga da esperienze personali dolorose, come l’insorgere di una malattia degenerativa, la perdita del lavoro, della casa, della patria o di una persona cara. E’ molto spesso, quindi, legata all’esperienza del lutto e corrisponde alla diagnosi di ‘disturbo distimico’, secondo la classificazione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali. E’ animata da una tristezza psichica che si manifesta in un accasciamento doloroso, in un’amarezza sconsolata ma solitamente circoscritta in un arco temporale, fino cioè all’esaurirsi della carica emozionale legata al dolore. Dopo di che la sofferenza si elabora in memoria, in ricordo, in nostalgia. Pur non raggiungendo l’incandescenza della depressione psicotica, questo stato d’animo paralizza la persona nel grigiore, bloccando il naturale fluire del tempo interiore. Il peso del passato è dilatato sul presente e inibisce ogni slancio vitale, tuttavia non annulla completamente la speranza verso il futuro, come invece succede nella depressione psicotica.
La depressione psicotica è quella che tra tutte non ha motivazioni rintracciabili nella sua insorgenza e richiede serie cure psichiatriche. Corrisponde alla diagnosi di Episodio Depressivo Maggiore, sempre secondo il DSM-IV-R, e non annovera una grande quantità di casi, rispetto alle due altre forme depressive. Chi ne soffre si trova congelato, paralizzato sia nei gesti e nei movimenti del corpo, sia nei pensieri che si fanno lenti, atrofizzati e catatonici. La dimensione temporale del futuro è stralciata dall’orizzonte di un tempo interiore in cui sopravvive solo un passato che esilia la persona in una solitudine autistica. La sofferenza intima è visibile attraverso modificazioni vegetative e somatiche espresse nell’insonnia, in nausea, in oppressioni cardiache e gastrointestinali che spesso mascherano e dissimulano il dolore psichico. Questa forma estrema di depressione può sfociare nel rifiuto definitivo della vita, nella scelta di una morte volontaria maturata nel silenzio e nella solitudine interiore, morte consapevolmente e morbosamente anelata.
Senza arrivare a situazioni estreme, è bene capire che ogni forma di depressione nasce da comuni radici fenomenologiche e antropologiche, al di là della sintomatologia e degli eventi personali scatenanti. Non è sufficiente una predisposizione biologica o un lutto per scatenare una depressione. Il filo rosso che le collega è fatto dalle emozioni spiega Borgna. E’ fatto di una profonda sensibilità e di una stremata fragilità, accompagnate da un acuto senso di solitudine in cui il peso del passato soffoca il presente, cancellando il futuro. Ma sensibilità e fragilità sono anche la premessa alla conoscenza intuitiva degli altri da noi, alla comprensione delle emozioni che si annidano nella soggettività altrui e, quindi, possono diventare il ponte per non sentirsi più isolati, esiliati ognuno nella propria onnipotente vacuità. Questo non vuole essere un elogio all’infelicità ma un invito a ‘sentire’, ad affacciarsi agli altri con gentilezza, accettando la fragilità senza vergogna e vivendo la sensibilità senza subirla, bensì sfruttandola come leva per entrare in empatia con altre esistenze.
Luciano Francesconi, Gary Speed e Lucio Magri non ci sono più. Riflettere senza pregiudizi sul dolore delle loro scelte può aiutarci a capire. Perché, come scrive Albert Camus ne Il Mito di Sisifo, un gesto come questo si prepara nel silenzio del cuore, allo stesso modo di un’opera d’arte. Uccidersi, come nel melodramma, è come confessare: confessare che si è superati dalla vita o che non la si è compresa.
Forse, aveva ragione lo psichiatra Kurt Schneider, dicendo che ci dovremmo preoccupare non di essere stati depressi almeno una volta nella vita, ma di non esserlo stati mai.

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