Mi
piacerebbe saper scrivere poesie. Invece mi devo rassegnare a leggerle perché,
ogni volta che tento di ricamare parole e d’infilarle come perle in delicate
liriche, finisco col sentirmi ridicola. Non mi si addice, sarebbe come forzarmi
dentro un abito lungo e tacchi a spillo. Guai!
Allora
levo tutto, parole, abito e scarpe, e mi consolo leggendo. Non so, a dire il
vero, spiegare perché una certa poesia mi piace oppure no ma so che mi fa bene
leggerle rispondendo allo stato d’animo di turno, così come a tutti fa bene
sognare per alleggerire i fardelli quotidiani.
Qual
è il segreto del Poeta, allora? Forse la semplicità. Il Poeta vero, non il
poetastro esibizionista, con il suo pathos delicatamente fiorito ha il potere
di farmi levitare, di sollevarmi da terra, di strapparmi dalle radici e
mettermi le ali. Con le sue parole nude, vere, trasparenti, allunga una mano e
prende la mia per portarmi via, altrove, e con un semplice tocco unisce la sua
intimità alla mia.
Perché
la poesia è intimità, non esibizione. E' sentire, non pensare, emozionare e non ragionare.
Allora,
abbandonarsi a una poesia è come danzare al buio, a piedi nudi, per il semplice
piacere di riprendere contatto con se stessi. E’ una danza, soffice, vibrante,
struggente, eccitante, coinvolgente e sconvolgente. Perché al Poeta, al vero Poeta,
è concesso tutto. Può volare troppo in alto o cadere troppo in basso, muovendosi
sempre con rara eleganza, unendo mirabilmente il cielo con la terra, il
paradiso con gli inferi, il sogno con la realtà.
Questo
stato di languida reverie, questo sprofondare per levitare che la poesia
suscita in me, è sempre straordinariamente consolatorio e appagante. Che volteggi
su note gioiose o drammatiche, sensuali o nostalgiche, l’importante è che
m’inviti alla danza, come fossi una ballerina cullata da un
invisibile musicista.
Ecco,
probabilmente non imparerò mai scrivere poesie ma di certo non smetterò mai di danzare,
finché al mondo ci sarà un Poeta capace di farmi vibrare.