mercoledì 30 ottobre 2013

Chambéry, un viaggio nella storia bighellonando tra les allées



Il volto della natura
Decantata da Rousseau, Stendhal e Lamartine, l’ex capitale del Regno di Savoia pare sbocciare dalla storia senza accusare segni di vecchiaia. Grazie a sapienti restauri, Chambéry restituisce il passato al futuro e, avvolgendo il turista in un mite afflato romantico, lo conduce lentamente alla scoperta dei suoi anfratti giocosi di vita. A Chambéry, infatti, la storia scorre come linfa attraverso le viuzze, les allées, che come per magia si fanno beffa del tempo e  sboccano trionfanti nel palpitante presente. La sensazione è che cultura e natura stringano una complice alleanza, prendendo sottobraccio francesi e piemontesi in un sottofondo inevitabilmente affine.
Qui la bellezza delle Alpi sembra prendersi cura di quella della città. “L’uomo è nato libero ma ovunque è in catene” confessava Rousseau che sulle colline alle porte di Chambéry, a Les Charmettes, respirava quel raro sapore di libertà tanto anelato. Per questo, tra il 1736 e il 1742, il filosofo scelse di abitare qui con la sua ispiratrice, Madame de Warens. E questa sensazione di libertà, di intimo dialogo con l’ambiente, è tuttora evocata dalla presenza di una natura esuberante eppure quieta. La Regione è, infatti, meta prediletta degli amanti dello sci, del kayak, delle passeggiate a piedi o in bici e dei filosofi nostalgici come Rousseau. I Parchi di Bauges e Chartreuse, insieme al grande lago naturale Bourget e al più piccolo di Aiguebelette, incastonano la città in una cornice da fiaba custodendo intatto il suo cuore storico.
Il volto del passato
Lo sviluppo architettonico e cronologico della città ruota attorno alla roccaforte dei sovrani di Chambéry. Ancora oggi il castello dell’XI Secolo rappresenta un motivo di attrazione ineguagliabile e tra le sue mura, nella Santa Cappella, è conservata una copia dell’enigmatico telo della Sacra Sindone che vela di mistico fascino l’intero luogo. Il Castello, tradizionalmente forte di difesa e residenza prediletta dei Savoia, è oggi sede dell’Amministrazione comunale, rinato a nuova vita dopo mille vicissitudini e nefasti incendi.
Per conoscere meglio i trascorsi della città, si può visitare il Museo della Savoia, situato in piazza Lannoy de Bissy, nei locali dell'ex monastero francescano. Vi si può accedere direttamente alla Cattedrale, imperdibile per i suoi 6000 metri quadri di trompe-l'œil e per i suoi labirinti pavimentali. Per raggiungerla si percorrono pittoresche vie dal sapore antico, come Rue Sainte Apollonie, dove nel Medioevo c'era un forno per il pane e un hospitale dotato di una cappella. Durante la Rivoluzione la via fu ribattezzata Rue de l'Equerre, come a voler dare un nuovo volto alla città sull’onda della svolta culturale. Da una via antica se ne imbocca una moderna, che sullo sfondo lascia intravedere la curiosa Fontana degli Elefanti, (detta degli elefanti senza ‘sedere’, perché mostrano solo la testa) con una colonna portante che simboleggia un tronco di palma in omaggio alle colonne papiriformi egizie. L’opera fu costruita dallo scultore Sappey nel 1838 per celebrare le imprese del conte Benoit de Boigne, grande benefattore di Chambéry nella seconda metà del ‘700, molto caro agli abitanti ancora oggi.
Il volto del presente
L’architettura più recente di Chambéry non è tuttavia meno affascinante.
Maestoso è il Carillon installato nel 1993 nella Torre Yolande accanto alla Santa Cappella del Castello che, seppur invisibile, con le sue 70 campane è la più grande orchestra di bronzo di tutta la Francia. Altro vanto architettonico dei nostri tempi è il Quartiere Curial, con l’Espace Malraux-Scène Nationale dell’architetto ticinese Botta, la Mediateca Jean-Jacques Rousseau di Galfetti e le Manege, il Centro Congressi reinterpretato da Morrisseau. Questa rivisitazione dell’urbanistica medievale non inibisce il fascino storico della città, anzi lo esalta in un contrasto di forme e stili insolitamente armonico. E altrettanta sensibilità è dedicata al rispetto ecologico: Chambéry, infatti, è stata tra le prime cittadine francesi a promuovere le zone pedonali, oltre a dedicare spazi sotterranei ai parcheggi per non violentare l’arte e la natura. Questo la rende particolarmente accogliente anche per i tanti giovani che da tutta Europa ogni anno si riversano qui, nelle sue prestigiose Università.
Il famoso Mercato, Les Halles, è probabilmente tra le opere recenti più attrattive, non solo in virtù della struttura ariosa in perfetta sintonia con la città ma anche per ciò che contiene e offre. Ogni giorno è un tripudio di formaggi, salumi, ortaggi, crostacei, vini e dolci delizie ma è il sabato che il Mercato dà il meglio di sé espandendosi con appetitosi tentacoli anche all’esterno, lungo le strade.
Chambéry a tavola
A proposito di cibi, prodotti genuini e ricette originali, forse non tutti sanno che il nome “Chambéry” deriva da “chambero” che in francoprovenzale significa “astice”. Questo perché l’antico borgo, in origine, poggiava su ampie paludi che pullulavano di piccoli crostacei, sicuramente molto appetibili.
Oggi i piatti tipici della Savoia, e di Chambéry in particolare, puntano su ingredienti piuttosto sostanziosi, ricchi di proteine e farinacei, adatti alla vita dinamica che le Alpi naturalmente inducono. Inoltre, molte preparazioni echeggiano quelle tradizionali piemontesi, con evidenti parentele gastronomiche.
Un buon pasto deve cominciare e terminare con un distillato delle due Aziende centenarie della Regione, Dolin e Routin, che perpetuano le specialità più note: il Vermouth di Chambéry, il Génépi e la Chambéryzette. La tradizione molitoria è molto ancorata qui e i crozets, pasta preparata con farina bianca, grano saraceno e uova, sopravvivono al passato continuando a ingolosire, insieme ai tallerin e alla polenta. La salagione dei salumi è un’altra tradizione immortale che continua a produrre pregiati prosciutti e salsicce secche, naturali, affumicate, alle nocciole, ai mirtilli o al Beaufort. Sui formaggi bisognerebbe aprire un sipario a parte perché sono protagonisti di un  teatro gastronomico davvero ampio e ineccepibile: dal Farou al Colombier des Aillon, dal Chevrotin alla Tomme de Savoi, la varietà olfattiva e gustativa è straordinaria, così come gli abbinamenti ai vini locali. Anch’essi meriterebbero un palcoscenico a parte: dalla Rosette de Savoie al Crépy al Seyssel, 22 Cru e una ventina di vitigni tra cui i celebri bianchi Jacquère e Altesse e il celebre rosso la Mondeuse. Al commensale il piacere di azzardare abbinamenti con carni bianche, di cacciagione, con il Fois Gras, oppure con i dolci salmerini del lago di Bourget, davvero ottimi. Infine, i dessert per accontentare tutti: dai famosi Truffles (i tartufi di cioccolato inventati nel 1895 da un pasticcere di Chambéry, Louis Doufour) alla Rioute (ciambellina dolce-salata da inzuppare nel vino bianco), dal Dolce di Savoia (specie di meringa a base di albumi, zucchero e farina) al Saint Genix (dolce pralinato dei Duchi di Savoia confezionato in carta rossa e bianca, i colori del Ducato). 
E se ciò non bastasse a stuzzicare l’appetito, non resta che fare una visita ai ristoranti e ai bistrot della città. Il viaggio, oltretutto, è comodo e veloce approfittando del collegamento ferroviario Alta Velocità Milano - Torino - Lione, un ponte teso tra due culture in stretto dialogo tra loro.

Paul Bocuse, una laurea in "chefologia" stellata



Se andare a scuola non è sempre un diletto, lo diventa frequentando l’Istituto Paul Bocuse di Lione - Scuola di Management, Hotellerie, Ristorazione e Arte culinaria - che porta il nome del suo fondatore (insieme a Gérarde Péllisson). Non costretti al banco col grembiule nero, bensì elegantemente in piedi in toque blanche tra sofisticati strumenti di cucina e prodotti eccellenti, accanto ai migliori maestri del gusto e del savoir faire.
Non poteva essere che Lione la sede dell’Istituto. Città palpitante d'arte e di storia, è rinomata anche per la qualità dei suoi bouchon, le trattorie tradizionali il cui nome deriverebbe dalle insegne poste alla soglia delle antiche locande: un fascio (bouchon) di paglia e fieno che nell’antichità segnalava al viandante l’offerta di un ottimo pasto.
All’interno del Royal Hotel – storico palazzo affacciato su Place Bellecour, nel cuore della città – si è così consolidato questo sposalizio d’eccellenza tra hotellerie e didattica, una formula che sintetizza al meglio due fiori all’occhiello di Lione: l’arte e la cucina, appunto. E’ dal 2003 che l’Istituto Paul Bocuse ha assunto la gestione del Royal Hotel e il 5 novembre di quest’anno sono stati ufficialmente inaugurati  il “restaurant-école l'Institut” e l’”École de Cuisine.  Al primo piano dell’Istituto, in una graduale ascesa verso la trasparenza delle linee e l’essenzialità delle forme, sono accolti gli amateur gourmands che desiderano imparare le astuzie e i virtuosismi di mano dello Chef Philippe Jousse, esempio di pregio della Scuola. Con sorriso charmant incoraggia gli aspiranti chef ma con sguardo severo li dirige verso il rigore della perfezione.
Se il talento è una dote da coltivare, la tecnica è un esercizio che non si può improvvisare. Per questo, ogni anno, oltre 450 studenti di 40 nazionalità diverse, terminato il liceo scelgono l’Istituto Paul Bocuse – che dal 2010 vanta una sede anche a Shanghai - per trasformare il proprio potenziale genio in professione e un sogno in realtà. L’Istituto, infatti, non è una nicchia didattica chiusa nella sua stessa eccellenza ma una porta verso sbocchi lavorativi certi, forte del partenariato con università internazionali. I certificati conseguiti qui sono legalmente riconosciuti ed equiparati a lauree universitarie, quindi rappresentano un passaporto esclusivo per una figura professionale ovunque nel mondo. La selezione degli studenti si basa su un perfetto equilibrio tra cultura generale, originalità e personalità, qualità non facilmente misurabili ma salienti all’intuito degli esperti reclutatori.
Come spiega il Direttore Generale dell’Istituto – Herve Fleury – le parole d’ordine sono “rispetto, esigenza, generosità, etica” e la missione è unire la tecnica al savoir faire, perché cucinare, servire e mangiare rappresentano tre momenti intimamente connessi che si esprimono con un linguaggio da imparare e trasmettere. Il piacere della tavola, infatti, non nasce e finisce dentro un piatto: passa attraverso la sensibilità delle mani di chi cucina, si sviluppa nell’eleganza di chi serve a tavola e si celebra negli occhi, nella bocca e soprattutto nella mente di chi gusta il piatto. Per questo l’Istituto Paul Bocuse pone grande attenzione al tessuto psicologico e all’atmosfera contestuale del ‘mangiare’, affinché gli studenti laureati non sappiano semplicemente cucinare ma gratificare tutta l’esperienza sensoriale dei commensali. Con questo obiettivo, è essenziale che ricerca e innovazione arricchiscano continuamente la tradizione culinaria che l’Istituto vanta.
Borse di studio e incentivi sono a disposizione dei giovani che intendono investire qui sul proprio talento. E oltre ai tradizionali corsi accademici, l’Istituto propone seminari professionali per adulti, di 3 o 6 settimane, e mini corsi di uno, due o tre giorni, per amatori, turisti o semplici buongustai.
Un motivo in più per visitare Lione e sfidare i tanti bravi Chef della città, destreggiandosi personalmente ai fornelli. Se poi si desiderasse alloggiare al Royal Hotel – primo “Hotel École d’Europa - si avrà la possibilità di assaporare in un solo contesto l’eleganza dell’accoglienza e l’esperienza della Scuola di Cucina. Imperdibile, infine, una visita al mercato “Halles de Lyon-Paul Bocuse”, tra i profumi e i colori appetitosi dei prodotti locali, dove lo Chef faceva regolarmente la spesa per rendere unici i piatti del suo ristorante.



Chi è Paul Bocuse?
Paul Bocuse, grande Chef lionese premiato con tre Stelle Michelin, è il “Papa della cucina”. Personaggio emblematico, con la sua aura stellata continua a contagiare i giovani talenti che a lui s’accostano per imparare la sua arte. Il “Bocuse d’Or” è, infatti, il concorso culinario più prestigioso al mondo che si tiene a Lione ogni due anni.
Nato a Collonges-au-Mont, ridente paesino situato alle porte della città, eredita il suo talento dai genitori, a loro volta eredi di una dinastia di ristoratori, dal lontano 1765. Ad avviare inconsapevolmente questa fruttuosa attività e a dar vita alla gloriosa dinastia di cuochi Bocuse pare sia stata una donna di grande carattere, che gratificava chi portava i sacchi di grano al mulino con saporosi piatti. Chi ha dato il prestigio definitivo alla dinastia di Chef è stato il padre di Paul, George, laorando nei più celebri hotel di Francia. Il piccolo Paul già a otto anni aiutava la mamma nella cucina dell'Hotel du Pont di Collonges e, dopo circa sei anni, era già il regista dei fornelli.
Da allora, Paul Bocuse ha intrapreso il suo viaggio di grande Chef, interrotto solo dalla Guerra. Ha lavorato al Lucas Carton, un prestigioso ristorante in Place de la Madeleine in 8° arrondissement di Parigi, con il grande chef Richard Gaston. Nel 1950, con tre amici ha formato una squadra nel ristorante La Pyramide in Vienne, vicino a Lione. Nel 1961, ha vinto il sostegno di Meilleur Ouvrier de France e nello stesso anno ha vinto la sua prima stella Michelin, seguita dalla seconda nel ‘62 e dalla terza nel ’65. Il resto è storia recente, anzi futura, grazie all’Istituto destinato a costellare di nuove stelle il firmamento dei grandi cuochi.
La cucina continua ad essere per Paul Bocuse un’irrinunciabile ragione di vita: l'ha promossa e innovata, contribuendo alla nascita della  Nouvelle Cuisine.
Memorabile è una sua affermazione, di cui noi italiani dovremmo far tesoro: “L'egemonia della cucina francese durerà sino al momento in cui gli chef italiani si renderanno conto dell'enorme patrimonio che hanno a disposizione, sia dal punto di vista delle materie prime sia dal punto di vista delle innumerevoli sfaccettature delle tradizioni”.