Resto convinta che spesso siano i libri a scegliere noi, e
non noi i libri. Solo che lo scopriamo dopo, leggendo.
Scopriamo, cioè, l’esistenza di un filo invisibile che trascende
spazio e tempo e allaccia i nostri moti d’animo, i nostri desideri, le nostre
frustrazioni, il nostro mondo interiore a quello esteriore. Nessuno può
provarlo, è vero, ma nessuno può altrettanto provare il contrario.
Così mi piace pensare che quel magico filo invisibile abbia
oggi allacciato me e il libro di Eugenio Borgna “Parlarsi. La comunicazione perduta”.
Forse in risposta a un desiderio di ascolto, mi è capitato
tra le mani questo breve saggio, scritto con l’abituale disarmante semplicità
di chi sa scrutare negli abissi più oscuri dell’animo umano. Di chi sa che per
far luce nel labirinto di quelle tenebre esiste un solo, prezioso strumento: la
parola. Una comunicazione semplice, onesta, sincera, trasparente, vera. Una
comunicazione che per poter funzionare ha bisogno innanzitutto di saper ascoltare.
Ma che cos’è in sostanza questa “comunicazione”, questa
parola-marmellata, questa parola-valigia, come direbbero i linguisti? Non somiglia
forse a un ponte? Un ponte fatto di lettere, di sillabe, di parole che pongono
in relazione se stessi con gli altri. Ma il motore che sospinge le parole ad
attraversare il ponte e tessere un terreno comune su cui incontrarsi è la passione: senza
l’emozione la comunicazione sarebbe solo un involucro vuoto, incapace di dare e
incapace di ricevere. Perché le parole
sono creature viventi e pertanto hanno un cuore pulsante.
In ogni forma di
comunicazione, e soprattutto in quella terapeutica, l’Io si confronta con un Tu
nell’orizzonte di un Noi che fonde e trascende l’Io e il Tu in una nuova
dimensione dalla quale si esce cambiati e non si è più quelli di prima. Nella
vita non c’è solo qualcuno che parla e qualcuno che ascolta ma ci sono
contemporaneamente – anche nel silenzio – un parlare e un ascoltare legati in
una continua circolarità di esperienze che nascono dalla nostra capacità di
emozionarci.
Anche se in questo libro Borgna volge, come sempre, uno
sguardo privilegiato ai suoi pazienti e alla relazione squisitamente terapeutica,
credo abbia molto da offrire anche a chi non vive necessariamente un
contesto patologico. Esistono così tante forme quotidiane di sofferenza, spesso
subdole, spesso invisibili ai nostri stessi occhi, magari travestite da seducenti
miraggi, ammalianti spettri dal voluttuoso abbraccio che poi, alla fine, ci si
rivoltano contro azzannandoci a tradimento, lasciandoci soli con i nostri frammenti
di coscienza da ricomporre.
Ecco allora che in queste situazioni di inattesa sofferenza,
di quotidiani travagli interiori, diventiamo tutti un po’ pazienti in affanno, bisognosi di
parole, magari racchiuse in un libro come questo, magari donate da un amico
lontano che ha imparato ad ascoltare.
Tutti abbiamo bisogno di parole.
Parole che curano, che leniscono ferite e mitigano dolori.
Parole che aiutano a capire.
Parole che aiutano a vivere.