La cena era in tavola da tempo ormai ma Isaac Newton, immerso nei suoi
studi, non si era ancora mostrato in sala da pranzo. L’amico William Stuckeley
era sempre più impaziente e affamato. Alla fine sollevò il coperchio dal piatto
scoprendo un pollo. Se lo mangiò tutto, poi furtivamente rimise a posto il
coperchio. Alla fine Newton arrivò, salutò l’amico e si mise a tavola. Sollevò
il coperchio e vide che sul piatto erano rimaste le ossa. Serafico, commentò:
“Come siamo distratti noi filosofi. Ero proprio convinto di non aver ancora
mangiato!”
Questo gustoso aneddoto riportato
da Massimiano Bucchi nel suo libro “Il pollo di Newton,” edito da Guanda,
esprime la concezione che la figura dello scienziato ha alimentato per molto
tempo nell’immaginario collettivo. Quella, cioè, di un corpo essenzialmente
ascetico e di una mente tanto sublimata nel ragionamento astratto da
dimenticarsi completamente di dettagli materiali, come il cibo appunto. Eh, sì,
perché perdere tempo a mangiare quando c’è così tanto cui pensare?
Tuttavia, paradossalmente questo
episodio rivela anche quanto sia stretta la relazione tra scienza e cucina: pur
considerandola indegna di un filosofo, la cucina - ovvero il piacere del cibo -
è ritenuta responsabile delle sue distrazioni. Dunque, la sua importanza
diventa logicamente incontestabile.
Di fatti, Massimiano Bucchi –
docente di Scienza, tecnologia e società all’Università di Trento – dimostra che
la scienza s’inserisce in cucina non tanto come incomprensibile fattucchiera
dello straordinario, quanto come semplice manifestazione dell’esperienza
quotidiana. Basterebbe osservare come la maionese riesce ad addensarsi oppure a
impazzire per intuire che la riuscita o il fallimento della preparazione
dipendono essenzialmente da questioni chimiche, molecolari, dunque
scientifiche.
Di conseguenza, se la scienza è
sempre stata a fianco della cucina, il palato, insieme al naso, è sempre stato
strumento conoscitivo per eccellenza, non meno sensibile e affidabile
dell’armamentario sperimentale con cui la natura è abitualmente interrogata.
Attraverso una serie di aneddoti
davvero gustosi – da Francis Bacon a Isaac Newton, da Benjamin Franklin a Louise
Pasteur – Bucchi non solo svela le inattese modalità di intersezione che
tuttora esistono tra scienza e cucina ma offre anche un’interpretazione dei
rapporti tra scienza e società nel corso dei secoli. Infatti, allorché la
scienza si afferma sul piano sociale come istituzione di rilevanza e
autorevolezza, diviene anche un modello cui la cucina può ispirarsi (basti
pensare all’attuale cucina molecolare). Dal canto suo, la cucina può essere
considerata anche come un’opportunità di divulgazione seduttiva di contenuti
scientifici altrimenti poco digeribili da tutti.
A proposito: sapete tutti, vero, perché
la maionese impazzisce?