L'eterno femminino nell'Arte
“Donna non si nasce, si diventa”.
Così affermava Simone De Beauvoir
ne “Il Secondo sesso”, opera
destinata a mettere a nudo l’immagine della natura femminile e i suoi
molteplici ruoli nella società borghese dagli anni Cinquanta in poi.
Ma cosa significa quest’affermazione
tanto lapidaria quanto intuitivamente vera?
Creatrice per natura, la donna
inventa se stessa sbocciando come un fiore i cui petali si colorano con le
sfumature della sua linfa vitale. Fiorisce nella propria casa, nella propria
famiglia prima come figlia poi come giovane consapevole spesso ribelle, e
quindi come madre. Ma anche nella società, nel teatro culturale, come
protagonista rivoluzionaria e conservatrice al tempo stesso di un ciclo vitale
ineluttabile. Ogni epoca, attraverso la cultura e il linguaggio che le è
proprio, partorisce di volta in volta una donna nuova, originale, frutto di
radici e tradizioni ineliminabili ma anche di innovazioni e trasformazioni
inevitabili.
La donna riassume in sé, quindi,
una duplice natura: una esterna che si muove disinvolta nel presente proiettata
verso il futuro e una interiore che respira nell’ombra traendo forza dal
passato. Il dialogo tra queste due nature, combinato in migliaia di espressioni
diverse, determina la personalità e la socialità di ogni creatura femminile. E’
il risultato di quella sfumatura e di quella fragranza che contraddistingue
ogni fiore nell’immenso prato dell’universo.
La storia trabocca di donne che si sono realizzate
nella propria interezza, mescolando sapientemente i toni di un’intricata natura
in un’armoniosa sinfonia. Personaggi femminili che hanno saputo incarnare quell’eterno femminino tanto caro a Goethe. Faust, infatti, nel “Coro mistico”
si rivolgeva all’anima umana definendola il femminile
eterno che ci trae in alto.
Esiste qualcosa che ci attrae oltre la materia, oltre l’illusione: è
la necessità di pensare, di porci delle domande. Questa facoltà, che probabilmente
è presente solo nell’essere umano, che ci spinge a ricercare una soluzione per
gli infiniti enigmi del mondo è una facoltà squisitamente femminile: è
l’immaginazione.
E cosa meglio dell’arte è in
grado di esprimere quest’eterno femminino creativo, fonte di conoscenza che ci trae in alto? Da sempre, in ogni sua
sintesi simbolica e mitologica, l’arte traduce l’invisibile in visibile, il
mistero in bellezza, il sogno in realtà e, con un linguaggio che trascende la
razionalità, permette di cogliere in trasparenza ciò che si nasconde sotto il
visibile attraverso la suggestione delle emozioni. La complessità è per
definizione anche ambiguità, un’ambiguità che rappresenta l’essenza dell’arte
poiché lascia spazio all’interpretazione, cioè al dialogo tra artista e
fruitore. Come diceva Voltaire, del resto, “il
segreto per diventare noiosi è dire tutto”. Di conseguenza, l’Essere donna
non è mai noioso e quando si esprime attraverso la creatività svetta sulle cime
del sublime, sia quale musa ispiratrice, sia quale artefice d’opere d’arte.
Le arti figurative, in special
modo, essendo più intuitive di altre, ci aiutano a percepire le infinite
sfumature del femminino declinato in diverse tipologie caratteriali a seconda
dei panorami storici in cui sboccia. Tuttavia, sotto questi modelli epocali,
sembrano ricorrere delle costanti sintetizzabili in alcuni archetipi psicologici
dell’Essere donna.
Prendendo in
prestito il termine “archetipo” dalla teoria psicoanalitica di Jung, è più facile
afferrare l’intimo legame tra arte e psicologia femminile. Il concetto
d’archetipo si riferisce a una rappresentazione mentale primaria, propria
dell'inconscio collettivo, che si manifesta in simboli universali presenti in
tutte le culture di ogni epoca storica. Attraverso l’arte, ovvero attraverso il
linguaggio dei simboli e delle immagini, si entra direttamente in contatto con
la psiche, quindi con le emozioni e i sentimenti. L’immaginazione è il processo
che pone in dialogo l’inconscio con il conscio senza la necessità di ricorrere
a un linguaggio razionale, ecco perché da sempre l’arte figurativa appartiene
alla cultura della specie umana. E da sempre, l’archetipo di Madre - quello
femminile per eccellenza - è ciò che permea quell’inconscio collettivo di cui
Jung parla, come un magma sotterraneo che scorre nella carne di ognuno di noi.
Attraverso l’arte, quest’archetipo diventa intuitivamente percepibile: l’Essere
Donna si manifesta e si esprime attraverso simboli riconducibili a tutti.
Uomini compresi, perché “tutto l’essere
dell’uomo presuppone la donna: corporalmente e spiritualmente. Il suo sistema è
a priori messo a fuoco sulla donna, così come nel mondo esistono l’acqua, la
luce, l’aria, il sole …” e senza essere necessariamente junghiani risulta condivisibile
quest’appassionata affermazione. La storia dell’arte conferma, infatti, la concezione di Jung
e lo dimostra sin dalle prime raffigurazioni artistiche
risalenti ai nostri antenati del neolitico, in cui il maschile era del tutto assente
o compariva tutt’al più come un piccolo insignificante uomo accanto a una madre
potente e maestosa.
Ecco perché l’arte
– quale narrazione della psiche – è lo specchio privilegiato del femminino.
L’artista moderno è ormai consapevole
dell'interrelazione fra la propria opera, la propria storia e un inconscio
sotteso che trascende il tempo. E’ un apriscatole
psicologico, come si definiva Kokoschka – uno dei primi artisti moderni -
che con quest’espressione ha interpretato bene lo spirito dei suoi
contemporanei ma anche l’afflato originale con cui l’arte è nata insieme alla
stessa civiltà umana.
Avvicinarsi a
un’opera d’arte, dunque, permette di scostare il sottile velo dell’immaginario
sulla realtà per avventurarsi alla scoperta di mondi lontani, di creature
ignote e di abissi in parte inesplorati.
Primo tra tutti,
l’Essere Donna.