Nell’Ottocento, Marco Ezechia
Lombroso, altrimenti detto Cesare Lombroso, era diventato famoso non solo per
essere medico, antropologo, giurista e criminologo ma anche per aver formulato
una teoria destinata a sobillare gli animi e alimentare accese critiche.
Dai minuziosi studi effettuati
sulla struttura ossea del cranio e sulle proporzioni tra le varie parti del
corpo, il Lombroso si era convinto vi fosse una corrispondenza tra i tratti
somatici e il temperamento, in particolare in quei soggetti socialmente
deviati, come i criminali e i folli. “Il
criminale è un essere che riproduce atavicamente sulla propria persona feroci
istinti dell’umanità primitiva e degli animali inferiori.” Questa era
l’anima del suo pensiero che, tuttavia, non si limitava a etichettare assassini
e briganti ma anche geni e artisti. Secondo lo studioso, infatti, i tratti
somatici erano sempre specchio del carattere, dunque anche di attitudini
artistiche e talentuose, non solo turpi e delittuose. Così, mentre un uomo
basso, irsuto, col cranio piccolo e un naso grande rientrava nella tipologia
lombrosiana del potenziale omicida, uno pallido, magro, rachitico, con un
cranio sviluppato doveva essere senz’altro un genio. Gli eccentrici studi
ispirarono a dismisura la mente del Lombroso il quale scrisse trattati
grotteschi, come “La ruga del cretino e
l’anomalia del cuoio capelluto”, o “Perché
i preti si vestono da donne”, o ancora “Studi
sui segni professionali dei facchini”, che animavano un misto di fascino e
orrore, seminando pregiudizi razziali ma, talvolta, anche cieca ammirazione.
Il bisogno dell’intelletto umano
di leggere un’interiorità delle cose attraverso l’esteriorità non era tuttavia
nuova. Infatti, molti secoli prima del Lombroso, nel Medioevo, si era diffusa
una dottrina spirituale che coglieva e interpretava una corrispondenza tra
caratteristiche fisiche e virtù intrinseche non in riferimento alla psiche
degli esseri umani, questa volta, bensì alle proprietà dei vegetali. Paracelso
e i suoi allievi, tra cui Osvaldo Crollio - chimico cabalista nato a Wetter in
Germania - avevano formulato la “teoria
delle segnature”. Secondo tale dottrina, ogni caratteristica fisica di
piante, erbe, frutti o ortaggi erano precisi segnali che la Natura esprimeva
per rispecchiare le proprietà nascoste in ognuno di essi. Sposando il principio
aristotelico per cui la Natura non fa
nulla di inutile, e ispirandosi probabilmente alle precedenti teorie di Plotino
e Galeno, Crollio era così affascinato dalla varietà di fogge, colori, odori e
sapori del mondo vegetale da convincersi che non fossero casuali. La sua
ipotesi fu, dunque, che i ‘segni’ manifesti di ogni vegetale fossero lo
specchio della loro intima essenza e l’uomo aveva il privilegio di scoprire
tali virtù per sfruttarle e consumarle a suo beneficio.
Ad esempio - secondo
la segnatura del colore - le piante che producevano fiori gialli, come la
calendula, erano utili per curare l’ittero, che notoriamente si manifesta con
un colorito giallognolo sulla pelle; mentre le foglie, i semi e i fiori
dell’iperico, messi a macerare in olio d’oliva al sole, offrivano un unguento
di colore rosso acceso, utile per curare le ferite. Secondo la segnatura della
forma, invece, era la foggia a suggerire quale parte del corpo potesse essere
curata dal vegetale. La peonia, ad esempio, provvista sulla sua sommità di un
pistillo a forma di cervello, veniva utilizzata per curare le malattie
cerebrali; l’equiseto, detto anche coda cavallina proprio per la sua fisionomia,
veniva impiegato per lenire i dolori alla colonna vertebrale; ancora,
l’iperico, con le sue foglie perforate, era utile come cicatrizzante; la noce,
evocando il cervello, veniva utilizzata per curare gli stati d’ansia e
l’insonnia, quindi per calmare la mente; le foglie di eucalipto, che per la
foggia affusolata ricordano i lobi polmonari, erano balsamiche per le vie
respiratorie e gli stati d’asma. E così via, in un variopinto susseguirsi di
evidenti analogie, molte delle quali col tempo si sono dimostrate corrette
intuizioni.
Parallelamente a Crollio, un altro fisico
napoletano allievo di Paracelso – Giambattista Della Porta – sintetizzò i
segreti dell’universo vegetale in un trattato dal titolo “Magia Naturale”. Era curioso di tutto, dall’infinitamente piccolo
all’infinitamente grande e i suoi studi sull’ottica hanno, tra l’altro,
contribuito all’invenzione della camera oscura e alla costruzione del primo
telescopio. Molti erboristi del Medioevo erano, infatti, anche appassionati
astronomi e cercavano di elaborare un sapere universale, cogliendo le
corrispondenze tra i pianeti e i segni dello zodiaco (il mondo celeste), le
piante e gli animali (il mondo terrestre) e le diverse parti del corpo
suscettibili di malattie (il microcosmo umano). Quest’ardita fame di sapere non
faceva piacere alla Chiesa, infatti, lo stesso Della Porta fu perseguitato
dall’Inquisizione per aver fondato l’Accademia dei Segreti, votata appunto
all’esplorazione dei segreti del cosmo. Alle persecuzioni è tuttavia
sopravvissuta l’idea che la Natura costituisce un ‘tutto’ completo e perfetto,
incomprensibile solo per via dell’ignoranza e della cecità degli uomini stolti.
In fin dei conti, anche se ancora confuse in un’aura di mistica magia, qui
s’intravedono le basi filosofiche di quella che sarà la moderna ecologia.
In conclusione, l’affascinante
e ipotetica analogia tra gli studi sui segni dei facchini e quella sui segni
dei vegetali si esaurisce laddove comincia. Se la perspicacia del Lombroso
rivela inconsapevolmente la prevaricazione della comprensione umana sulla
manifestazione della natura, la minuziosa osservazione di Paracelso rappresenta
tutt’oggi un’ammissione di umiltà dell’essere umano di fronte
all’ineguagliabile perfezione del mondo naturale.