Filosofia della passione culinaria
“La cucina è un
linguaggio mediante il quale si può esprimere armonia, creatività, felicità,
bellezza, poesia, complessità, magia, humor, provocazione, cultura.”
Questo è il preludio alla Sintesi della cucina di elBulli, rivoluzionario ristorante spagnolo pluristellato reso
leggendario dallo chef catalano Ferran Adrià. E questo primo punto della
Sintesi, pubblicata ufficialmente nel 2006, rappresenta concettualmente la
partenza, lo snodo e l’arrivo di un saggio fresco di stampa, tanto originale
quanto ambizioso, titolato “La cucina è arte?”, di Carrocci
Editore, scritto da Nicola Perullo,
professore di estetica e bravo scrittore.
Da una domanda
apparentemente semplice nasce un saggio che propone una risposta assolutamente non
convenzionale, attraverso un percorso tentacolare, in equilibrio tra estetica,
storia, antropologia e gastronomia. Come un funambolo del pensiero, Perullo
s’incammina in una riflessione articolata che trae sostegno in punti fermi
assai autorevoli: da filosofi come Kant e Adorno, a letterati come Goethe e Schiller,
a teorici del gusto come Alexandre Grimod e Brillat-Savarin, fino ai grandi
chef del panorama contemporaneo come Massimo Bottura e Ferran Adrià, appunto. Ma
questo è solo un assaggio di un appetitoso ‘menù concettuale’ molto ricco, volto
a scoprire se e quando la cucina è davvero arte. E se sì, quando non lo è.
Ne risulta un
dibattito aperto che accompagna il lettore lontano: lontano nel tempo passato
tra i convivi dell’antica Grecia e gli animati banchetti medievali, e lontano
nello spazio geografico, toccando punti estremi dell’universo gastronomico
attuale, come il ristorante psichedelico di Paul Pairet Ultraviolet a Shangai o il teatro ‘transmediatico’
Il Sogno dei fratelli Roca di el Celler
de Can Roca di Girona. Tutto questo viaggio concettuale per rispondere a una
domanda apparentemente tanto semplice: la
cucina è arte?
La risposta di
Perullo, giustificata in nove tesi, è in sintesi questa: la cucina è un’arte
storicamente determinata, che si manifesta grazie a tecniche (per i Greci téchne era l’arte), manualità,
conoscenze, capacità immaginative e soprattutto persone, quelle che in squadra,
tutte insieme, contribuiscono a realizzare un progetto che possegga un’eleganza gastronomica. Un’arte che non risponde,
quindi, solo al piacere dell’occhio, alla pura estetica visiva, né si esprime
come rappresentazione eccezionale e spettacolare in antitesi alla dimensione più
intima del quotidiano, del focolare domestico, materno. Una pizza o una pasta e
fagioli possono diventare opere d’arte! L’arte culinaria si misura piuttosto attraverso
la grammatica dell’emozione gustativa e giostra tra l’apprezzamento del noto,
dei sapori affettivamente cari e vissuti, e la fascinazione del nuovo,
dell’inatteso, del trasgressivo. In questo senso, ogni palato trova la sua
cucina, la sua opera d’arte, come fosse un’affinità elettiva indipendente dal
grande chef che ha diretto l’orchestrazione gustativa.
A proposito, vi
siete mai chiesti perché il palcoscenico gastronomico internazionale pullula di stelle maschili in toque blanche divinizzate e
manca di altrettante evidenze femminili?
Per scoprirlo
leggete il saggio di Perullo. Un solo avvertimento agli amanti di banali ricettari e della letteratura
gastronomica usa e getta: astenetevi, questo è un libro a regola d'arte.