Accade che in certi momenti della
vita ci si senta alla deriva, sbattuti a ridosso di un bivio oltre il quale la
strada si biforca su un baratro inquietante. Il senso della propria identità
presente e la prospettiva di un futuro trasparente si confondono e l’Io rischia
d’esser traghettato verso il buio, anziché verso la luce.
In questa liminalità psichica è
tutt’alto che facile decidere consapevolmente quale ramo della biforcazione
intraprendere. Sono più spesso forze sotterranee che spingono all’agire cosciente.
Ma il rischio di avventurarsi nell’ignoto è il prezzo necessario per affrontare
il cammino della propria individuazione. Un cammino contorto e minaccioso che,
ad ogni passo in superficie, produce in profondità un contraccolpo. A volte,
infatti, si ha la sensazione che ad ogni piccolo, minuscolo passo in avanti se
ne producano altri due indietro, enormi, giganti passi indietro. Una
retrocessione che origina dal dubbio radicale di sbagliare e che crea uno
straniante senso di colpa davvero difficile da elaborare, perché in quel senso
di colpa così vivo, così graffiante si mescolano cose vere e cose false. Cose
che lasciano stordite anche le persone attorno a noi, sconvolte dai repentini e
ingrati cambi di marcia, incomprensibili alla ragione.
Reggere i vissuti di colpa che
sorgono a ogni presa di distanza dai modi comuni di pensare e di agire è
un’impresa a dir poco eroica, anche per l’offesa che si reca involontariamente
a chi ci ama. Perché spinge al limite del sostenibile, verso una solitudine
necessaria eppure dolorosa che può amplificare ancor di più il disorientamento,
anziché far luce.
E non è neppure scontato che si
possa riprendere la via del ritorno, perché niente resta uguale a prima dopo
essersi avventurati tanto lontano e pochi sono disposti a star là, sull’altro
ramo della biforcazione, ad aspettare il nostro ritorno. Come dice Jung, in
questo cammino si rischia di diventare solo “ombre per il mondo di sopra.”
Nel disorientamento radicale e
nella frantumazione del tempo che paralizza l’io svuotandolo d’ogni desiderio,
l’anima può essere attratta dal Non-essere. Le sue ali possono sentirsi
irrimediabilmente lacerate, disfatte, sbrindellate e non possono più tenere la
rotta, né il vento, né la speranza.
Eppure …
Eppure una rotta c’è sempre, il vento
soffia sempre e la speranza, dopo tutto, è sempre l’ultima a morire.
(Delirio lirico indispensabile
dopo la lettura di “Fantasmi all’opera”, di Carla Stroppa)