Le
astuzie psicologiche della televisione gastronomica, tra seduzione e
mortificazione d’intramontabili appetiti
Sono passati quasi
quarant’anni da quando andò in onda la prima trasmissione di cucina in Italia.
Fu il sorriso materno di
Wilma De Angelis, nel 1979, a spalancare il sipario su un palcoscenico
destinato a fare del cibo spettacolo e degli chef attori. Il cammino, in
realtà, fu per diversi anni pacato e rassicurante con una graduale dilatazione
della spettacolarità dell’arte culinaria. Tutti ricordano con nostalgico
affetto la simpatia di Corrado che, negli anni ‘80 intratteneva le famiglie con
“Il Pranzo è servito”, imperdibile parentesi di relax per tantissimi italiani,
trasmissione che ancora oggi sopravvive se pur in altre vesti.
Bei tempi quelli! Non
solo perché eravamo tutti più giovani ma anche perché certe trasmissioni
emanavano emozioni positive, di domestica serenità. Anche quando la sfida tra
gli chef si mostrava appassionata, l’atmosfera ricalcava l’ambizione di due
amici che si misurano nella complicità di un gioco alla pari, tra sorrisi e
pacche sulle spalle, dove alla fine nessuno era mai moralmente sconfitto.
Un’atmosfera amichevole e famigliare sottolineata anche dalle sigle musicali
candide, fanciullesche, in cui lo spettatore di passaggio era invogliato a
cullarsi senza timore, tornando ogni giorno a questo piacevole appuntamento con
la tv gastronomica. Naturalmente, alla simpatia del conduttore e all’abilità
dei cuochi seguiva il giudizio del pubblico in studio e a casa ma l’assenza di
severità lasciava in fine il sapore di una messinscena leggera e divertente. La
trasmissione era poi coronata da un paio di ricette semplici e alla portata
della più maldestra casalinga, da mettere in opera alla prima occasione, magari
fischiettando le note allegre del programma.
Negli anni, la tradizione di questi primi
embrionali show culinari s’è tramandata con crescente ingordigia, sia da parte
degli attori abbagliati dalle luci della ribalta, sia dei telespettatori sempre
più avidi di proiettarsi in sfide impossibili ai fornelli, immedesimandosi di
volta in volta con lo chef del cuore.
Oggi, per fortuna, da un lato resistono le
intramontabili rubriche gastronomiche che saporano di cultura, anche se costrette
spesso in spazi tristemente angusti. D’altro canto, proliferano programmi
dedicati alla preparazione della ricetta del giorno, condotti prevalentemente
da gentili mani femminili che mescolano simpatia, informalità e un pizzico di
imbranataggine, tanto per tranquillizzare chi sta a casa e portarlo sullo
stesso piano di chi sta in tv. Tuttavia, la vera novità è che spopolano e si
moltiplicano programmi decisamente più audaci, prevalentemente condotti da chef
coi pantaloni, che con ostentata arroganza infiammano gli animi dei
telespettatori non attraverso il garbato solletico dei sensi bensì attraverso
l’esasperata provocazione dei nervi. Basterebbe soffermarsi sul sottofondo
musicale di alcuni programmi di guerra gastronomica per percepire il messaggio
emotivo sotteso: non più il ritornello naif di Corrado ma una suspense sonora
alla Dario Argento, che amplifica pause, sospiri e colpi di scena del duello
all’ultimo sangue tra chef e conduttori. Complice del pathos scenico ad alta
tensione è la telecamera che indugia impietosa nelle pieghe espressive dei
partecipanti fino a cogliere malcelati sudori e contagiosi batticuore.
Il successo di questi show è indiscutibile, sia
in Italia sia all’estero, e i casting per parteciparvi sono ambitissimi, vista
la fama assicurata dei protagonisti. Tuttavia questo spostamento dal piacere
del cibo al piacere della persona testimonia come sia andato perso il sapore
ingenuo delle prime trasmissioni e si sia inquinato il rapporto tra conduttori,
cuochi e telespettatori ma, soprattutto tra le persone e il cibo! Cibo che da
inconsapevole protagonista sembra essere scivolato in secondo piano, divenendo
solo una comparsa, un volgare pretesto per dar sfogo a emozioni e reazioni
elementari che nulla hanno a che fare con l’alimentazione né con l’arte
culinaria.
Su questi palcoscenici, infatti, succede di
tutto: si chiacchiera, si spettegola, si maligna, ci si offende, ci si consola,
si ride, si soffre, si piange e si esulta. Quello che si fa poco è cucinare,
appunto, o insegnare a cucinare. E
tanto meno mangiare. La sensazione diffusa è che il valore del cibo in questo
tipo di tv sia sempre più mortificato e disprezzato, perché esso non è più
veicolo di cultura ma di primaria emotività. E l’overdose di programmi di
questa fattispecie tende da un lato a fagocitare il pubblico in un vortice
aggressivo, dall’altro a trasformarlo in un unico grande cannibale, sempre più
dipendente e acritico nei confronti della quotidiana indigestione mediatica.
A tutti, infatti, sarà capitato di inciampare in
queste trasmissioni durante lo zapping, se non altro per affrettarsi a cambiare
canale prima di esserne ipnotizzati. Qual è, allora, il segreto di tale
successo? Questi show stimolano dei meccanismi inconsci comuni a
tutti noi, che i programmi piacciano o no. L’astuzia psicologica è disarmante
nella sua semplicità: l’ossimoro di attrazione-repulsione, di piacere-crudeltà,
di seduzione-mortificazione è intrinseca all’essere umano e suscita
un’inevitabile spinta di immedesimazione, di reazione proiettiva nei confronti
degli attori attorno ai fornelli. Così, emotivamente rapiti, da casa
partecipiamo ineluttabilmente al sadismo del giudice conduttore o al masochismo
dell’apprendista chef, dimenticandoci completamente del cibo, della ricetta e
delle cose buone, lasciandoci piuttosto risucchiare da una viscerale
partecipazione psichica. Questo tipo di coinvolgimento somiglia molto ai moti
perturbanti suscitati dalle esibizioni a sfondo erotico-sessuale: pur sapendo
che è tutta una messinscena e che gli attori sono semplicemente caricature
delle nostre attese, ci si abbandona all’evoluzione, o involuzione, dei
sentimenti di fronte a un’intimità sempre più profanata dall’esasperazione
delle emozioni forti.
In fin dei conti, non dovremmo sorprenderci né
scandalizzarci. La chiave del successo di questi show è la stessa dei programmi
di trent’anni fa, perché essi sono figli del tempo che li accoglie: non fanno
altro che dare in pasto al pubblico il menù che il pubblico vuole. Pubblico
che, alla fine, è l’unico veramente cotto a puntino.
Come diceva il buon Corrado, anche oggi il pranzo è
servito, solo con ingredienti diversi.
E chi non gradisse, può sempre cambiare canale!
Paola Cerana
Mete d’Italia e del Mondo, Aprile 2013