Nel primo secolo a.C. ad
Ansedonia viveva una donna ignara della fama che avrebbe avuto ai giorni
nostri. La giovane, battezzata la ragazza
di Cosa dal luogo che ha partorito il suo scheletro, rappresenta il primo
caso noto di una delle malattie più diffuse oggi. I genetisti del Centro
dell’Università di Tor Vergata di Roma, analizzando il Dna di alcuni suoi
frammenti ossei, hanno diagnosticato infatti il cosiddetto morbo celiaco, più comunemente detto celiachia. L’intuizione è sorta dalla deduzione dell’aspetto
fisico: la ragazza era rachitica, affetta da osteoporosi, ipoplasia, anemia e
porosità ossea, tutte fragilità non riconducibili a un regime di vita povero
poiché lo scheletro era ingioiellato e ben conservato. Conclusione: la
malnutrizione della ragazza era presumibilmente dovuta a quella variante del
gene HLA responsabile della celiachia.
Questa scoperta è di grande
fascino, non solo perché è sempre emozionante ricostruire il passato attraverso
i resti che il presente conserva. Ma anche perché dimostra che la celiachia è
antica quanto l’uomo, o meglio, quanto il grano. Sì, perché oggi si sa che si
tratta di una malattia autoimmune enteropatica dovuta a un’intolleranza al
glutine, la proteina presente nella maggior parte dei cereali tra cui il grano.
In genere compare durante lo svezzamento con l’assunzione dei farinacei e
colpisce preferibilmente le donne. Nel celiaco l’introduzione del glutine
attiva in maniera anomala il sistema immunitario il quale si ribella agli elementi
che riceve: i villi intestinali si atrofizzano e frenano anche l’assorbimento
dei nutrienti buoni espellendoli come nemici insieme al glutine. E’ come se
l’intestino si trasformasse in un secondo cervello in grado di decidere
autonomamente ciò che è buono e ciò che non lo è.
Lo spettro dei sintomi della
celiachia è ampio e coinvolge dimensioni psicologiche che trascendono
l’apparato gastrointestinale. In genere si distingue tra quattro forme di
celiachia a seconda delle sue espressioni. Tipica: si manifesta con prepotente
dissenteria, gonfiore addominale, perdita di peso, debolezza e turbe umorali.
Atipica: somma ai sintomi della tipica anche anemia, malassorbimento del
calcio, anoressia e dermatite erpetiforme. Silente: essendo priva di sintomi è
difficilmente diagnosticabile ma eloquente alla sensibilità di chi ne soffre.
Latente: individuabile in chi risulta positivo agli anticorpi anti-gliadina AGA
e anti-endomisio EMA.
Il caso della ragazza di Cosa,
celiaca d’altri tempi e simbolo di una popolazione con abitudini nutrizionali
diversissime dalle nostre, rivelerebbe che la malattia non dipende dalle
condizioni alimentari moderne, né dalle manipolazioni genetiche dei cereali.
Immaginando la vita della giovane, si può azzardare l’idea che l’eliminazione del
glutine dalla dieta le avrebbe consentito un’esistenza più lunga e serena.
Eliminare il glutine è ancora oggi l’unica soluzione alla malattia poiché non
esistono farmaci specifici. Sono tuttavia moltissimi i casi di celiachia non
diagnosticati, così come sono frequenti le confusioni tra intolleranze
alimentari, disturbi psicologici della nutrizione e reali celiachie. Per questo
una diagnosi accurata, a partire dall’esame del sangue, non solo è
consigliabile ma spesso è indispensabile e predittiva poiché la celiachia
registra un indice significativo di ereditarietà.
Oggi non è un sacrificio per i celiaci nutrirsi in maniera sana, allegra
e fantasiosa: dalla pasta alla pizza, dai biscotti al cioccolato è possibile
eliminare il glutine ma non il piacere. Gli alimenti gluten free, così come i ristoranti per celiaci, sono sempre più
diffusi e apprezzati anche da chi celiaco non è, con la differenza che solo la
malattia clinicamente certificata consente le agevolazioni economiche
all’acquisto dei prodotti specifici. Bisognerà tuttavia attendere per vederli
contemplati nel regolamento quadro delle diete speciali previste dal Parlamento
Europeo che tuttora li esclude. In ogni caso, concepire la celiachia non solo
come malattia ma anche come occasione per un’alimentazione alternativa al pari
del vegetarianismo o del veganismo è già di per sé una cura, innanzitutto
psicologica e di conseguenza organica. Perché si sa, mens sana in corpore sano, anche per i celiaci!