Il
piacere sessuale è per l’anima ciò che la buona tavola è per lo stomaco.
Quest’associazione
gustativa è il leitmotiv sotteso al
pensiero e, soprattutto, allo stile di vita dei libertini del XVIII secolo che,
in fatto di piaceri, non si facevano mancare nulla. Sesso e cibo: tutto doveva
passare attraverso la bocca per soddisfare il corpo e lo spirito. Se possibile
prima uno e poi l’altro, altrimenti e ben volentieri, contemporaneamente.
Primo
tra tutti i famosi libertini dell’epoca è, naturalmente, Gian Giacomo Casanova.
Veneziano, figlio di artisti, cresciuto con un innato istinto all’amore fisico,
il giovane fa ben presto delle proprie esuberanti virtù un’arte. A tavola e a
letto.
“Coltivare i piaceri dei
sensi è stato in tutta la mia vita il mio primo impegno. Sentendomi nato per il
sesso diverso dal mio, l’ho sempre amato, e me ne sono fatto amare quanto ho
potuto. Ho anche amato con trasporto la buona tavola …” scrive Casanova nella prefazione del
celebre “Histoire de ma vie.”
Non
disdegna alcun cibo, il baldanzoso rubacuori, così come non esita ad
accompagnare i più squisiti piaceri del palato ai più viscerali amplessi
carnali. E le sue amanti sembrano essere puntualmente deliziate, nonché
appagate, da tale sposalizio dei sensi, profferto sempre con generosa
abbondanza.
Alcune
delle vicende più colorite, divenute leggendarie nella letteratura del
libertinaggio settecentesco, riguarda il rapporto di Casanova con un
particolare cibo, simbolicamente ineguagliabile nel linguaggio amoroso:
l’ostrica. Bisogna premettere che già nel secolo precedente l’allusivo mollusco
era considerato un potente afrodisiaco, in grado di surriscaldare l’ardore di
Venere e inturgidire il vigore di Priapo. Ma è soprattutto nel Settecento che
l’ostrica diventa il preludio gastronomico per eccellenza, il pretesto
esplicito per bere ottimo vino, champagne, liquori e ben altro. Non è raro che
durante gli orgiastici banchetti, gli invitati riescano a inghiottire anche
centinaia di ostriche a malapena masticate, incoraggiati dall’effervescenza del
vino profusamente offerto. E questo spesso non è che il ghiotto preambolo al
pranzo o alla cena veri e propri.
In
effetti, il mollusco pare rappresentare l’esatto opposto delle carni, sia nella
concretezza sia nel simbolismo. Carni che puntualmente abbondano con ostentata
opulenza sulle ricche tavole settecentesche. La leggerezza dell’ostrica
compensa la pesantezza dei manzi; la trasparenza risplende sull’opacità dei
maiali; l’effluvio d’oceano inonda i sentori di terra dei polli.
Leggerezza
e delicatezza conciliano, dunque, anche gli ardori di Casanova predisponendo i
sensi alla complicità più lasciva. Si narra, infatti, che l’audace libertino
amasse ordinare un piatto di ostriche prima di andare a dormire, indipendentemente
dai bagordi appena consumati. Lo fa ad Amsterdam, per esempio, per corroborarsi
dopo una faticosa corsa in slitta sull’Amstel ghiacciato; confessa di averne
mangiate trecento insieme a otto amici, una sera a Milano, ricordata non solo
per l’abbuffata di conchiglie ma anche per i fiumi di ottimo champagne; e lo fa
a Roma, in compagnia di due dame, Emilia e Armellina, gentilmente corrotte a
ogni genere di eccesso.
L’ostrica,
per Casanova, è come il bacio. La fusione del mollusco vivo con la bocca trasforma
il boccone in una sorta di ostia profana. Diventa persino deliziosamente
blasfema se si pensa, per esempio, alla relazione carnale che il giovane
intreccia nel 1754 con un’enigmatica religiosa sedotta con voluttuose ostriche
e poi posseduta, con suo compiaciuto consenso, in una petite maison veneziana. “Ci
divertimmo – scrive il Casanova – a
mangiare le ostriche scambiandole quando già le avevamo in bocca. Lei mi
presentava sulla sua lingua la sua nello stesso istante in cui io le imboccavo
la mia. Non esiste gioco più lascivo, più voluttuoso tra due innamorati. E’
anche comico e il comico non guasta poiché le risa son fatte soltanto per gli
esseri felici.” A incorniciare la scena già di per sé conturbante e ben
dipinta dalle parole dello stesso protagonista, va aggiunto un dettaglio ancor
più scabroso. L’erotismo ostreario tra i due è spiato da una stanza attigua
dall’ambasciatore di Francia, Pierre de Bernis, amante ufficiale della
religiosa, la quale deve avere un’imbarazzante confusione tra cosa sia l’amore
per Dio e l’amore per l’uomo.
In
seguito, e per molti anni, Casanova ripete spesso questo piacevole rituale
erotico-gastronomico che qualcuno ha battezzato “il gioco dell’ostrica.” Un gioco che il Pigmalione oramai navigato
non utilizza più come apoteosi di una partita di piaceri tra due amanti già
ardenti, bensì come strumento per sedurre e corrompere progressivamente anche
le dame più caste e recalcitranti.
Memorabile
è una cena, nel 1770, in una locanda di Roma, dove Casanova è intenzionato a
sciogliere la timidezza di quelle due giovani amiche, Armellina ed Emilia, con
delle costose ostriche. Cinquanta paoli per cento ostriche, questo è il prezzo
che l’ospite sottolinea con calcolato orgoglio alle invitate, solleticando
ancor di più il gusto peccaminoso del loro scontato consenso. Non solo, insieme
allo champagne Casanova ordina allo sguattero altrettante ostriche da consumare
dopo cena, come dessert, raccomandandogli di non gettare la deliziosa acqua in
cui esse nuotano.
A
questo punto, la funzione dei molluschi diventa essenzialmente ludica e
straordinariamente carica di un raffinato erotismo che i tre consumano con
reciproco diletto. Ne godono a tal punto da riderne insieme, abbandonati nel
languido abbraccio del piacere. Addio timidezza, dunque, come testimoniano le
memorie di Casanova: “Convengo che era
difficile il gioco dell’ostrica. Ma mi sono impegnato a insegnar loro come fare
per conservare l’ostrica con l’acqua nella bocca, innalzando in fondo ad essa
una barriera con la lingua per impedirle di scivolare nell’esofago. Tenuto a
dare l’esempio, ho loro insegnato a introdurre come me l’ostrica e l’acqua
nella bocca dell’altro, introducendo al tempo stesso in tutta la sua lunghezza
la lingua … ridendo, poi, convenivano con me che nulla poteva essere più
innocente.”
Il
“gioco dell’ostrica” ha talmente
successo che degenera, spesso e volentieri, con scivolamenti apparentemente
sbadati dei molluschi nei décolleté delle dame e persino più in basso, laggiù
dove il velato mistero rende ancor più eccitante la caccia e gaudente la
cattura.
Licenziando
le sospirate estasi dei libertini del Settecento, mi rammarico pensando che
oggi non siano più diffusi certi innocenti giochi d’amorosi sensi. Del resto,
mi pare inevitabile rassegnarsi e adeguarsi ai tempi che cambiano: pochi
privilegiati possono permettersi ormai il consumo frequente e cospicuo di
ostriche d’eccellente qualità. Tutt’al più nove o dodici, se proprio si vuole
strafare accentuando l’enfasi di una cena intima in compagnia del proprio amore.
Per non parlare poi dello champagne, oro liquido sempre più prezioso e
ricercato.
Tuttavia,
alla fine mi domando se in realtà non sia forse un altro l’afrodisiaco assente
nei giochi erotici degli amanti di oggi, a tavola così come a letto. Ovvero la
fantasia. O forse, pensandoci ancor meglio, quel che spesso manca è un
autentico Casanova: un seduttore intrigante, elegante, intelligente e
divertente, naturalmente fedele, innamorato ed esclusivo per ogni dama
all’altezza delle sue prodezze, naturalmente ricambiate con reciproco piacere.
Con o senza ostriche, un afrodisiaco così non
avrebbe certo concorrenti!