Mi domando se siano i paesaggi a colorare le nostre emozioni
o viceversa.
Se un cielo gravido di grigio possa essere artefice di un
inspiegabile malessere interiore, oppure se sia un’inconsapevole negatività
emotiva a rendere quel medesimo cielo minaccioso ai nostri occhi.
E che dire di un languido lago rassegnato all’abbraccio
dell’inverno? Ai più, un paesaggio lacustre che galleggia nella stagione più
arida di colori suggerisce indolenza, tristezza, melanconia. Persino
depressione. A pochi altri, invece, il lago d’inverno rassicura e accompagna
con la sua muta quiete una palpabile serenità interiore.
Allora penso che forse questo dialogo silente tra i nostri
stati d’animo e gli scenari in cui ci immergiamo altro non sia che un gioco di
specchi. Noi vediamo fuori ciò che siamo dentro.
L’importante è non abituare lo sguardo, non lasciarlo
addormentare davanti alle sfumature dei paesaggi apparentemente immobili,
perché anche quelle più impercettibili sono messaggere di vitali vibrazioni.
E’ lo sguardo capace di stupirsi, di emozionarsi e di
innamorarsi ogni volta, anche davanti allo stesso panorama, quello che sa
cogliere la poesia della Natura, sempre e comunque. Che sia un cielo gravido di
grigio, o un lago sprofondato nell’inverno.
E lo stupore, si sa, è quel colore che rende tutto migliore.
Dentro e fuori.