“Credo di essere stato
trasportato dai venti fino a questa terra di fango; di certo sono nato altrove,
ho sempre avuto ricordi o intuizioni di coste olezzanti e di mari blu …”
Così scriveva Flaubert in una lettera a un
amico, lagnandosi della nazione in cui era malauguratamente nato – la Francia –
non riconoscendola in cuor suo come la sua vera patria. Lui, per qualche oscura
ragione perdutamente innamorato dell’esotico e in particolare dell’Egitto, fin
da adolescente non si era mai sentito francese e pertanto, alimentando corpo e
anima di frequenti viaggi all’estero, aveva partorito un’idea nient’affatto
peregrina. Propose, cioè, un nuovo criterio di attribuzione della nazionalità:
non in base al paese di nascita o di appartenenza dei genitori, bensì in
funzione dei luoghi verso cui una persona si sente naturalmente attratta, o
predisposta. Immaginò una specie di affinità elettiva, insomma, non tra due
individui ma tra un essere umano e un paese, una città o un’isola.
“Sono nato per essere
imperatore della Cocincina – proseguiva Flaubert sulle ali della propria libertà
immaginativa - per fumare pipe lunghe
trenta metri, per avere seimila mogli e millequattrocento efebi, scimitarre con
cui mozzare teste che non mi piacciono, montare cavalli della Numidia, nuotare
in marmoree piscine …”
Ebbene, con simile libertà immaginativa ma senza pretendere
di armarmi di scimitarra con cui mozzare teste che non mi piacciono (e ce ne
sono!) anch’io come Flaubert sin da bambina non mi sono mai sentita appartenere
al luogo in cui son nata e cresciuta, come se anche per me nazionalità e
cittadinanza fossero state una beffa del destino. Straniera nella mia città: quali venti capricciosi mi
hanno sparpagliato qui, in una terra bigia e nebbiosa che non riconosco, che
non mi è affine, che mi rimbalza? Non saprei dire. Ma so bene quali sono i
luoghi in cui mi sento davvero a casa, i luoghi che mi fanno sentire davvero me
stessa. Mi basta chiudere gli occhi per ritrovarmi là, lontano dal grigio e dal
cemento, come in un bel quadro, circondata da pennellate di verde e ricami
d’azzurro, incorniciata da profili di vento, di acqua e di soffice sabbia.
Così, un po’ come il romanziere francese (o egiziano, o
cinese, o indiano, a suo piacimento …), anch’io ripenso all’idea di “patria”
non come a una porzione di terra separata dalle altre da una linea rossa o una blu,
ma come a quel paese che amo, che mi somiglia, quello in cui semplicemente sto bene.
In fondo, anche Socrate, quando gli chiedevano da dove
venisse, non rispondeva “da Atene”:
rispondeva “dal mondo”! Chissà, forse anche
lui si sentiva ingiustamente sparpagliato da venti capricciosi e segretamente
sognava coste olezzanti e mari blu.