Secondo i Greci, il vino è opera
di un dio, Dioniso, che attraverso la fermentazione penetra nell’uva e attraverso essa in noi
esseri mortali, sublimandoci col piacere dell’ebbrezza.
Tuttavia, osservando il paesaggio
siciliano dove il profumo dei vitigni s’accorda con quello di uliveti, agrumeti
e ogni immaginabile ‘ben di Dio’, pare non esserci dubbio: il vino è opera
dell’uomo, anzi della donna e dell’uomo. In particolare, la regione attorno a
Menfi nell’agrigentino è un susseguirsi di morbide vigne che hanno stretto
un’amorevole alleanza con il mare africano lambito da spiagge dorate. E’ una
fetta di Sicilia ancora poco frequentata dal grande turismo e questo suo
naturale pudore ne accresce il fascino. E’ qui, tra orti, giardini, bagli e
templi senza tempo che la vite trova le condizioni ideali per crescere,
benedetta dalla qualità del terreno, dal calore del sole e dalla brezza del
mare. Viene spontaneo inoltrarsi lentamente tra queste colline, sottovoce per
non violare il ritmo dei vignaioli che quasi soccombono all’abbraccio del
verde, mentre i trattori colmi d’uva brulicano obbedienti in fila per le vie. E
al cospetto di queste ritualiche cadenze, s’intuisce il pensiero dei Greci:
perché la vigna curata dalla mano dell’uomo diventa un fatto spirituale e non
solo vegetale.
Dalle vigne alle case dei
vignaioli, per finire seduti in riverente silenzio di fronte ai calici che solenni
ci interrogano durante le degustazioni tecniche di fine sera. Il filo
conduttore è sempre lui: il Vino. E la sua degustazione, a mio profano parere,
ha poco di tecnico ma molto di artistico. Al cospetto di un Syrah Petit Verdot
o di un Alicante Bouschet, non mi riesco a fermarmi alle note di fiori di pesco
e frutto della passione del primo, o agli effluvi di frutti di bosco e ciliegia
del secondo. Mi avventuro, piuttosto, tra i pensieri e le emozioni che ogni
breve sorso stimola in me. Somiglia più a un sogno ad occhi aperti, un vino, o
a una poesia, a un quadro, a una musica? Guarda più all’interno, verso le nostre
impressioni e memorie, come la madeline di Proust, oppure guarda all’esterno,
verso il mondo e le reazioni nei confronti di esso?
Mentre i sommelier professionisti
eseguono i gesti ritualici assecondando le pittoriche narrazioni dell’enologa,
io disobbedisco rincorrendo per qualche istante i miei pensieri. E mi torna in
mente un libro di Roger Scruton dal titolo “Bevo dunque sono”. D’accordo con
l’audace filosofo innamorato di Chablis, penso che il vino sia un canale di
comunicazione tra un ‘dio’ e l’uomo, tra spirito e ragione. Attraverso il vino,
l’essenza distillata dal suolo sembra riversarsi nelle vene risvegliando il
corpo alla vita e, una volta ridestato il corpo, il vino invade dolcemente
l’anima. Ecco che sospinti da un sorso profumato, i pensieri galoppano, i
sentimenti volano e le parole si liberano. Anche in silenzio. Perché è la voce
interiore che parla. E’ come se il vino ricordasse all’anima le sue origini
corporali e al corpo il suo significato spirituale. E dunque ben venga quella
piacevolezza che rende molle la logica, quell’ebbrezza che non nuoce ma che
ispira. Perché l’ebbrezza somiglia all’erotismo, mentre l’ubriachezza è
pornografia, non confondiamo!
E allora, non somiglia forse alla
poesia, il Vino, e all’arte la degustazione? Così, quel Syrah dalle note di
fiori di pesco mi rimanda alle colline verdeggianti che si tuffano nel mar d’Africa, e
quell’Alicante dal flavor di sottobosco mi riporta i sorrisi generosi dei vignaioli incontrati nei bagli
di Menfi. O, forse, in verità è Dioniso che attraverso l’uva è entrato in me e
mi sta sublimando con i suoi pensieri divinamente terreni…
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