A volte è utile sguinzagliare la
mente. Scodinzolare tra pensieri apparentemente illogici per scoprire la loro
nascosta razionalità.
In questo libero
scorazzare della mente, possono essere di grande ispirazione gli animali, tutti
gli animali, dagli insetti ai pachidermi. Certo, avere la fortuna di vivere
accanto a un animale domestico, un gatto, un cane, ma anche un coniglio o un
cavallo, dà la possibilità di osservarlo per imparare a leggerne il linguaggio.
Chissà mai che gli animali, attraverso i loro movimenti, non vogliano
costantemente trasmetterci dei messaggi che vanno oltre l’assenza di uno
scambio linguistico! Vinta la naturale presunzione di una millantata
superiorità della specie umana sulle altre, avremmo l’opportunità di allargare
finalmente i nostri orizzonti: facendoci più piccoli, paradossalmente
diventeremmo più grandi.
La convinzione che gli animali, e
persino le piante, siano in grado di comunicare con noi nonostante le nostre
“ignoranze” nei loro confronti sta prendendo sempre più autorevolezza nel mondo
scientifico. Eppure, questo pensiero vien da lontano, molti filosofi in passato
hanno intuito l’esistenza di grammatiche naturali che noi esseri umani non
siamo in grado di interpretare. Un esempio del nostro retaggio culturale più
recente ci è offerto da Wittgenstein, il quale nel 1951 a Cambridge, ormai
malato terminale di cancro alla gola, si mise a leggere un libro importante.
Questo libro era “Il puledro nero”
scritto nel 1877 dall’invalida Anna Sewell per istruire la gente sulle
sofferenze patite dai cavalli. Potremmo dire che il libro di Anna fu il
precursore di “La macchina degli abbracci” di Temple Granding, con il merito di
basarsi essenzialmente sulla sensibilità e sull'intuito, senza
alcuna base scientifica.
Wittgenstein era sempre stato interessato
alla visione delle creature animali nei confronti del mondo. Nel suo “Ricerche
Filosofiche” compaiono una papera-coniglio, un’oca, una mucca, un leone e un
cane ipocrita. Quando alloggiava in un remoto cottage sulla costa occidentale
dell’Irlanda, amava addomesticare pettirossi e fringuelli, affinché mangiassero
dalle sue stesse mani. Si pensa addirittura che il filosofo soffrisse della
sindrome di Asperger, dato il suo ossessivo bisogno di ordine e prevedibilità,
preferendo la bucolica compagnia degli animali alla complessità dei normali
affari umani.
Da qui, forse, il suo interesse
per “Il Puledro Nero”. L’innovazione stilistica di Anna Sewell era molto audace
all’epoca ma quanto mai attuale oggi. L’autrice introdusse la narrazione dal
punto di vista dell’animale, che parlava in prima ‘persona’, annunciata dal
sottotitolo in copertina: “Tradotto
dall’equino”. Così, in questo libro che ha sedotto anche Wittgenstein, si
legge della vita lavorativa del cavallo Beauty e dei rapporti con i padroni
umani, a volte gentili ma più spesso crudeli. E alla fine del libro, il cavallo
viene portato al pascolo, finché nell’ultima pagina trova finalmente il suo anelato
equilibrio:
“Willie mi parla sempre quando può, e mi tratta come un amico speciale.
Le mie signore hanno promesso che non sarò mai venduto, dunque non ho nulla da
temere, e qui la mia storia finisce. Le mie traversie sono terminate e sono a
casa; e spesso prima di svegliarmi del tutto, fantastico ancora di essere nel
frutteto di Birtwick, sotto i meli con i miei vecchi amici …”
Beauty, tutto sommato, è stato un
cavallo fortunato, molto più di altri oggi. Pensiamoci ogni tanto, pensiamo
agli animali dal loro punto di vista, non dal nostro. Pensiamoci e
ascoltiamoli! Perchè ogni tanto fa bene sguinzagliare la mente…scodinzolare tra
pensieri apparentemente illogici per scoprire la loro nascosta razionalità.
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