MADRE, REGINA, GUERRIERA E SEDUTTRICE
Nel teatro della vita, i diversi modi dell’Essere Donna
Da sempre l’arte sublima
le molte sfumature del femminino, declinate in diverse tipologie caratteriali,
a seconda dei momenti storici da cui sono generate e, al di sotto di questi
modelli epocali, dà volto agli archetipi psicologici dell’Essere Donna.
Ne abbiamo scelti
quattro – l’idea di Madre, Regina, Guerriera e Seduttrice – come emblemi delle
anime femminili, per proporre un percorso tra arte e psicologia, che vuole
essere un omaggio alla Donna ma anche a coloro che, ogni giorno, si prendono
cura della salute femminile. Chiamati a misurarsi con le delicate alchimie di
ogni individuo, essi trovano nella sensibilità dell’ascolto lo strumento forse
più potente di osservazione, indagine e comprensione della persona.
Le quattro figure di
Donna sono qui raccontate attraverso opere di assoluta diversità stilistica,
poste a confronto tra loro, in un gioco di richiami che rende evidenti le
costanti psicologiche di ogni archetipo e fa riflettere su come ogni donna
persegua il proprio equilibrio interpretando una costante molteplicità di
ruoli, nella personale ricerca di una sintesi esistenziale tra funzioni
sociali, aspirazioni e pulsioni, che prende il nome di Felicità.
DONNA MADRE
Raffaello, Madonna della seggiola, olio su tavola, 1513 - 1514, Italia, Firenze
(Firenze), Palazzo Pitti - Galleria Palatina
(Firenze), Palazzo Pitti - Galleria Palatina
La maternità rappresenta un'esperienza
primaria che getta le basi di ogni futura evoluzione psichica, in quanto ognuno
di noi nella vita – donna e uomo - fa i conti con l’archetipo materno, in primo
luogo come figlia e figlio. E’ un archetipo che include non solo l’essenza
della vita e della continuità della propria esistenza nel tempo attraverso la
prole ma anche un insieme di trasformazioni spesso conflittuali, in questo caso
esclusive della Donna. Trasformazioni fisiche, per via degli inevitabili
mutamenti del corpo, e psichiche, per via di un’evoluzione personale
ineluttabile.
La Madonna è la Madre per eccellenza e
supera ogni significato religioso perché appartiene alla nostra cultura, prima
ancora che alla fede. Le Madonne di Raffaello, in particolare, sembrano
scolpire proprio quest’archetipo materno nel cuore della sua fonte vitale. Esse
paiono trascendere la dimensione perturbante del divenire madre e rassicurare
chi le osserva, poiché attraverso i loro sguardi dal candore disarmante è
evidente che il bene vince sempre sul male, così come la vita vince sempre
sulla morte.
In particolare, la Madonna della seggiola
evoca l’afflato protettivo che ogni Donna sprigiona quando il suo essere
femminino si realizza in essere materno. Non è la forma del corpo di Donna che
conta. E’ la forma circolare a vincere, geometria perfetta che si ripercuote
nel movimento rotatorio di tutte le figure: dai volti paffuti ai piedini plastici
del Bambino, dalle ginocchia della Madonna all’inclinazione delle teste, la
composizione calibra mirabilmente estetica e simbolismo. Non si tratta
semplicemente di tratti stilistici e pittorici, bensì di trasposizioni tecniche
che rimandano a costanti psicologiche ben precise. La linea verticale della
spalliera, infatti, indica rigore e rettitudine bilanciando la morbidezza delle
figure e nascondendo gli artifici della tecnica dietro la semplicità della
tenerezza. Ecco che la forma circolare traduce l’archetipo uterino per
eccellenza: l’abbraccio materno, accogliente, nutritivo e protettivo.
L’alta qualità pittorica con la sua mirabile
cromia colloca l’opera intorno al 1514. Tuttavia, questo è solo un colto e
superfluo dettaglio perché essa, in realtà, trascende ogni epoca: questo volto
dalle fattezze soffici potrebbe essere quello della madre di ognuno di noi, o
della madre che è in noi. Gli occhi della Madonna, ovvero della Madre, scrutano
nel profondo chi la osserva e i piedini rosei del Bambino chiedono carezze,
come quelli di qualunque neonato. Semplicità e grazia, profondità e leggerezza:
ecco cosa provò probabilmente Henry James quando vedendo l’opera esclamò di
sentirsi: “Happy beyond the common dream”,
ovvero “felice al di là del sogno comune”.
E ogni Donna sa che nessuno più di una Madre può incarnare la felicità di un
sogno che da mistero si fa continuamente realtà.
Picasso, Maternità, olio su tela, 1971, Museo Picasso, Parigi
Il divenire madre non è solo gioia ed esaltazione della vita. E’ anche
sacrificio e dolore. Questo pare ricordarci Picasso con le sue Maternità
pittoriche. E’ interessante soffermarsi un istante sulla visione della Donna da
parte dell’artista per intuire alcuni aspetti più nascosti del significato di
maternità. I suoi ritratti di madri potrebbero essere definiti “schizofrenici”,
poiché sembrano intimamente connessi con l’inquietudine e con l’inafferrabile,
e non solo con l’amore e la femminilità. Da qui, forse, una certa sensazione di
estraneità della funzione materna trasmessa dalle sue opere. In questo senso,
la visione pittorica diventa psicologica e consente di completare
quell’archetipo di maternità essenzialmente concavo, ovvero accogliente e
recettivo, con l’altro aspetto più conflittuale e disarmonico. Forse, parte
della frustrazione della Donna Madre raccontata da Picasso deriva
dall’incapacità dell’uomo di afferrare del tutto quest’esclusiva condizione
esistenziale. Condizione che ruba temporaneamente la Donna al compagno per
donarla totalmente alla nuova vita che porta in grembo.
In questa Maternità emerge, infatti, tutta la molteplicità di emozioni del
fascinoso viaggio da semplice essere Donna a essere Madre. Subentra una
scissione inevitabile di un nucleo interno che, attraverso la nascita del
figlio, ritrova finalmente coerenza e interezza dando definitivamente senso al
dolore della lacerazione. Impossibile, dunque, ignorare le inquietudini e le
ansie che la natura di Madre porta con sé: il corpo cambia e la Donna non è
padrona della propria trasformazione perché vive un rapporto fusionale
ineluttabile. E le pennellate spigolose di Picasso sembrano proprio
sottolineare l’acuta e inevitabile complessità psicologica del divenir madre.
Perché essere mamma significa anche mettere in secondo piano una parte di sé in
virtù di qualche cosa di più grande e di incomprensibile all’universo maschile.
Secondo la psicologia junghiana, in una stessa donna convivono più dee, più
anime femminili, e la loro reciproca conoscenza fornisce la chiave per la
comprensione di sé e dei rapporti che stabilisce con gli altri. Gli occhi della
Donna raffigurata in questo quadro sembrano richiamare proprio questo concetto:
la Donna che osserva se stessa Madre.
La sofferenza che fa inevitabilmente parte dell’Essere Madre è tuttavia
sopportabile e superabile. Ecco, allora, che tra le tante spigolature della
maternità di Picasso, bastano un ginocchio tondeggiante, un braccio avvolgente
e una mano sicura a sostenere il piccolo nella sua aurora alla vita, per
ristabilire quel rassicurante sospiro che ogni madre, di ogni tempo, emana.
Anche in questa opera, nonostante la disinvolta anafettività del cubismo,
s’intravede un cerchio: quell’archetipo di vita, che oggi come sempre cuce il
sotteso dialogo tra la Donna e la Madre, e tra la Madre e il suo eterno
bambino.
DONNA REGINA
Teodolinda dai Mosaici, Basilica San Vitale, Ravenna
Secondo la grammatica
psicoanalitica più diffusa, la Regina nei sogni è l'archetipo del femminile
evoluto e consapevole di sé, con cui si manifesta l'amante, la sposa, la grande
madre e la sacerdotessa. Le sue qualità psicologiche sono il potere e
l'autorità che possono esprimersi nella vita attraverso vari ruoli. Infatti, se è vero che
all’interno della singola Donna convivono più donne, è importante raggiungere
una sorta di cooperazione fra tutte le figure interiori. Tutti gli aspetti
della personalità devono interagire armoniosamente al fine di trovare un
equilibrio che possa placare le parti attive talvolta in conflitto. Quando la
Donna, attraverso la consapevolezza del proprio Io, diviene conscia della
compresenza di differenti declinazioni femminili, può sentirsi davvero Regina
nel suo regno e considerare le proprie voci interne come una sorta di “assemblea” o di fedele corte a suo
sostegno.
Insieme a quello
di Madre, l’archetipo di Regina è anche il più antico e sopravvive non solo nei
sogni ma anche nei miti e nelle fiabe. E anche se oggi al mondo le signore
coronate sono rare, c’è l’arte a rendere eterni i simboli di un potere
squisitamente femminile che nei secoli ha subito molte trasformazioni. Al di là
del ruolo sociale, è la tempra psicologica a rendere la Donna autorevole e
potente. Teodolinda per esempio, due volte moglie, madre e infine Regina, evoca
tutt’oggi una figura che rivoluzionò
il ruolo della Donna e con il suo carisma assunse tra i Longobardi una
dominanza politica e religiosa indiscussa. E’ sorprendente la sua somiglianza
con la Donna d’oggi, capace di gestire se stessa nella sfera pubblica e in
quella privata, sfidando e spesso soffocando i conflitti interiori. I Mosaici
che la raffigurano, pertanto, non sono
semplicemente un capolavoro cromatico dove ogni minuscolo tassello riluce di
regalità. Sono anche l’emblema di una personalità estremamente sfaccettata,
incorruttibile persino dalle tentazioni dei ricchi ornamenti che indossa. Lo
sfarzo delle perle e la tracotanza dell’oro completano il suo fascino ma non lo
sostituiscono: il potere della regalità non si riduce alle vesti ma traluce dal
viso e dai dettagli somatici. Regale è il naso di Teodolinda, affilato, deciso,
degno di un uomo di quei tempi. Rispetto alle labbra sottili spicca come un
simbolo maschile al centro di un armonioso fluttuare femminile. L’arte
bizantina, e non solo, sembra confortare i più accreditati studi di morfopsicologia.
Conducendo i tratti somatici alla personalità si deduce, infatti, che il volto
sia diviso in tre piani sagittali: istintivo, affettivo e cerebrale. Il naso
fornisce informazioni sulla vita sentimentale e in particolare il naso aquilino,
più frequente fra gli uomini, esprime un’esigenza d’indipendenza e di
padronanza delle passioni e dei sentimenti. Nelle donne, pertanto, è indice di
mascolinità che diventa simbolo di potere e autorità, come nel caso dell’imperatrice
Teodora o di Cleopatra.
Solo gli
ornamenti floreali ricamati sull’abito pomposo evocano una femminilità che, per
coerenza al ruolo regale, contornano appena l’aura di potere di una sovrana
altera ma innanzitutto Donna, fiera del suo ruolo. I tasselli del mosaico
sembrano evocare proprio quella convivenza di più voci femminili all’interno di
ogni Donna, un coro psicologico straordinariamente armonico che anche l’arte ha
saputo cogliere.
George Gower, Queen Elisabeth, I, 1588, Abbazia di Woburn
Nella nostra società, il
volto moderno dell’archetipo femminile di Regina può essere incarnato dalla
cosiddetta donna in carriera, almeno nella cultura occidentale. Oggi sempre più donne, infatti, occupano
posizioni di potere - metaforicamente il trono delle tradizionali corti - che per
anni sono rimaste un’esclusiva dei maschi: dirigenti, imprenditrici, politici,
ministri, presidenti, primari. Regine senza corona, insomma, che si sono
realizzate personalmente e socialmente facendo emergere la parte più tenace di
sé. Le donne al potere funzionano egregiamente, sono intelligenti e
appassionate e raggiungono straordinari risultati negli affari, sostenute
probabilmente da un estro creativo squisitamente femminile. Succede, tuttavia,
che molte di queste moderne Regine,
accanto al successo professionale, accusino anche un inspiegabile senso
di infelicità, di vuoto e una
profonda solitudine nella vita
affettiva. Talvolta subentrano problemi e conflitti con i mariti e con i figli,
squilibri che conducono a fasi di incertezza, di depressione o d’isolamento
dalle relazioni sociali. Immensa dev’essere la padronanza di sé da parte della
Donna per gestire al meglio questa giostra di ruoli che la impegna nella vita.
Le donne al potere che presentano questo
tipo di conflitti, si dice in termini psicologici, che siano
possedute dall’Animus, cioè fagocitate
dalla parte più maschile di sé. Una dimensione che tutte le donne potenzialmente
posseggono ma che, se mal gestita, rischia di soffocare la componente più femminile,
cioè l’Anima. E’ frequente, infatti, che la Donna di potere riesca a reprimere
elegantemente la propria carica emozionale in virtù del ruolo che copre, a
rischio tuttavia di incorrere in frustrazioni e in quel vuoto sentimentale che
nessun essere umano può a lungo sopportare. Ancora una volta, emerge la
necessità per la Donna di saper armonizzare tutte le voci femminili che parlano
al suo interno, per far sì che la Regina regni senza vittime sacrificali.
La regina Elisabetta è un magnifico esempio delle numerose Donne Regine
della storia. L’Armada Portait era stata commissionata per commemorare la
vittoria dell’Inghilterra sull’Invincibile Armada spagnola. Un evento
memorabile e simbolicamente significativo poiché fu reso possibile anche dalla
determinazione della sovrana Elisabetta I, appunto. Donna che nel suo glaciale,
eppur perturbante, incedere suscitava istintivamente timore, devozione e
rispetto. E’ sorprendente come a distanza di secoli emergano alcuni tratti
comuni tra la solenne regalità di un’imperatrice longobarda e una sovrana
d’Inghilterra, come se entrambe affondassero le radici caratteriali nello
stesso humus psicologico, riconducibile anche alla Donna d’oggi. Ancora una
volta, qui spicca lo sfarzo di vesti sontuose e di gioielli luminosi, simboli
di conquiste sociali precluse alla maggior parte delle donne. Eppure, ecco che
anche in questo ritratto vince l’espressione imperturbabile, regale appunto: lo
sguardo impassibile, le labbra appena accennate e quel naso sottile e affilato
che senza indugio sfida gli uomini, i nemici e la sorte.
DONNA GUERRIERA
Dante Gabriele Rossetti, Giovanna d'arco, 1863, Museo del castello, Strasburgo
Quando la forza di
volontà della Donna si accende di passionalità, ecco che può diventare
battagliera e armarsi di una spinta interiore ancora più sorprendente. Chissà se la Donna Guerriera
contemporanea assomiglia più ad Antiope, audace regina delle Amazzoni; al
Soldato Jane della pellicola americana; oppure conduca le sue battaglie nella
concentrazione di un laboratorio, con lo spirito indomito di Rita Levi
Montalcini per esempio; o con la tempra delle migliaia di donne impegnate per
la difesa dei propri diritti elementari, come accade in molte culture lontane
dalla nostra.
Probabilmente, la Donna Guerriera di oggi è tutto questo insieme, declinato
a seconda degli spaccati geografici, culturali e sociali. E di certo, sia che
si tratti di passione politica o di amore per la scienza, di promozione di una
nuova cultura o di attività sociali poco cambia: quando la spinta motivazionale
è forte, l’abnegazione femminile è totale per difendere i propri ideali,
soprattutto quando è in gioco il bene comune. Forse, in questo donarsi
totalmente in virtù di un’ideale giusto, si cela lo stesso afflato che nutre la
Donna Madre verso il figlio. E se gli ideali cambiano con l’epoca e la cultura,
quella spinta motivazionale non si spegne, come fosse una sorta di energia
tellurica pronta a sgorgare dalla bocca di un vulcano in sopita attesa.
L’archetipo femminile di
Guerriera è ben rappresentato dall’intramontabile carisma e dall’energia fisica
della Pulzella d’Orléans, eroina della Guerra dei Cent’anni e simbolo di una
bellicosità mistica. In virtù dell’aura magica che l’accompagnava sin da
giovanissima, fu detta, infatti, “la divina” probabilmente come
contraltare laico alla sua santità e in omaggio alla sua femminilità oltre che
alla sua vocazione di guerriera. Essa è e rimarrà imperituro esempio di come la
Donna possa diventare al contempo un mito, una santa e una dea nell’immaginario
dell’umanità non solo contemporanea ma millenaria. Vista in trasparenza, oltre le vesti della sua epoca,
Giovanna d’Arco è una guerriera profondamente sensuale, castigata e contemporaneamente
esaltata dalla sua uniforme da battaglia decorata di bianchi gigli, una
guerriera che imbraccia la spada della liberazione come fosse un privilegiato oggetto
d’amore. Quell’accostare l’arma al viso suggerisce un’identificazione tra la
Donna e il suo ruolo: la lotta per la difesa delle proprie credenze e delle
proprie ambizioni, fatte di giustizia e lealtà. Non è un semplice impugnare la
spada questo: scatta quasi un bacio tra le labbra carnose appena protese e la
lama affilata, e in quest’espressione s’indovina tutta la potenza di una
personalità femminile declinata al piglio tradizionalmente maschile.
Ecco perciò che in Giovanna d'Arco i tratti mascolini, sottolineati dal
mento prominente e dalla mascella volitiva, contrastano con la dolcezza e la femminilità
dello sguardo, con le labbra turgide e i lunghi capelli ondulati. Così come la
tunica dai toni caldi e pastosi stride con la freddezza dell'armatura, rendendo
ancora più passionale e irresistibile la guerriera, attuale come non mai. Sotto
queste vesti, emerge la Donna combattiva che si batte in ogni Donna, oggi come
sempre.
Franz von Stuck, Pallas Athene, olio su tela, 1898, Museum Georg Schäfer, Schweinfurt
Combattere per difendere
un ideale o per conquistare un diritto non implica affatto l’uso della
prepotenza e della sopraffazione. E la Donna lo sa, perché altre sono le armi
in suo possesso con cui affrontare le battaglie in cui crede: la dialettica e,
in generale, l’intelligenza.
La fanciulla Atena
rappresenta mitologicamente le declinazioni più nobili dell’animo battagliero
femminile, quelle intellettuali appunto. Nelle sue mani, la guerra diventa
strumento di giustizia e non di abuso, di lungimiranza e non di prevaricazione,
di astuzia e non di violenza. E’ la natura stessa di Donna a fornire alla
Pallade Atena gli strumenti con cui intraprendere le proprie virtuose
battaglie: razionalità, sensibilità e saggezza. Per questo motivo la dea
incarna un carattere psicologico in cui anche la Donna d’oggi si rispecchia,
sotto lo slancio di nuove ambizioni e intraprendenze ma mossa dalla stessa
archetipica emotività intellettuale, o intelligenza emotiva. L’intelligenza emotiva fa parte della natura
complessa della Donna, anche se non è una prerogativa esclusivamente femminile.
Può essere definita come la capacità di far dialogare testa e cuore, ossia
combinare pensiero ed emozioni per prendere decisioni ottimali. Per molti
secoli, il pensiero occidentale ha cercato di tenere distinta la parte
razionale da quella emozionale. Inutilmente, perché psicologi e neuroscienziati
hanno dimostrato come senza emozioni non possiamo letteralmente valutare, non
siamo in grado di prendere decisioni. E l’intelligenza emotiva sembra essere
l’arma per eccellenza della Donna Guerriera, poiché in questa
tipologia di Donna, più che in ogni altra, l’emotività diventa cerebrale e
sembra essere la somma ultima tra il meglio della femminilità e il meglio della
mascolinità. Osservando il ritratto della dea, la prima s’indovina dai tratti
affusolati del viso e dall’incarnato tenero, la seconda dalla postura eretta e
dai simboli di fierezza che la dea ostenta. Ma quel che trafigge con garbo chi
osserva il suo volto è soprattutto l’espressione ironica degli occhi e
dell’enigmatico sorriso, molto somigliante a quello della Monna Lisa in quegli
angoli delle labbra vagamente voltati all’insù. Questi tratti somatici sono
specchio di una personalità sagace e intelligente.
Si sa che l’ironia è la
più alta forma di intelligenza, sia nelle relazioni sociali, sia
nell’affrontare i conflitti interiori verso se stessi. Ancora una volta
psicologia e neuroscienze van d’accordo nel considerare l’ironia come una sorta
di raffinata strategia per far fronte ai cataclismi psicologici quotidiani:
sapersi guardare allo specchio con il giusto distacco e sorridere ogni tanto di
sé aiuta sempre. E’ un’arma di difesa e di attacco che la giovane Atena, con il
suo allusivo sorriso, sembra sfoderare e consigliare a tutte le donne, di ogni
tempo e di ogni cultura, quale strategia psicologica per sopravvivere, e
possibilmente, vincere ogni guerra. Atena insegna esattamente questo: non serve
la violenza per comunicare la propria forza, basta uno sguardo intelligente,
come quello di una Donna che sappia sfruttare la propria femminilità con
l’ingegno dell’intelletto.
DONNA SEDUTTRICE
Tiziano, Venere di Urbino, olio su tela, 1538, Italia, Firenze (Firenze), Galleria degli Uffizi
La seduzione, insieme
alla maternità, è tra queste declinazioni di psiche femminile quella più
misteriosa per l’uomo. Forse anche perché è la più ancestrale e trasversalmente
presente in ognuna delle altre declinazioni: la Donna crescendo può
eventualmente diventare Madre, Regina o Guerriera ma inevitabilmente, sin
dall’inizio della sua vita, impara a sedurre. La bambina seduce per compiacere
e per ricevere affetto dai genitori e questo imprinting appreso dalla madre si
sviluppa in diverse modalità nell’età adulta, perché la seduzione
biologicamente assolve alla funzione di scelta in amore e, dunque, assolve alla
procreazione.
Il linguaggio del corpo
che la Donna usa per sedurre è, dunque, inutilizzabile dal suo complementare
maschile, in parte resta persino incomprensibile e per questo fascinosamente
potente. La Donna normalmente privilegia il tempo, mentre l'uomo propende per
l'azione. La Donna palpita nell'attesa, l'uomo agisce direttamente. E questo fa
sì che donne e uomini manifestino gestualità e trucchi diversi per comunicare
la propria carica seduttiva. Il silenzio, la sospensione e il sottile piacere
collegato al desiderio sembrano essere il filo conduttore di un comportamento femminile
che spesso viene vissuto come sommerso, interiore, fonte di gratificazioni
intense e decisamente personali, in cui l’attesa è già di per sé piacere. Nella
donna la ciclicità, legata anche a fattori squisitamente biologici, sembra
condurre e ricondurre le cose all'interno di un meccanismo immutabile e
identico a sè. Laddove, invece, nell'uomo è la finalità lineare del ritmo a
giocare una parte preponderante nel gioco seduttivo e forse è proprio
quest’alternanza di tempi e di spazi, di vuoti e di pieni, a creare il dialogo
tra i due.
Anche in questo
caso, l’arte aiuta a condensare in uno sguardo concetti più complessi.
Guardando la Venere di Tiziano, per esempio, pare di immergersi in un istante
sospeso nel tempo. Non ci si sente soggiogati da una dea ma si è conquistati da
una nobildonna nuda, sdraiata su un letto probabilmente appena svegliata, in
attesa che le sue serve le portino i vestiti. Ma anche in attesa di
qualcos’altro: di una reazione alla sua seduzione da parte di chi la ammira. La
donna è un tutt’uno con la posa lasciva e tuttavia determinata, sfidante: con
una mano si copre il pube, con l’altra regge un mazzetto di fiori che lascia
languidamente cadere sul materasso, come fosse un invito a chi la osserva a
osare di più, a fare un passo avanti. La sensualità della scena è accresciuta
dal letto disfatto, dal tepore palpabile del corpo e dal suo sguardo provocante
che penetra l’osservatore. Ecco: lo sguardo, l’inclinazione del capo e
l’atteggiata morbidezza della postura sono la trasposizione di una grammatica che
solo la Donna sa utilizzare per esprimere la propria sensualità. Una grammatica
lenta e ponderata, che appartiene a un linguaggio ancestrale, poiché da sempre
la Donna si serve della bellezza per conquistare e per confermare a se stessa
la propria femminilità. Una femminilità che l’assenza di veli, come in questa Venere,
rende pericolosamente vincente, addirittura mortale, se non fosse per quella
mano che, pudicamente, impone il rispetto dell’attesa.
De Lempicka Tamara, La chemise rose - La camicia rosa, olio su pannello, 1933, USA, Florida, Courtesy Beatrice Levy
Una mano tra i capelli
volutamente scomposti, le gambe accavallate in maniera disinvolta, un battito
di ciglia allusivamente ammiccante. Sono solo alcuni dei gesti con cui la
Donna, più o meno consapevolmente, lancia continui messaggi di seduzione che da
puro istinto diventa arte. Il ruolo di amorevole madre o di autorevole guida
non zittisce la voce erotica presente nella natura femminile che, a seconda
delle epoche e delle culture, emerge in affascinanti sfumature comportamentali.
Dalla seduzione alla trasgressione spesso il passo è breve e l’erotismo che
scaturisce dalla personalità femminile dipende, naturalmente, dalla risposta
della controparte, dell’altro-da-sé. Difficile, quindi, distinguere in questa
tipologia l’Essere Donna dall’Essere Uomo, perché è come se dall’incontro delle
due metà scaturisse una terza forma di Essere, mediata dal linguaggio dei due
protagonisti.
Un esempio di seduttrice
fortemente trasgressiva è certamente Tamara De Lempicka. Non semplicemente
un’artista ma un esempio di anticonformismo esistenziale all’insegna della più
raffinata sensualità. Donna dall’audace personalità, sosteneva di non seguire
la moda – sia nella vita sia nell’arte - ma di “farla”, cioè di distinguersi
dalla “normalità” creando un’alternativa alla normalità. Con l’eleganza di un
fuoriclasse, la pittrice sembra interpretare perfettamente il desiderio e
insieme la necessità che ogni Donna ha di sedurre gli altri a conferma della
propria femminilità.
Femminista ante litteram,
disinibita e amante della bella vita, assurge come emblema in questa categoria
psicologica poiché visse senza regole, tra lussuria, lusso e fama. Visse la
vita che avrebbe voluto vivere, in bilico tra l’effimero, come l’amore per la
moda, e l’arte, cui donò impegno e dedizione. Il suo spirito libero è
palpabile e sempre presente nelle sue opere, che, proprio per questo trasparire
dei sentimenti, sembrano pure e incontaminate, come solo le istantanee delle
emozioni riescono ad essere. Tuttavia, nella forma di seduzione da lei raccontata
emerge un tratto in più: trapela una forte consapevolezza dell’emancipazione
sessuale della Donna che, da rappresentazione su tela diviene incarnazione di
molte donne d’oggi. E’ vero che con quello sguardo rivolto lontano, con il
volto reclinato e con il reggiseno scivolato quanto basta per suscitare
eccitazione, la ragazza mira a sedurre. Ma è anche vero che l’osservatore
sembra superfluo, poiché ella si sente già vincente, affascinante e completa in
quel suo rivelarsi appena. E’ una Donna perdutamente libera dal senso del
peccato e non sente quindi il bisogno di mascherare la propria sessualità, anzi
le piace esibirla se pur elegantemente, inseguendo il gusto del proibito.
Sembra sognare ad occhi aperti, forse un nuovo amore o forse solo l’illusione
di un amore, scivolata in un mondo abitato fondamentalmente solo da se stessa,
consapevole del potere non solo seduttivo ma anche distruttivo che una Donna
con le sue infinite voci interiori può esercitare.
(Pubblicazione per ALFAWASSWERMANN,
Studio Moruzzi, Giugno 2013)
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