Lode ai piaceri bacchici
“Nella speranza di non
sentire più dire: ‘mi dia un’ombra di vino’ ma sperando che la gente si possa
fare una discreta cultura enologica e di poter finalmente sentir chiedere sì,
un’ombra, ma di QUEL Vino, di QUELLA zona e di QUELLA annata!”
Così esordisce un elegante libretto, invitante al primo
sguardo, scritto da Gianni Zardo,
veneziano di lungo corso e - come ogni buon veneziano equipaggiato di cultura,
sensibilità e passione - fedele amante dell’universo enologico. Una passione
tramandata dal padre e racchiusa con lirica saggezza in queste pagine a lui
dedicate, titolate I Canti del Vino:
un omaggio alla famiglia, alla tradizione ma anche un dono a chiunque volesse
abbeverarsi di gocce di cultura assai rare in circolazione e spesso dimenticate
dentro bottiglie dalle etichette patinate.
Un libretto istruttivo ma anche evocativo di emozioni e di amorosi
sensi. Per Zardo, infatti, il vino non è un oggetto ma una persona e come tale
ne parla. E’ una creatura viva, necessita cure, affetto e attenzioni, è amico
con gli amici e nemico coi nemici. Insomma, il vino è come l’essere umano:
nasce, vagisce, vive, cresce, freme, matura, canta, patisce il caldo e soffre
il freddo, può ammalarsi e morire. Proprio come noi.
Allo stesso modo, anche la bottiglia, ogni singola bottiglia
di vino, rappresenta un universo a sé, una creatura con una propria storia, nascita,
maturità e morte. Una bottiglia di vino chiusa, a temperatura di cantina o di
frigorifero, che pazientemente attende d’essere violata dall’impudenza del
cavatappi e in seguito lentamente scoperta dall’olfatto, prima, e dal palato,
poi, di chi la farà per sempre sua … scoperta dai sensi eccitati di quel primo
amante che la possiederà … non è forse come un verginale frutto che offre
intatte le proprie virtù a chi ancora non ne conosce il bello? Quale bouquet,
quali sentori, quali sfumature e quali emozioni si celeranno dentro quel corpo
di vetro affusolato ancora imbavagliato?
Io sposo il pensiero di Zardo, amabile cantore del Vino,
autore di una ‘mattata’, come la chiama lui. Degustatori, assaggiatori e
critici dell’enogastronomia a parte, il rapporto tra un sorso di vino e se
stessi è innanzitutto una questione di assoluta intimità, un fatto personale
non comunicabile, come il corteggiamento tra due amanti guidati dagli istinti: è
un primo bacio che può finire con un improvviso mal di testa e un addio per
sempre, oppure con una sospirata promessa di matrimonio, tacitamente scambiata tra
la tovaglia e il lenzuolo.
Cin cin!
Cin cin, P!
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