IL DOPPIO SGUARDO DI
SOPHIA
L’eterno femminino e
il diavolo, nella vita e nella letteratura
Di Carla Stroppa
Ci sono libri che si leggono e libri che si ascoltano. Perché
è la voce stessa di chi scrive a raccontare, contagiando il lettore
inevitabilmente sedotto da un “io narrante” che sa toccare i meandri più
profondi dell’anima.
Il doppio sguardo di
Sophia. L’eterno femminino e il diavolo, nella vita e nella letteratura
(Moretti & Vitali, 2016) di Carla Stroppa - psicoanalista junghiana innamorata di intrighi intellettuali capaci
di placare la sua sete di meraviglioso – prende per mano il lettore e lo
trasporta nel caleidoscopico universo femminile, attraverso un percorso interiore
fatto di riflessioni esistenziali, casi clinici e racconti letterari che, pescando
nell’ermeneutica junghiana più pura, approdano all’immaginario letterario di
Apuleio, Cazotte, Lagazzi, Calvino. Niente accademismi ma una coinvolgente immersione
alla scoperta di quell’eterno femminino ben
rappresentato da Goethe nel suo Faust, che trascende tempo e spazio. Un femminino che si evolve metaforicamente
in quattro archetipi di donna, dalla più primitiva alla più sofisticata: Eva,
Elena, Maria e Sophia. Ognuna di esse va oltre le proprie radici storiche
(pagana, cristiana e gnostica) e incarna simbolicamente uno stadio, una
rappresentazione della conoscenza dell’anima attraverso snodi ontologici che
tessono un continuum teso verso il livello più evoluto. Quello sapienziale,
quello di Sophia, che con il suo doppio sguardo riesce a comprendere tutto,
luce e ombra, destra e sinistra, maschile e femminile, perché agguanta la
visione dell’intero, coronando finalmente il processo individuativo.
Tutti, donne e uomini, sono mossi da questa tensione
esistenziale: esprimersi, espandersi, crescere in un costante rapportarsi agli
altri, all’altro da sé, a partire dal
contatto primario con la madre, che può essere tanto fortificante quanto
rovinoso. Dipende. Ma da lì, da quell’imprinting emozionale che marchia a fuoco
l’anima, la spinta verso la propria individuazione (diventare ciò che si è) è
inevitabile, naturale e tuttavia complessa, laboriosa e molto spesso dolorosa.
Aristofane l’ha ben rappresentato: gli uomini primitivi
erano rotondi in origine, una rotondità che li rendeva felici. Eppure, gonfi di
smisurata superbia, diedero l’assalto al cielo e Zeus li punì tagliandoli in
due. Da quella lacerazione, lo straziante rimpianto all’unità originaria. Ecco
l’anelito universale a diventare la più alta incarnazione dello spirito
femminile: Sophia, la Sophia gnostica, la Sophia-Iside (regina di ogni eros e
sapienza femminile). Cercare di ricomporre in una sintesi superiore l’unità
spezzata è l’indispensabile missione di ognuno perché senza questa riconciliazione
si può sopravvivere, certo, ma non vivere.
La clinica psicoanalitica e il linguaggio dei sogni, di cui
Carla Stroppa è sensibile interprete, insegnano che senza qualcuno capace di
ascoltare con responsabilità appassionata
chi è alla disperata ricerca di sé, spesso ci si perde, si finisce
definitivamente alla deriva, trascinati da un mortifico disallineamento tra Io
e Anima.
Il rischio è quello di fermarsi a quello stadio che Jung ha
definito “persona”, ovvero la
maschera sociale che ognuno indossa per compiacere le attese esterne
disconoscendo la voce del proprio mondo interiore imbavagliato, calpestato, mortificato.
Quest’adattamento al ruolo sociale implica una pericolosa perdita di identità:
tra l’Io rappresentato e l’Io sentito si scava un vertiginoso baratro dentro il
quale si rischia di precipitare perdendo definitivamente il senso della propria
esistenza, perdendo sempre più di vista il traguardo: Sophia.
Tuttavia in ogni frattura si nasconde un humus fecondo da
cui può cominciare il percorso esistenziale verso una “seconda nascita”: un
risveglio della coscienza capace di contenere i sintomi trasformandoli
creativamente in valori.
L’esperienza umana e clinica di Carla Stroppa, alimentata
dall’amore per la letteratura e la poesia, la porta a puntare il dito contro il
Faust goethiano incarnato nei miti del mondo occidentale moderno fortemente
patriarcale: il desiderio di possedere, di apparire, di identificarsi in un
illusorio Io eroico maschile, da
parte di donne impossessate dal bisogno di diventare forti, potenti, dominanti
come loro. Gli uomini. Ma questa affannosa rincorsa ad un’idealizzata parità risponde
solo a un miraggio, a una menzogna ed è proprio così, inseguendo il beffardo
mito del successo a tutti i costi che si svende il senso di sé, barattando l’individuazione
con l’individualismo.
Le donne, simultaneamente padrone e schiave della propria ambivalente
natura, introverse e intuitive, salvifiche e demoniache, spirituali ed erotiche,
sono vittime privilegiate di questa subdola seduzione che può condurre alla
dissolvenza. Eppure smascherare la sceneggiata è possibile. Lo insegna la mitologia,
lo insegna la letteratura, lo insegna la clinica.
Lo insegna questo libro dalla voce suadente che, invitando
chi legge a sdoppiare lo sguardo, lo aiuta
a guardare oltre, fino a vedere la
propria anima.
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