Dal letto alla tavola!
Nonostante mi senta profondamente filo junghiana, devo
ammettere che leggere Freud mi procura immancabilmente un piacere superiore
rispetto alle immersioni nei tormentati saggi di Jung.
Guizzi d’ironia, scioltezza di
stile e pennellate erotiche ogni dove rendono i suoi scritti stuzzicanti e
divertenti, oltre che istruttivi e riflessivi. Non ne parlo come di un maestro
di pseudoscienza, ora, ma semplicemente come scrittore, perché Freud è
indiscutibilmente uno che sa scrivere!
Esiste un suo libro, tra i tanti, che particolarmente
m’intriga e paradossalmente resta tra i più sconosciuti, forse perché tratta di
un tema apparentemente frivolo, non tanto da … lettino, bensì da tavola!
S’intitola “La cucina
del Dottor Freud” scritto con pungente fantasia alla fine della lunga
carriera del padre della psicoanalisi e pubblicato grazie all’interessamento di
James Hillman. Freud definisce questo libro come un complemento alla sua
autobiografia, “un saggio sulla
reminiscenza, un po’ come le ultime opere di Jung: esso costituisce il mio
personale Ricordi, creme, confetture …” (sagace la frecciatina al suo
pupillo, che aveva scritto “Ricordi, sogni, riflessioni”).
Tuttavia, trovo che in queste pagine, oltre a gustose ricette
appuntate a mano durante le sedute, coloriti aneddoti personali e digressioni
intime legate a colleghi e pazienti, s’incontrino anche piccole, saporite
verità psicologiche, pure anticipazioni scientifiche legate al piacere dei
sensi a tavola. Infatti: “Questo libro è
anche un contributo al principio del piacere nella vita quotidiana. Alla mia
età, chi vuole ancora sentir parlare di seccature? Di problemi ne ho avuti fin
troppi. Pensare invece a un buon piatto, al menù di domani, alla possibilità di
appagare ancora un desiderio, questa è la fonte e la soddisfazione di una lunga
vita ben vissuta.”
In queste pagine, infatti, si sente tutta la soddisfazione
di un uomo giunto in vecchiezza che - avendo rinunciato, per naturale decorso
dell’energia virile, alle gioie del sesso – non ha tuttavia rinunciato alla
ricerca del piacere, riscoprendolo, appunto, nel cibo. Freud gode mangiando e
gode cucinando! Così, alla fine dei suoi anni, rivaluta ed eleva al re dei
piaceri l’erotismo orale che da fase psicosessuale primaria finisce con
l’essere anche l’ultima nell’esistenza di una persona … come l’ultima cena,
insomma! “Poiché la base dell’istinto
sessuale è orale, esso adora mangiare. Il bambino viene prima dell’uomo, la
lingua prima del pene, la bocca prima della vulva, filogeneticamente e ontogeneticamente.
… All’inizio era la bocca. L’anatomia è destino.”
Trovo assolutamente veritiero questo spostamento del piacere
da un oggetto (sesso) all’altro (cibo), pur restando radicato all’oralità. La
vedo come una sublimazione socialmente accettata d’istinti altrimenti non
esprimibili né condivisibili da animali umani adulti. Ormai anche le neuroscienze confermano il
fenomeno – che da psicologico diventa neurologico - sostituendo alle
spiegazioni goliardiche di Freud le tanto inequivocabili quanto fredde
scansioni cerebrali. In pratica, sciogliere lentamente in bocca un cioccolatino
fondente stimolerebbe, più o meno, le stesse aree cerebrali attivate da ben
altri scioglimenti … E in alcune situazioni, anziché compensarsi, le due
dimensioni potrebbero sovrapporsi in una compromettente orgia di sinapsi.
Meglio non pensarci per non ceder a facili scusanti, specialmente quando
si assapora una libidinosa mise en bouche durante una degustazione
professionale o una cena di lavoro, perché dalla tovaglia alle lenzuola il
passo rischia d’essere assai breve.
Tutta colpa del principio del piacere, come
insegna il grande Chef Sigmund Freud …
Repetita juvant, Paola... Mise en bouche ne manque jamais de frapper la solitude!
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