Questa mattina, camminando per la mia grigia città, mi son
resa conto di qualcosa che probabilmente farà ridere i più. E cioè che quando
torno da un viaggio esotico, dove sole e mare dominano i sensi, quel che più mi
manca è la nudità, e quel che più mi tormenta sono … le scarpe!
Sì, dopo aver beatamente camminato a piedi nudi praticamente
sempre, per giorni e giorni, su morbide spiagge borotalcose e sabbiosi fondali marini, ecco
che quel fardello pesante ai piedi non solo disturba il mio corpo ma infastidisce
anche la mente. La presenza delle scarpe ai piedi sobilla i miei pensieri che
si ribellano alla costrizione della civile accettazione della quotidianità e
vorrebbero, invece, continuare a galoppare animalescamente nella naturale
spontaneità della natura.
Tatto e contatto, dalla testa ai piedi, questo mi
manca!
Così, quell’intromissione di gomma, cuoio, tessuto e
stringhe tra la terra e me diventa metaforicamente anche un ostacolo tra il mio
modo d’essere e il mondo circostante che non mi corrisponde (o io non
corrispondo ad esso).
Del resto si sa che esiste un collegamento stretto tra le
sensazioni ricevute dai piedi e le percezioni cerebrali, la reflessologia
plantare insegna. Quindi, è naturale che la mancata nuda aderenza delle
appendici inferiori con il suolo privi il corpo, e di conseguenza la mente, di
sensazioni ‘psicotattili’ penetranti, spesso piacevoli, a volte anche dolorose,
ma comunque fitte, intense e complementari di tutte le altre sensazioni che il
corpo riceve e trasmette.
Per ovviare a questa mutilazione sensoriale proveniente dal basso, arrivata a casa
cerco di stare il più possibile senza scarpe e senza calze, tastando con
consapevole gusto il pavimento, o l’erba del giardino, come un’ipovedente
capovolta, usando i piedi come le mani, per ‘vedere’ ‘sentire’ ‘assorbire’
sensazioni altrimenti impercettibili.
E lasciare così che la mia mente torni,
attraverso i piedi, a quelle morbide spiagge borotalcose, a quei sabbiosi fondali marini,
che tanto mi mancano … in questa mia grigia città!
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