E d’improvviso tutto si veste di bianco.
Mi domando perché la neve, comune fenomeno atmosferico
stagionale, desti in noi un senso di magica fascinazione. L’impatto visivo con
quel mistico candore che ammanta i contorni terrestri rivelandone un’altra
bellezza risveglia d’istinto un sentimento di ipnotica attrazione, del tutto
slegato al pensiero razionale. E’ come se la neve, con le sue segrete
geometrie, possedesse un senso tutto suo che dialoga direttamente con i nostri
recettori emotivi.
Lo chiamerei il senso del bello per la neve.
I bambini lo capiscono al volo.
Loro non hanno bisogno di parole per sentire.
E la comparsa
della neve è sempre una eccitazione dei sensi, una giostra di entusiasmi.
Eppure, anche crescendo, anche disfacendoci dolorosamente di quella morbida
placenta fatta di ingenuità e di elementare sentire, anche noi adulti
avvertiamo puntualmente l’emozione per la neve.
Forse, non è solo una risposta estetica, allora. Forse,
sotto quell’immensa mano bianca che ci emotivizza riportandoci all’infanzia, germinano
radici ancestrali che si abbeverano di questa magia destinata a liquefarsi nel tempo.
E se fossero tutti e cinque i nostri sensi a concertare il
senso del bello per la neve?
Il bianco, dopo tutto, è la fusione di tutti i colori. Lì
dentro si riversa tutto l’arcobaleno.
Un bianco che piace perché solletica la vista, quindi, evocando
un candore verginale, una purezza, un’innocenza propria dei bambini, degli
angeli e degli animali, io direi, un bianco che sa di bontà.
Un bianco che piace perché stuzzica il tatto, con quella
soffice lama tagliente che brucia le dita e che tuttavia invita a giocarci con
un irresistibile fame di stringerla e darle forma, forse per offrirle
inconsciamente un vita concreta.
Un bianco che vien voglia di mangiare, anzi di bere, come fosse
latte, il primo nutriente affettivo, dono di un’osmosi materna scolpita non
solo in ognuno di noi ma nella memoria dell’umanità.
Un bianco che si fa ascoltare, con quel suo religioso silenzio che tutto assorbe, tutto racchiude e tutto domina, risucchiandoci
in un altro universo, quello di una fiaba, quello di noi stessi, riportandoci
al primo rigurgito di vita.
E un bianco che incuriosisce anche l’olfatto, sì, perché
anche se i limiti umani non ci consentono di cogliere gli umori che la terra emana
sotto la neve, questi fremono: basterebbe guardare i nostri cani seguire
eccitati le tracce visibili solo al proprio naso e imparare che anche la neve
odora di vita. Forse, in questo caso, noi adulti dovremmo osare un passo ancora
più umile, ancora più coraggioso, e avventurarci ben più indietro nel tempo.
Forse
dovremmo tornare non solo bambini ma animali.
Allora sì che scopriremmo finalmente il senso del bello per
la neve.
...scopriremmo finalmente il senso del bello per la neve... e d'affettuoso calore per la vita!
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