Nella vita,
poche sono le cose che accendono i sensi con la delicatezza delle fini
sollecitazioni. E in un’epoca in cui il piacere è sempre più fagocitato dalla
frenesia e dall’eccesso, si rischia di dimenticare del tutto il gusto lento della
morigeratezza. A tavola e non solo.
Parlando di
appetiti gastronomici, tra le squisitezze in grado di sedurre il palato con un
semplice tocco di sensualità, primeggia l’Aceto Balsamico. Quello Tradizionale
di Modena e quello di Reggio Emilia rappresentano uno dei vanti del buon gusto
italiano, la cui fama ha varcato i confini di tutti i continenti, anche se
purtroppo attraverso molte imitazioni che con l’autentica specialità emiliana
non hanno nulla a che vedere. Se l’anima di questo condimento si concentra in
poche gocce dispensate con amore e fantasia, la sua vita si stempera invece nei
meandri di una storia secolare. Autentico elisir di benessere, l’Aceto
Balsamico è sbocciato, infatti, nell’alveo di una lunga tradizione che l’ha
definitivamente incoronato uno dei ‘re
della tavola italiana’.
Un po’ di storia
Probabilmente,
il suo primo antenato era la ‘sapa’, nota già a Virgilio, il quale nelle
Georgiche ne narrava le virtù dolcificanti. Era un embrione di mosto cotto in
recipienti di legno, da cui si ricavava un liquido dai connotati aromatici
vagamente simili a quello che sarebbe stato il vero Aceto Naturale, detto poi
Balsamico. L’aggettivo che accompagna il nome dell’essenza suggerisce una
mescolanza di usanze antiche e magiche, più legate all’ombra misteriosa
dell’alchimia che alla luce della scienza culinaria. Il concetto di ‘balsamico’
si ricollega, infatti, a una dimensione precedente all’analisi chimica delle
attuali categorie organolettiche, alludendo alle virtù terapeutiche e curative
attribuite sin dall’antichità a questo distillato di benessere. Anche se la
prima menzione ufficiale di ‘balsamico’ risale al Registro estense delle
Vendemmie e vendite dei vini del 1747, già nel Medioevo l’Aceto Balsamico
faceva parlare di sé. La prima testimonianza scritta risale all’anno 1046,
quando l’imperatore di Germania Enrico III, in viaggio verso Roma, fece sosta a
Piacenza dove restò letteralmente estasiato all’assaggio di uno speciale aceto
che “aveva udito farsi colà
perfettissimo”. Gli fu offerto da Bonifacio, marchese di Toscana nonché
padre di Matilde di Canossa, nelle sale di quel castello destinato a
testimoniare l’incontro del perdono,
avvenuto qualche anno dopo tra papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV.
Proprio all’interno di quelle mura veniva prodotto l’Aceto Balsamico, offerto
con giustificato orgoglio dalle teste coronate, i segreti della cui produzione
restarono a lungo custoditi dalle consorterie estensi. Dal XII secolo fino al
Rinascimento, il prodotto prese a rallegrare sempre più spesso le tavole delle
famiglie ricche e socialmente potenti e le stesse acetaie divennero presto un
simbolo di tale potere. Fu Alfonso I duca di Ferrara, nel 1476, che estendeva i
suoi domini sulle attuali province di Ferrara, Modena e Reggio Emilia, a corroborare
la fama di questo elisir capace di conquistare chiunque lo assaggiasse. Il
grande poeta reggiano, ma di famiglia di antico ceppo bolognese, Ludovico
Ariosto se ne innamorò a tal punto da immortalarlo in una delle sue famose
Satire. Tuttavia, il prezioso aceto non appagava esclusivamente il palato dei
commensali e la fantasia dei poeti, perché le sue decantate virtù terapeutiche
lo indicavano come un vero e proprio medicinale. Era un rimedio comunemente
usato contro lo scorbuto e si narra che Francesco IV duca di Modena lo usasse
per curare l’ulcera, mentre Lucrezia Borgia per lenire i dolori del parto. In
seguito, durante la grande peste del Seicento, fu sfruttato anche per le sue
qualità aromatiche: versandone alcune gocce sulle braci dei camini accesi nelle
case serviva da purificatore dell’aria infetta e maleodorante. Non mancano
aneddoti più goliardici che lo immortalano anche come afrodisiaco, unendo gli
appetiti della tavola a quelli del letto. Pare, infatti, che i più voluttuosi
libertini del Settecento, tra cui Gian Giacomo Casanova, ne fossero fedeli
consumatori. Durante tutto l’Ottocento, le testimonianze scritte sul suo
impiego si colorarono di dettagli sempre più vivi, legati indissolubilmente
alle abitudini sociali del territorio d’origine. Si sa, per esempio, che le
famiglie nobili modenesi e reggiane dell’epoca usavano impreziosire la dote
delle future spose con le “acetaie”, una batteria in genere di 3, 5 o 7
botticelle di legni differenti contenenti aceto balsamico particolarmente pregiato.
E’ grazie a
questa preziosa eredità culturale tramandata nei secoli che si approda ai
giorni nostri, conservando intatte le virtù di un’eccellenza gastronomica
italiana sempre più apprezzata anche all’estero.
La Produzione oggi
Per chiarezza,
è bene precisare che alla famiglia reale dei Balsamici, appartengono l’Aceto
Balsamico Tradizionale sia di Modena (ABTM) sia di Reggio Emilia (ABTRE),
un’accoppiata vincente in cui ognuno possiede un temperamento unico, una
propria anima inconfondibile e inimitabile. Il metodo di produzione è quello
tramandato nei secoli, ‘tradizionale’ appunto: l’anima della lavorazione è il
mosto cotto, ottenuto dal Trebbiano e da altre uve rigorosamente locali, quali
Lambrusco, Ancellotta, Sauvignon, Sgavetta, Berzemino e Occhio di Gatta, tutte
uve che assicurano al mosto almeno 15 gradi saccarometrici. Dopo di che, la
prodigiosa metamorfosi da mosto a elisir avviene durante una lenta
fermentazione custodita in vaselli, o botticelle, di legni pregiati che
riposano nell’acetaia per almeno dodici anni. Il tipo di legno che ospita il
mosto durante la maturazione determina sfumature olfattive e gustative molto
variegate, accentuate anche dal travaso da una botticella all’altra, dalla più
grande alla più piccola. Vaselli in quercia, rovere, ginepro, ciliegio,
robinia, frassino, gelso o castagno influiscono sul carattere finale del
prodotto, che sarà di conseguenza più o meno vivo, franco, vellutato,
sciropposo, amalgamato e comunque sempre prezioso. Non viene aggiunto altro
all’interno dei vaselli minuziosamente numerati, eccezion fatta per l’eventuale
innesto delle colonie batteriche, la cosiddetta ‘madre’. L’alchemica
trasformazione avviene nella quieta penombra e nel silenzio odoroso
dell’acetaia, dove il mosto viene armoniosamente cullato e lasciato respirare
fino alla sua completa maturazione. Il prelievo di aceto al termine
dell’invecchiamento deve avvenire con la stessa parsimonia e premura con cui è
stato curato l’intero processo, per evitare di snervare il prodotto che resterà
ancora a riposare.
Si capisce
come questo sia un matrimonio filosofico tra pazienza e sapienza, tra lentezza
e morigeratezza, il cui frutto viene consacrato alla scrupolosa attenzione di
esperti analisti sensoriali prima di essere definitivamente promosso al
pubblico. L’affinamento del bouquet deve raggiungere un preciso punto
d’equilibrio olfattivo e gustativo, in cui l’intensità sposi adeguatamente la
delicatezza per proporsi ai sensi con misurato garbo. Un condimento di tale
levatura deve, infatti, carezzare senza aggredire le pietanze e corteggiare
senza violentare i palati. Anche il tipico colore ambrato dell’Aceto Balsamico
è messaggero delle sue proprietà intrinseche, in grado di anticipare,
attraverso le gradazioni cromatiche, le sensazioni olfattive e gustative. Per
l’Aceto Balsamico Tradizionale di Reggio Emilia tre sono le sfumature
tradizionalmente riconosciute: ‘aragosta’, che indica la tipologia più agra
dalla timbrica squisitamente tenue e delicata; ‘argento’, che si riferisce a un
carattere più corposo, avvolgente e tendenzialmente dolce; ‘oro’, che definisce
il tipo più raro e pregiato, ricco di una dolcezza penetrante, sciropposa e
persistente. E’ il caso dell’Aceto Balsamico Extravecchio, ottenuto dopo
venticinque anni di maturazione e di esaltazione della qualità, ideale
soprattutto a fine pasto per trasformare un qualunque dessert in un’opera
d’arte.
L’utilizzo in cucina
La versatilità
dell’Aceto Balsamico è straordinaria e non c’è piatto che non sposi felicemente
la sua voluttuosa alchimia. Generalmente, gli aceti più giovani si addicono
meglio agli ortaggi crudi, ai legumi, alle cipolle e alle patate; mentre gli
invecchiati preferiscono le carni cotte, i dessert e i gelati, basti pensare al
delizioso gelato Matilde in cui poche gocce di Balsamico trasformano la candida
crema in pregiato nettare. Una piccola raccomandazione per chi in cucina ama
improvvisare a discapito dell’esperienza: l’Aceto Balsamico Tradizionale
reclama l’utilizzo a crudo, poiché le cotture prolungate ne mortificano la
personalità, inoltre sui cibi cotti andrebbe versato solo al termine per non
violare la verginità del bouquet. In ogni abbinamento, comunque, un Balsamico
di rispetto dovrebbe sopraggiungere all’appuntamento con gli altri ingredienti
all’ultimo istante, proprio come la donna a un appuntamento galante. Solamente
sugli ortaggi crudi è consigliabile anticiparlo all’olio, extravergine
ovviamente, ma farlo rigorosamente seguire al sale. L’essenziale è che venga
sempre profuso con oculata moderazione: a gocce, a spruzzo, col cucchiaino,
evaporato, sfumato o amalgamato, ne bastano poche gocce per esaltare i sapori
di ogni alimento senza involgarirne la peculiarità. Per questo suo carattere
generoso e democratico, l’Aceto Balsamico è il trucco vincente nel cilindro
magico di ogni gourmet che voglia trasformare un anonimo piatto in un miracolo
da illusionista: dai risotti alle paste; dalle carni rosse o bianche ai pesci e
ai crostacei; dalla selvaggina ai tartufi; dalle verdure cotte o crude alla
frutta fresca; dalle salse piccanti alle composte e ai frullati; dalle torte ai
gelati. Il balsamico concilia amorevolmente i gusti concertando tutti i sensi.
Basterebbe, tuttavia, assaggiarne poche gocce lacrimate su fragranti petali di
parmigiano reggiano per innamorarsi perdutamente di lui. Infine, un consiglio
per veri intenditori è quello di gustarlo ‘nudo’, in purezza, sorseggiando ad
occhi chiusi un autentico Extravecchio da un sottile bicchierino di cristallo,
decantando lentamente effluvi, memorie e desideri. E’ un piacere raffinato,
questo, da meditazione solitaria o amorevolmente condivisa, sospeso tra la
profondità spirituale e la sollecitazione sensoriale. Abbandonandosi a quel
balsamico andirivieni di sfumature lucenti e sciroppose, sarà naturale
avvertire un piacevole fervore alle labbra solleticate dal calore della lingua.
Un tiepido fervore che solo un bacio lento e appassionato potrebbe prolungare
in un fiorito bouquet di nuove balsamiche fragranze.
Insomma, se un buon Balsamico è il condimento perfetto per ogni piatto,
l’amore è il condimento perfetto per ogni Balsamico, giovane o invecchiato che
sia. Perché cose così eccelse non hanno età.
(Pubblicato su ON e tradotto anche in cinese)
Nessun commento:
Posta un commento