Mi sveglio all’alba tormentata da un sogno.
Fuori, un vento prepotente agita il lago e il primo
pensiero, aprendo gli occhi nel semibuio, è che io somiglio al lago. Il mio
sogno è il suo vento.
Mi trovo completamente
nuda al principio di una spiaggia deserta. Davanti a me, su una lingua di
sabbia dorata dal sapore africano, una lunga fila di fenicotteri bianchi e rosa
procede in riverente processione, tagliando esattamente a metà lo scenario dal
profilo surreale. Sotto la processione rosa, il folto tappeto di granelli
dorati; al di sopra, l’evanescenza celeste del cielo mescolata al blu del mare.
Mi sento sopraffatta
da tanta bellezza, un inatteso privilegio, perché sono completamente sola e
voglio a tutti i costi fermare questo spettacolo, prolungarlo, toccarlo per
goderne ancora, sempre … Così vado incontro ai fenicotteri incuranti della mia
presenza e mi armo dell’unico strumento in grado di rendere in qualche modo
eterno quel miracolo della Natura: la mia macchina fotografica. Il contrasto è
totale, lo avverto in uno spiraglio di coscienza onirica. Loro, i fenicotteri, abbracciati dall’eleganza della naturalezza. Io, goffamente nuda, armata di
tecnologica vanità.
Cerco in tutti i modi
di accendere l’apparecchio, lo esploro con una difficoltà nuova, immane, non lo
riconosco … non trovo i pulsanti, non so come usarlo, non riesco a fare
funzionare ciò che mi è stupidamente familiare. E intanto i fenicotteri
sfilano, uniti da un segreto dialogo, lentamente si allontanano dalla portata
del mio sguardo, danzando all’unisono sulle zampe flessuose che li portano da
est a ovest, richiamati da chissà cosa o chi. Vorrei allungare la mano per
fermare lo spettacolo, come fosse una pellicola da riavvolgere a piacere,
eppure non posso. Resto così nuda e impotente con i piedi sprofondati nella
sabbia a leccare con gli occhi l’ultimo sprazzo di rosazzurro, l’ultima piuma
lambita dal mare che, piano piano, diventa il lago.
Il lago agitato dal
vento.
E mi sveglio.
Un improvviso senso di frustrazione mi assale. Combattuta
tra l’estasi estetica di un sogno ancora acceso e la sensazione di vuoto che mi
ha lasciato, mi chiedo che senso dare a quel messaggio onirico. E perché mi
sento così triste.
La risposta sorge spontanea come il primo vagito del mattino.
La bellezza, così come la giovinezza, la gioia, l’amore,
sono doni tanto immensi quanto evanescenti. Nulla può contro il tempo. Nulla
può scolpirli in una istantanea da gustare e rigustare a piacere, perché un
istante dopo il loro nascere, non ci sono più. Nessuno strumento umano ha il
potere di vincere la caducità, di ingabbiare l’evolvere della bellezza, intesa come tutto ciò che di
desiderabile l’esistenza ci offre. Non ci resta che ammirarla quando arriva,
accettando la nostra nudità con gratitudine e umiltà. Perché a volte l'unico modo per essere protagonisti è accettare di essere spettatori.
L’unico strumento, forse, a nostra disposizione per
assaporare appieno la bellezza della vita è la curiosità: l’apertura degli
occhi, della mente e del cuore di fronte a tutto ciò che ci rende privilegiati
protagonisti di un sogno, effimero sì ma ricamato apposta per noi.
Così mi alzo, guardo fuori... nessun fenicottero, né mare, né sabbia. Solo io e il mio lago agitato dal
vento. Il mio sogno di tutti i giorni.