Esistono
luoghi che offrono ai viaggiatori la possibilità di esplorare
non solo lo spazio ma anche il tempo. Sono luoghi magici, microcosmi metafisici, in cui la storia respira e il passato si rianima nel
presente, attraverso una misteriosa alchimia memoriale, che mescola fatti,
pensieri ed emozioni.
Il
luogo che, per eccellenza, invita a viaggiare attraverso i secoli, trascendendo la memoria dell’Umanità, è Roma. Città stregata che strega,
con i suoi quasi tremila anni di vita sfoggiati con orgoglio, come una bella
donna potrebbe esibire fiera il proprio corpo usato e abusato da migliaia di
amanti e spudorati stupratori ma sopravvissuto miracolosamente intatto, per
sempre verginale.
Vagabondando
per le strade di Roma provo ogni volta la sensazione di addentrarmi in un
immenso teatro: lo specchio di Merlino, le colonne di Salomone, la statua
parlante, i tesori di Ottaviano, i banchetti di Trimalcione, i Papi peccatori,
il Belli e Trilussa, Fellini e la Dolce vita … i sette vizi capitali! Ogni
scena mi cattura, mi prende per mano e mi accompagna inesorabilmente verso
l’atto successivo, attraverso un labirinto popolato di fantasmi e demoni, santi
e cavalieri, imperatori e pellegrini, martiri e meretrici.
Ecco
cosa diventa Roma in questo caleidoscopico teatro: la più grande
meretrice di tutti i tempi, la sfacciata corruttrice, la tenutaria di
lussuriosi bordelli, l’irresistibile seduttrice. Ogni passaggio attraverso le
sue strade somiglia a un’iniziazione, che accosta l’umano al divino e la
profanazione dei suoi segreti può condurre alla salvezza oppure alla
perdizione.
Perdermi. Io ho scelto di perdermi e
lasciarmi definitivamente corrompere dalla sua bellezza, dalla sua esuberanza,
dai suoi eccessi. Tutto è esagerato a Roma. Visitarla è, per me, come aggirarmi
in uno straordinario bordello composto di infinite stanze piene d’arte, di
preziosi, di antiche memorie, di angoli misteriosi e di continue sorprese. Un
luogo magico in cui amo perdermi e dove ogni mio piccolo desiderio viene
anticipato e assecondato. Eccomi in un vicolo in penombra, pieno di piccole
botteghe e, subito dopo, un’immensa piazza assolata; volto l’angolo a ridosso
di una basilica ed ecco che mi accoglie una splendida fontana con i suoi
mirabolanti giochi d’acqua spruzzati via dal vento. Torri e obelischi irrompono
nello spazio e si ergono come paladini della città: sembrano dita puntate verso
il cielo, quasi a volermi indicare quale sarà l’ultima, inevitabile tappa del
mio instancabile peregrinare.
Roma è generosa, si offre senza ritegno
e si dona senza risparmio. E’ meretrice ma non fa mercimonio di sé, perché non
vende la sua Anima. Roma non cerca clienti, non ne ha bisogno, perché sono loro
a gettarsi tra le sue braccia, ammaliati e famelici. E lei accoglie tutti,
indistintamente. Convinti di rubare piaceri proibiti, i viandanti s’illudono di
poter possedere la gran Dama quando invece è lei a possedere loro.
Me ne accorgo osservando, dall’alto
della scalinata di Trinità dei Monti, il fiume di gente brulicante che si
accalca in maniera impressionante in Piazza di Spagna, spaccandosi in due fitti
rami, per via Condotti e Via Frattina. Del resto anche nella città eterna il
presente conta: l’anno nuovo è appena iniziato e i saldi dei negozi, ancora
addobbati a festa, ipnotizzano la gente impazzita e bulimica. Mi sembra di
osservare due lunghi tentacoli di formiche serpeggianti, che si dipanano lente,
inesorabili, a caccia di chissà quale preda o, semplicemente, cieche, sospinte
solo dal flusso che preme alle spalle, distratte dalla vera bellezza che sta
altrove, nelle chiese, nei palazzi, tra gli affreschi e le sculture. Quei
minuscoli organismi penetrano nelle vene e scorrono nel sangue di un Essere
altrettanto vivo, palpitante, che prima li accarezza, poi li coccola e, infine,
li divora risucchiandoli come linfa vitale, rendendoli per sempre parte di sé.
Da quassù ho l’impressione che in mezzo
a tutta quella folla vorace mi mancherebbe l’aria e tiro un sospiro di sollievo,
gustando a fondo l’aria fresca che sa di primavera. Ho camminato
tutto il giorno, eppure ho la sensazione di aver volato e di aver goduto di un
panorama privilegiato, solo mio, in compagnia di una misteriosa guida alata che
mi confidava all’orecchio tutti i segreti e i vizi di Roma. Mi ha accompagnato
dal Gianicolo al Pincio, da Piazza del Popolo a Trastevere, conducendomi
leggera sopra a San Pietro, per poi farmi planare piano sul Pantheon e
riprendere un poco fiato tra le fontane di Piazza Navona, prima di sorvolare i
Fori, il Colosseo e ricondurmi infine con i piedi per terra.
Sono atterrata felice, inebriata.
Sorrido al tiepido sole, che gioca con le illuminazioni del grande albero di
Natale sovrastante la scalinata di Trinità dei Monti e ascolto i gorgheggi dei
gabbiani che, dal cielo, si prendono beffa di tutti noi, piccoli esseri alla
mercé della Natura, dell’Arte, della Bellezza, della Storia e di un’Eternità
che non ci apparterrà mai.
Capisco, all’improvviso, chi teme Roma.
Capisco chi la fugge, la evita, la critica e la insulta. Impossibile
resisterle, meglio quindi rifiutarla prima d’esserne catturati per sempre,
imprigionati dentro la sua meravigliosa rete. Non sapete cosa vi perdete – dico tra me e me - pensando a un
collega del Nord che quando capita a Roma per lavoro vi resta il minimo
indispensabile (guai passarci la notte!) per paura d’essere scottato,
contagiato dalla vitalità dei suoi abbracci e inghiottito dal calore della sua
gente.
Io sono invece un’anima perduta, ormai.
Riprendo il mio cammino senza alcuna voglia di salvarmi, beatamente
controcorrente. Il vento di ponente mi sospinge vivace su, verso Villa Borghese
dove, a spasso nel verde, riesco ancora a distinguere, tra tutti gli idiomi del
mondo e i dialetti d’Italia, il vero romanesco, gagliardo e fiero. Mi piace, lo
assaporo come potrei fare con un boccone goloso. All’uscita dal parco, le luci
dei lampioni fanno sembrare la sera ancor più buia ma la luna è già in agguato
a sfidare la notte. Scendo lungo il muro Torto, proseguo per Piazza Del Popolo,
Via Del Corso, Piazza Venezia e di nuovo in Via Dei Fori Imperiali dove, per
caso, intercetto un discorso divertente tra un bel gladiatore e una giovane
turista giapponese. Non posso fare a meno di fermarmi ad osservarli, mi sembra
di assistere alla scena di un film di Alberto Sordi! Lui: un Russel Crowe
armato di tutto punto, lucido e piumato, sguardo truce, voce rauca e
tenebrosa. Lei: una geisha in
miniatura, cerimoniosa e pallida, armata di zainetto e di una macchina
fotografica superaccessoriata, sproporzionatamente grande rispetto alla sua
esile figura. Alla sua timida richiesta di ritrarre il combattivo giovane,
pronunciata da una vocina in perfetto inglese, l’ardito gladiatore le propina
svelto la tariffa, naturalmente in perfetto romanesco:
“Sò
cinqu’euro a scatto.”
“Sorry,
I have only 50 …” replica lei visibilmente imbarazzata, facendosi ancor più
piccola di fronte all’imponente guerriero dalla voce tuonante.
“Nun
te preoccupà, che ciò er resto…. dà qua!” ribatte pronto lui, sfoderando
non la spada ma un bel mucchietto di soldi, tenuti “alla benzinara” come dicono
da queste parti. Quasi ipnotizzata, la piccola geisha consegna il biglietto da
cinquanta euro al gladiatore che lo infila tra gli altri, dandole 40 di resto.
“Daje,
co’ dieci euri te faccio fà tre scatti e puro co’ er Colosseo e te vicino e me!”. Così, senza accorgermene, mi ritrovo
coinvolta nella scenetta, chiamata a fare due scatti alla geisha stretta alla
vita dell’aitante gladiatore, in un divertente e fasullo salto nel tempo. Dietro di loro, sullo sfondo, il
Colosseo si mostra maestoso come eterno testimone delle grandi e piccole
vicende umane.
Anche questa è Roma! Che ve devo dì’ … Io qui sto bene! Mi
sento immersa nella bellezza e piena di gioia di vivere, tanto che non vorrei
più andar via. La ragione, forse, è che ho sempre pensato che non tutti i
templi portano in Paradiso, e che … non tutti i bordelli portano all’Inferno.
E quale città al mondo ha più templi e
bordelli di Roma?
Forse
uno dei guai dell’Italia è proprio questo, di avere per capitale una città
sproporzionata per nome e per storia, alla modestia di un Popolo che quando
grida “forza Roma” allude solo ad una squadra di calcio.
(Indro
Montanelli)