sabato 27 aprile 2013
Il Puledro Nero
A volte è utile sguinzagliare la
mente. Scodinzolare tra pensieri apparentemente illogici per scoprire la loro
nascosta razionalità.
In questo libero
scorazzare della mente, possono essere di grande ispirazione gli animali, tutti
gli animali, dagli insetti ai pachidermi. Certo, avere la fortuna di vivere
accanto a un animale domestico, un gatto, un cane, ma anche un coniglio o un
cavallo, dà la possibilità di osservarlo per imparare a leggerne il linguaggio.
Chissà mai che gli animali, attraverso i loro movimenti, non vogliano
costantemente trasmetterci dei messaggi che vanno oltre l’assenza di uno
scambio linguistico! Vinta la naturale presunzione di una millantata
superiorità della specie umana sulle altre, avremmo l’opportunità di allargare
finalmente i nostri orizzonti: facendoci più piccoli, paradossalmente
diventeremmo più grandi.
La convinzione che gli animali, e
persino le piante, siano in grado di comunicare con noi nonostante le nostre
“ignoranze” nei loro confronti sta prendendo sempre più autorevolezza nel mondo
scientifico. Eppure, questo pensiero vien da lontano, molti filosofi in passato
hanno intuito l’esistenza di grammatiche naturali che noi esseri umani non
siamo in grado di interpretare. Un esempio del nostro retaggio culturale più
recente ci è offerto da Wittgenstein, il quale nel 1951 a Cambridge, ormai
malato terminale di cancro alla gola, si mise a leggere un libro importante.
Questo libro era “Il puledro nero”
scritto nel 1877 dall’invalida Anna Sewell per istruire la gente sulle
sofferenze patite dai cavalli. Potremmo dire che il libro di Anna fu il
precursore di “La macchina degli abbracci” di Temple Granding, con il merito di
basarsi essenzialmente sulla sensibilità e sull'intuito, senza
alcuna base scientifica.
Wittgenstein era sempre stato interessato
alla visione delle creature animali nei confronti del mondo. Nel suo “Ricerche
Filosofiche” compaiono una papera-coniglio, un’oca, una mucca, un leone e un
cane ipocrita. Quando alloggiava in un remoto cottage sulla costa occidentale
dell’Irlanda, amava addomesticare pettirossi e fringuelli, affinché mangiassero
dalle sue stesse mani. Si pensa addirittura che il filosofo soffrisse della
sindrome di Asperger, dato il suo ossessivo bisogno di ordine e prevedibilità,
preferendo la bucolica compagnia degli animali alla complessità dei normali
affari umani.
Da qui, forse, il suo interesse
per “Il Puledro Nero”. L’innovazione stilistica di Anna Sewell era molto audace
all’epoca ma quanto mai attuale oggi. L’autrice introdusse la narrazione dal
punto di vista dell’animale, che parlava in prima ‘persona’, annunciata dal
sottotitolo in copertina: “Tradotto
dall’equino”. Così, in questo libro che ha sedotto anche Wittgenstein, si
legge della vita lavorativa del cavallo Beauty e dei rapporti con i padroni
umani, a volte gentili ma più spesso crudeli. E alla fine del libro, il cavallo
viene portato al pascolo, finché nell’ultima pagina trova finalmente il suo anelato
equilibrio:
“Willie mi parla sempre quando può, e mi tratta come un amico speciale.
Le mie signore hanno promesso che non sarò mai venduto, dunque non ho nulla da
temere, e qui la mia storia finisce. Le mie traversie sono terminate e sono a
casa; e spesso prima di svegliarmi del tutto, fantastico ancora di essere nel
frutteto di Birtwick, sotto i meli con i miei vecchi amici …”
Beauty, tutto sommato, è stato un
cavallo fortunato, molto più di altri oggi. Pensiamoci ogni tanto, pensiamo
agli animali dal loro punto di vista, non dal nostro. Pensiamoci e
ascoltiamoli! Perchè ogni tanto fa bene sguinzagliare la mente…scodinzolare tra
pensieri apparentemente illogici per scoprire la loro nascosta razionalità.
martedì 23 aprile 2013
Socialing
AL VIA IL PRIMO
EUROPEAN SOCIALING FORUM
Nasce il “Socialing”, un nuovo modello di sviluppo economico
e culturale proposto per dare una risposta concreta ecosostenibile ai
cambiamenti in atto nella nostra società.
Il 15 maggio, al Palazzo delle Stelline di Milano, saranno
chiamati alcuni tra i più autorevoli esponenti del mondo accademico,
imprenditoriale e istituzionale, per celebrare una giornata di riflessione e
confronto sul tema del “socialing”. Ideatore e coordinatore del progetto è
Andrea Farinet, Docente di Marketing Relazionale e Psicologia del Consumo
all’Università Cattaneo di Castellanza (LIUC). Forte di una squadra di appassionati
collaboratori esperti dei meccanismi economici, sociologici e culturali della
nostra società, il progetto s’affaccia all’Expo 2015 con l’intento di offrire a
organizzazioni e imprese nuovi approcci etici di produzione e distribuzione, a
partire dall’agricoltura ma non solo, per rivolgersi al cliente in maniera
sempre più attenta e sensibile. “I
tradizionali modelli capitalistici e le strategie di business devono essere
profondamente ripensate alla luce di una visione nuova capace di creare
consenso intorno a un modello di economia partecipativa”, spiega il
Professor Farinet. L’intento è mettere al centro delle priorità di mercato le
reali esigenze delle persone per ristabilire il primato della dimensione umana
e del benessere rispetto al puro valore economico e dell’avere. Risulta
imprescindibile in questo ambizioso e necessario cammino fare un umile atto:
spostare l’attenzione dai propri egotismi e tornare a nutrire profondo rispetto
per la nostra Terra, Terra intesa come Pianeta e come Terra Coltivata da
conoscere e tutelare.
Partendo da questi propositi, saranno varati tre strategici
progetti che renderanno ancora più concreto il panorama culturale di Expo 2015:
“Chilometro Verde”; “Dieci Filiere per salvare il mondo”; “Carta Universale dei Diritti Della Terra
Coltivata”.
Tra gli illustri ospiti del Forum del 15 maggio parteciperà
anche la nota ambientalista indiana Vandana Shiva, Presidente
dell’International Forum on Globalization.
Info: www.socialing.org
mercoledì 17 aprile 2013
I quattro viaggiatori
Quando si parte per un viaggio,
sono almeno quattro le parti di Sé che si spostano. E spesso, ognuna si muove con
un mezzo, con un ritmo e persino verso una meta diversa.
La prima è il corpo e il suo
mezzo di trasporto preferito è l’aereo, perché ha fretta d’arrivare laddove
deve e auspicabilmente vuole.
La seconda è la mente e il suo
mezzo ideale è il treno, perché l’incedere costante e cadenzato dinanzi allo
scorrere del paesaggio induce alla lenta riflessione.
La terza è il cuore e il suo
mezzo prediletto è la barca a vela, perché è agile e leggera, capace di sfidare i venti a costo di naufragare negli abissi, ineluttabilmente fluttuante proprio come i sentimenti.
Infine, la quarta è l’anima e il
suo mezzo di trasporto è indifferente, perché lei si muove serendipicamente in
uno spazio e in un tempo senza regole né confini. Forse, i viaggi più lunghi e
avventurosi che affronta sono quelli in cui Lei resta. Magari, alla perpetua ricerca
di Sé, nostalgicamente ancorata al caldo letto su cui, prima o poi, anche il
corpo, la mente e il cuore finalmente si ricongiungeranno.
mercoledì 10 aprile 2013
Simenon Simenon: SIMENON APPRENDISTA PSICHIATRA?
Simenon Simenon: SIMENON APPRENDISTA PSICHIATRA?: Ormai ne abbiamo parlato parecchie volte. L'interesse di Simenon per lo studio e gli studiosi della psiche umana, di quel subconscio ...
La cucina del Dottor Freud
Credevo di aver letto ormai tutto
di Sigmund Freud. E invece no!
Ecco che per caso, sfogliando un
libro recente di psicoanalisi, m’imbatto nella citazione di un titolo che manda
letteralmente in subbuglio le mie papille mentali: “La cucina del Dottor Freud”. Una vecchia edizione di Raffaello
Cortina, esattamente del 1985, che ancora riporta in quarta di copertina il
prezzo in Lire, fantastico! Lo devo avere … lo ordino … è mio!
E’ stato merito di James Hillman
il ritrovamento di questo golosissimo malloppo freudiano - titolo originario “Freud’s
own Cookbook” - completamente dedicato a ricette di cucina raccolte a tema
e piluccate qua e là durante i viaggi, gli inviti ma anche le sedute analitiche
del Dottore che, evidentemente, oltre ai sogni annotava i menù dei suoi
pazienti. Ricette raccontate con dovizia di dettagli e soprattutto introdotte e
chiosate da aneddoti divertenti, spesso pungenti o piccanti, nello stile impeccabile
dello “scrittore” Freud.
E’ inevitabile, infatti, in
queste pagine l’intreccio tra il piacere del sesso e il piacere del cibo – di cui
la bocca è la sublime sintesi - raccontato con un’ironia e un’autoironia
talmente raffinate da trasformare il vecchio e severo padre della Psicoanalisi
in un amabile e intrigante intrattenitore, con cui magari sperimentare in
intimità qualche seducente ricetta!
Del resto, questo era lo scopo di
Freud quando in tarda età scrisse questo manoscritto, il quale “ … vuole essere un contributo al principio
del piacere nella vita quotidiana. Sembra già quasi un secolo da quando la
psicopatologia venne esplorata e analizzata. E adesso basta! Alla mia età chi
vuole ancora sentir parlare di seccature? Di problemi ne ho avuti fin troppi.
Pensare invece a un buon piatto, al menù di domani, alla possibilità di
appagare ancora un desiderio, questa è la fonte e la soddisfazione di una lunga
vita ben vissuta.”
… To be continued …
lunedì 8 aprile 2013
Il pollo di Newton
La cena era in tavola da tempo ormai ma Isaac Newton, immerso nei suoi
studi, non si era ancora mostrato in sala da pranzo. L’amico William Stuckeley
era sempre più impaziente e affamato. Alla fine sollevò il coperchio dal piatto
scoprendo un pollo. Se lo mangiò tutto, poi furtivamente rimise a posto il
coperchio. Alla fine Newton arrivò, salutò l’amico e si mise a tavola. Sollevò
il coperchio e vide che sul piatto erano rimaste le ossa. Serafico, commentò:
“Come siamo distratti noi filosofi. Ero proprio convinto di non aver ancora
mangiato!”
Questo gustoso aneddoto riportato
da Massimiano Bucchi nel suo libro “Il pollo di Newton,” edito da Guanda,
esprime la concezione che la figura dello scienziato ha alimentato per molto
tempo nell’immaginario collettivo. Quella, cioè, di un corpo essenzialmente
ascetico e di una mente tanto sublimata nel ragionamento astratto da
dimenticarsi completamente di dettagli materiali, come il cibo appunto. Eh, sì,
perché perdere tempo a mangiare quando c’è così tanto cui pensare?
Tuttavia, paradossalmente questo
episodio rivela anche quanto sia stretta la relazione tra scienza e cucina: pur
considerandola indegna di un filosofo, la cucina - ovvero il piacere del cibo -
è ritenuta responsabile delle sue distrazioni. Dunque, la sua importanza
diventa logicamente incontestabile.
Di fatti, Massimiano Bucchi –
docente di Scienza, tecnologia e società all’Università di Trento – dimostra che
la scienza s’inserisce in cucina non tanto come incomprensibile fattucchiera
dello straordinario, quanto come semplice manifestazione dell’esperienza
quotidiana. Basterebbe osservare come la maionese riesce ad addensarsi oppure a
impazzire per intuire che la riuscita o il fallimento della preparazione
dipendono essenzialmente da questioni chimiche, molecolari, dunque
scientifiche.
Di conseguenza, se la scienza è
sempre stata a fianco della cucina, il palato, insieme al naso, è sempre stato
strumento conoscitivo per eccellenza, non meno sensibile e affidabile
dell’armamentario sperimentale con cui la natura è abitualmente interrogata.
Attraverso una serie di aneddoti
davvero gustosi – da Francis Bacon a Isaac Newton, da Benjamin Franklin a Louise
Pasteur – Bucchi non solo svela le inattese modalità di intersezione che
tuttora esistono tra scienza e cucina ma offre anche un’interpretazione dei
rapporti tra scienza e società nel corso dei secoli. Infatti, allorché la
scienza si afferma sul piano sociale come istituzione di rilevanza e
autorevolezza, diviene anche un modello cui la cucina può ispirarsi (basti
pensare all’attuale cucina molecolare). Dal canto suo, la cucina può essere
considerata anche come un’opportunità di divulgazione seduttiva di contenuti
scientifici altrimenti poco digeribili da tutti.
A proposito: sapete tutti, vero, perché
la maionese impazzisce?
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