“Buongiorno, quanto tempo …
come va?”
“Buongiorno
Paola, bentornata …”
“Grazie! Finalmente è
primavera, mi mancava il lago! … Tutto bene?”
“No,
tutto male purtroppo …”
“Perché, che succede?”
“Mia
moglie …”
“Cos’è successo a sua moglie,
non l’ho ancora vista a spasso con Rex al fiume, infatti …”
“Sta
male.”
“Come? Cos’ha …?”
“Tumore.
Maligno. Le resta poco.”
Silenzio.
Così
imparo a chiedere per stupida cortesia ‘come
va’ a qualcuno che nemmeno conosco bene, solo un vicino di casa, che non
vedo da mesi … chiedere così, senza pensare, senza aspettare, senza intuire. Mi
si spegne il sole addosso, mi sento coinvolta e tuttavia impreparata a dar
coraggio ma ci provo e domando, ascolto, lo lascio raccontare.
“ … se ha bisogno di qualcosa,
di qualsiasi cosa, io sono qui in questi giorni … mi dica, cosa posso fare?”
“Niente,
grazie … Solo una cosa potrebbe fare per me.”
“Subito! Che cosa?”
“Lei
è credente, vero?”
“Ma veramente, io …”
“Vede,
io ho detto a Gesù, che è mio amico da sempre, che se mi porta via mia moglie
deve portare via anche me. Cosa ci resto a fare qui da solo io? siamo sposati
da più di cinquant’anni … Ecco cosa può fare per me, Paola: pregare!”
Ancora
silenzio, un lungo, feroce silenzio. Abbraccio quell’omone grande due volte me,
che fino a un attimo prima conoscevo appena e che improvvisamente mi ha
investito, trapassato il cuore, conficcandosi dentro irrimediabilmente, per
sempre. Lo stringo, sento il suo corpo che pare essersi improvvisamente
ritirato dentro i vestiti, rimpicciolito, frantumato. Se stringessi più forte
potrei romperlo, penso. E’ disarmato come un bambino e fragile come un vecchio,
eppure accenna un sorriso consapevole e fiero. Mentre ci salutiamo, annuisco
imbarazzata, senza trovare il coraggio di guardarlo oltre negli occhi,
vergognandomi della mia piccolezza e della mia inutile presenza.
Pregare …
Corro
su per le scale. Lascio a casa tutto: zaino, macchina fotografica, progetti,
pensieri. E scappo. Scappo fuori, seguo le mie gambe, non sono io a decidere,
non è la mia testa, è la pancia che comanda. Sento montare un’amarezza dentro
che si fa rabbia, poi paura e infine energia e mi costringe a uscire, a correre
forte, più lontano che posso. Risalgo il sentiero che costeggia il fiume, in
mezzo al bosco, bevendo l’aria a grandi sorsate. Allungo la falcata sulla
salita e sento il mio respiro farsi affannoso, il cuore accelerare, sono
allenata eppure arranco. Non c’è nessuno, nessuno che porta il cane a
passeggiare oggi. Nessuna signora dal sorriso generoso che quando mi vede mi
accoglie in un materno abbraccio che scalda.
Ecco la ‘figlia del sole e del vento!’, così mi
chiama sempre lei. E proprio così mi sento io …
Maledizione,
sono sola adesso. Un coro indistinto di cinguettii e sbatter d’ali tra le
fronde rivela, tuttavia, un’invisibile brulicare di vita tutt’attorno: è
primavera, tutto rinasce, tutto freme, tutto guizza. Continuo a correre, i
piedi mangiano la terra, i polpacci son tesi da farmi male e le ginocchia
scricchiolano sotto i muscoli caldi, lo sento. E allora spingo ancora di più
per non sentire e quando arrivo in cima, dove la montagna vomita il fiume, mi
sbatto sull’erba a riprender fiato, con il cuore che riempie la gola e il petto
ansante. Son sudata, le tempie pulsano e ho un leggero capogiro … il mondo è
sottosopra. L’erba sa di fresco e punge la pelle attraverso i vestiti umidi di
sudore. Inspiro forte il verde che ubriaca tanto è intenso e mi stendo con la
schiena completamente aderente al prato, gli occhi spalancati su un fazzoletto
di cielo rubato alle braccia protese degli alberi, che sembrano implorare. Mi
pare di avere la testa completamente vuota, la stanchezza fisica aiuta a
disintossicare anche la mente, per fortuna. Eppure … eppure a qualche cosa
penso …
Penso
ai miei affetti. Alle poche, pochissime persone che amo e che mi amano, a
quelle che non ci sono più e a quelle che mi sono invece vicine, talmente
vicine che spesso do per scontate ... che stupida! Persone importanti, che
stanno sulle dita di una sola mano ma che affollano il cuore fino a farlo
scoppiare, scoppiare di gioia, scoppiare d’amore! Penso che dovrei vergognarmi.
Sì, mi vergogno per aver solo sfiorato l’idea, un giorno, di voler fermare il
mio tempo: di aver desiderato sparire, sprofondare
nel buio, cancellarmi per sempre con un battito di ciglia, un soffio, uno
schiocco di dita! Sparire … quando, invece, la vita è un’occasione così
preziosa. Egoista! Questa mia vita è un dono, un dono da vivere e condividere!
E allora …
Pregare … io non so pregare, mi
dispiace, non me lo ricordo più. Ma stesa a terra in mezzo all’erba, sotto
quello squarcio d’azzurro che sa d’infinito, riprendo il controllo del respiro,
che lentamente si acquieta. I muscoli delle gambe tornano vigorosi, il sangue
si rimescola ossigenato di nuova effervescenza, mentre anche il cuore sembra
ritrovare il suo equilibrio all’ombra dei ricordi e dei pensieri rinati. E
allora mi rialzo piano e dico Grazie,
con voce decisa. Un ‘grazie’ che s’impenna tra le fronde e s’intreccia al canto
di quelle creature alate che le abitano e che ora mi sorvegliano schive,
inafferrabili. Non so bene a chi lo dico ma ringrazio. Dopo di che riprendo il
mio cammino insieme al fiume, senza fretta e senza affanno questa volta … c’è
tutto il tempo per arrivare dove devo andare.
Ringraziare,
questo solo posso fare, non conosco un altro modo per pregare!
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