Si
può sentire il sapore della luna? L’odore di un colore o il canto di un fiore?
Una passeggiata attraverso i boschi, in
una malinconica giornata autunnale, può rivelarsi un’inattesa esperienza
sensoriale, capace di accendere scintille di pensieri ed emozioni. Non occorre
andare troppo lontano da casa, scalare montagne o solcare oceani per
emozionarsi, e nemmeno c’è bisogno che accada qualcosa di eccezionale per
stupirci. E’ sufficiente guardare la Natura con occhi nuovi, lasciare che essa
dialoghi con il nostro corpo e il nostro cuore, per mettere in moto una giostra
di sensazioni tali da farci sentire in comunione con l’Universo. In questo
modo, anche il panorama più quotidiano e disponibile può trasformarsi in un
teatro animato di colori, suoni, odori e sapori, che si mescolano tra loro in
un modo nuovo e sorprendente.
Pochi giorni fa, camminando lungo un
sentiero che costeggia un torrente, non lontano da dove vivo, ho vissuto
anch’io questa magia. Ho serpeggiato tra cespugli e fronde rosseggianti,
seguendo il corso pigro dell’acqua fino al lago, plumbeo e immobile per
l’assenza quasi innaturale del vento. A volte, quando si cammina, si dimentica
che esiste uno spazio immenso anche sopra la nostra testa ma basta alzare gli
occhi al cielo per scoprirlo e rimanerne incantati. Infatti, dall’alto,
attraverso le cime degli alberi, filtrava un filo di luce, sottile ma tagliente
come una lama, che animava le tenui sfumature di verde sulle foglie, non ancora
del tutto divorate dalle audaci pennellate gialle e rosse dell’autunno.
E’ stato proprio allora che, in quello
spumeggiare acceso di colori, ho sentito improvvisamente un sapore ben preciso,
come se quei colori io li stessi mangiando! Tutt’a un tratto, ho percepito in
bocca il gusto esotico del mango maturo, con la sua polpa densa e fruttata, che
si scioglieva lentamente in succo fino al suo cuore.
Inebriata da quel curioso amalgama di
sensazioni, ho proseguito emozionata a caccia di altre tracce che
solleticassero i miei sensi, come un cane che fiuta il passaggio di
un’allettante preda. Mi son sentita in balìa di un’eccitazione sconosciuta,
tanto da chiedermi se i colori potessero avere anche un odore oltre ad un
sapore. Ed è stato proprio il mio naso a darmi la risposta, poco più avanti,
quando mi sono ritrovata come immersa in quello splendido quadro di Rousseau
intitolato “Il sogno”. Una cascata di verde, a capofitto sul torrente, ha
aggredito il mio olfatto di un non so che d’acre e pungente, che non ho saputo
ricondurre a un cibo buono e goloso. Era semplicemente odore di verde, di
foglie e di muschio. E l’acqua, dove le fronde s’inchinavano quasi ad
abbeverarsi, accentuava prepotentemente quell’asprigno solletico dentro le
narici.
Sempre più estasiata, sazia di mango ed
ebbra di verde, ho raggiunto infine il lago, mentre l’ultimo raggio di sole
eclissava dietro le colline. Lì la temperatura era sensibilmente più alta
rispetto al bosco e un flebile venticello faceva suonare le canne sinuose
sull’acqua, come fossero vibranti corde d’arpa.
Mancava proprio il sonoro in quell’inatteso concerto dei sensi. Ma,
tutt’a un tratto, ho avvertito una dissonanza, come quelle improvvisazioni
ritmiche della musica jazz, che ti scuotono e ti sorprendono. E ancora una
volta è stato il mio naso a parlarmi. Non ho dovuto sforzare troppo la fantasia
per distinguere un odore che zaffava prepotente l’aria, caricandola di amaro,
di terra, di marrone e di … Difatti, lo scorcio che si è aperto ai miei occhi
poco dopo confortava gli inequivocabili messaggi olfattivi.
Un bellissimo cavallo bianco, incurante
di me e del mondo intero, beatamente rapito dal suo instancabile brucare,
aggiungeva vita e movimento al teatro naturale. E aggiungeva anche l’odore
forte di stalla, di fieno, di selvatichezza, che completava il quadro
rendendolo più reale. Che animale sensuale! Forse stava riposando, dopo una
corsa in libertà. Osservando quella creatura attraverso lo zoom della macchina
fotografica, mi pareva di poter allungare un braccio e di riuscire a toccarla.
Ho sentito, sotto le mani, il pelo ruvido, compatto e umido di sudore, la
criniera ispida, folta e spettinata, nonostante il mantello bianco desse invece
un’illusione di morbidezza, e ho sentito scorrere il flusso denso del sangue,
il battito del cuore placarsi dopo la corsa, attraverso i muscoli caldi del
collo, ancora tesi e pulsanti.
In pochi scatti ho rubato al cavallo
tutte queste impressioni, assorbendole e mescolandole con l’incredibile impasto
sensoriale già presente in me.
Rapita da tutti quegli incantamenti non
mi ero quasi accorta che la sera era ormai inoltrata e che era arrivato il
momento di tornare casa. Incamminandomi, mi sentivo leggera e in un certo senso
eccitata mentre, nella mia testa, il pensiero logico cercava di farsi strada
tra i residui delle emozioni provate fino a quel momento. La cosa mi piaceva,
mi divertiva alimentare quella specie di conversazione interiore tra ragione e
sentimento. Era come se il mio cammino non fosse più solitario ma che,
all’improvviso e per magia, un grande scienziato della mente e un romantico poeta
avessero deciso di accompagnarmi a casa per spiegarmi, ciascuno a suo modo, ciò
che mi era successo quel pomeriggio. Ho accettato il gioco. In fondo dovevo pur
camminare per almeno un quarto d’ora prima di rincasare e cosa di meglio che
farlo in compagnia? Così, ho ascoltato dentro di me le parole dell’uomo di
scienza che, con tono di ironica benevolenza, mi diceva:
“Sai
bene, che quello che hai provato non è una metafora poetica e non ha semplicemente
a che fare con le virtù artistiche di un’anima particolarmente sensibile. Né,
tantomeno, con visioni, allucinazioni o distorsioni della mente. In realtà, mia
cara, si tratta di un fenomeno che la neuroscienza conosce benissimo e gli ha
dato anche un nome: SINESTESIA ovvero “PERCEZIONE SIMULTANEA”. Naturalmente ne
ha spiegato anche i meccanismi, dimostrando che, a volte, i segnali provenienti
dall’esterno – colori, odori, suoni, sapori e sensazioni tattili – vengono
percepiti da regioni del cervello che, normalmente, non sono preposte a quella
funzione.”
” E allora che succede?” gli ho
chiesto.
“In
poche e semplici parole, succede che gli stimoli si avventurano per le vie
neuronali attivando simultaneamente più regioni cerebrali, disorientando così i
nostri schemi sensoriali e prendendosi un po’ gioco delle nostre percezioni. In
questo modo, può succedere che un odore venga udito, un colore possa essere
gustato, o un suono alteri la temperatura percepita dal nostro corpo, facendoci
sudare o rabbrividire. Mi segui?”
“Certo che ti seguo, non sono mica stupida.” ho risposto
piccata.
“Bene.
Non voglio prenderti altro tempo visto che stai per arrivare a casa, ma voglio
aggiungerti che la faccenda è molto complessa e affascinante e ha altri
interessanti risvolti. Alcune persone, ad esempio, associano ad una precisa
nota musicale un colore: il do è rosso, mentre il fa diesis è blu. Pensa,
questo può rivelarsi un utile meccanismo di memorizzazione di complessi
spartiti musicali, non trovi? Per altri individui sono i numeri o i grafemi ad
assumere un colore. Altre persone ancora attribuiscono ai giorni della
settimana e ai mesi dell’anno, sapori o colori precisi, senza sapere perché. Il
lunedì può assumere l’aroma del caffè, mentre Agosto potrebbe essere una
tavolozza di azzurro e ...”
“Va bene, basta, basta ... ho capito”.
Ho detto a quel punto, conquistata dal suo sapere ma anche un po’ delusa.
Non so perché ma non mi piaceva
sentirmi sinestetica. Preferivo
immaginarmi curiosa e ingorda della Natura, in tutte le sue manifestazioni,
meravigliose e tragiche che fossero e mi piaceva pensare che l’Autunno fosse
davvero giallo-rosso, col sapore di mango e odoroso di verde pungente!
Mi sono rivolta speranzosa verso il
poeta. L’ho osservato di sottecchi: era alto, magro, con una corta ma incolta
barba bianca e un sorriso dolce e svagato come, non so perché, ho sempre
immaginato tutti i poeti del mondo. Il suo sguardo era rivolto verso il cielo, in direzione di
una splendente luna piena, con un’espressione che mi sembrava la più felice del
mondo. Quasi timorosa di disturbarlo, gli ho chiesto:
“Scusa, poeta, anche tu pensi che le
sensazioni che ho provato sono state solo un’esaltazione dei miei neuroni?”
Il poeta, non ha distolto lo sguardo
dalla luna. Ha sospirato e, con un sorriso ancora più intenso, mi ha risposto:
“Lo
sai, bambina, che la Luna profuma di borotalco e ha il sapore di vaniglia?”
Purtroppo, proprio in quel momento, ero
arrivata di fronte alla porta di casa. Ma, prima che il mio fantastico sogno
sparisse, ho abbracciato il mio poeta e, con un sorriso grato, gli ho
sussurrato: … “Sì, poeta, lo sapevo!”
Post scriptum: a chi volesse
approfondire le proprie conoscenze sul fenomeno della sinestesia, consiglio di
leggere i libri di Vilayanur Ramachandran, neuroscienziato indiano
all’avanguardia negli studi di psicofisica, nonché piacevolissimo scrittore. E’
lui lo scienziato che mi ha accompagnato durante la mia fantastica passeggiata.
Chi, invece, volesse conoscere il nome del mio poeta, bhé, mi dispiace ma questo
è un segreto che terrò gelosamente custodito in me!
“La
luna e le stelle brillavano sopra le nostre teste.
Finalmente
così ci calmammo.”
Henry David Thoreau
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