Quando
Rocky mi corre incontro scodinzolando e mi annusa non sente solo il mio odore.
Non cerca solo di scoprire se in mano nascondo un delizioso biscotto o l’odiosa
spazzola per strigliarlo. Il mio cane, in realtà, va a caccia di molte altre
informazioni su di me, che vanno oltre il senso dell’olfatto a livello
epidermico. Lui sente anche le mie emozioni! Mi studia, mi analizza, mi ‘ascolta’e
sniffandomi con quel suo tartufo nero e umido riesce a percepire se sono in
vena di giocare o se invece ho bisogno di coccole e quiete, se sto per
rimproverarlo o se sono in procinto di portarlo a fare una passeggiata, se sono
eccitata o malinconica. Senza che io dica nulla, lui mi capisce, inclina da un
lato il suo testone e con i suoi occhi profondi mi scruta attento,
raggiungendomi laddove raramente lo sguardo umano arriva. Mi comunica così la
sua istintiva comprensione, assecondando generosamente il mio stato d’animo e
confermando ogni volta un insostituibile rapporto empatico e affettivo.
Si
sa, l’olfatto degli animali è straordinario. Non solamente quello dei mammiferi
ma anche quello di molti insetti, tra cui le api che fanno concorrenza ai cani,
sia in abilità, sia in potenzialità di apprendimento. Ma anche noi umani
utilizziamo inconsapevolmente questo senso primario, spesso sottovalutato,
nelle relazioni di tutti i giorni, emotive, sociali e affettive. Ciò che il
nostro naso percepisce e trasmette al cervello a livello inconscio, si traduce
a livello conscio: prendiamo decisioni, traiamo conclusioni, mettiamo in moto
azioni che apparentemente non avrebbero nulla a che fare con gli odori che ci
circondano, eppure così non è. Non ne siamo quasi mai consapevoli, innanzitutto
perché vincono gli altri sensi, soprattutto la vista, e poi perché il nostro
cervello viene attivato da un odore mezzo secondo prima che noi stessi possiamo
renderci conto dell’effettiva presenza di quell’odore.
Siamo
in balìa, dunque, di profumi, aromi, odori, effluvi e puzze che suggestionano
il nostro quotidiano agire. E siamo, quindi, molto più simili ai cani di quel
che pensiamo, anche se forse non ci piace doverlo ammettere. Certo, non
possiamo vantare la stessa capacità di rilevamento degli odori, né la destrezza
nell’annusare dei nostri amici pelosi (anche se, con un po’ di esercizio,
queste abilità possono essere affinate e addestrate anche negli umani). Il
vantaggio indiscutibile dei cani su di noi dipende dal fatto che le cellule dei
recettori olfattivi canini sono venti volte superiori alle nostre, insieme ai
geni correlati. Inoltre, quasi tutti i cani, sono facilitati dal muso
allungato, e comunque sempre più vicino al terreno rispetto al nostro, in grado
quindi d’infilarsi ovunque in maniera rapida e flessibile. La natura ha
consentito a noi umani di compensare queste lacune sviluppando vertiginosamente
tutti gli altri sensi, risparmiandoci così anche molti effetti collaterali
spiacevoli legati all’istinto di annusare. Per esempio, la maggior distanza del
nostro naso da terra non solo ha stimolato lo sviluppo di una vista notevole ma
ci ha consentito di evitare molte infezioni. Sembra una banalità eppure è una
conseguenza molto importante dell’evoluzione. Il nostro olfatto resta tuttavia
potentissimo, anche se i nostri nasi stanno quasi sempre in stand-by, perché pur
possedendo minori recettori olfattivi riusciamo a percepire maggiori molecole
olfattive rispetto ai cani, grazie anche alla collaborazione del nostro
raffinatissimo sistema gustativo. Almeno così dimostrano gli esperimenti più
recenti nel campo delle neuroscienze, eseguiti tramite brainimaging.
Quindi,
ciò che fa la differenza tra l’olfatto di Rocky e il mio, non è tanto il naso,
bensì il cervello! Il sistema olfattivo umano costringe il cervello a lavorare
su più fronti, attivando aree neurali associate alle emozioni, alla memoria,
alla reazione motoria e al linguaggio. Un ingranaggio magnifico che, acceso da
un soffio, innesca un lavoro a catena miracoloso e infinito. L’aveva intuito
perfettamente Proust con la sua madeleine, senza essere ufficialmente uno
scienziato. L’attivazione contemporanea di più aree cerebrali consente, dunque,
un’elaborazione più significativa degli input olfattivi rispetto a quanto non
avvenga negli animali. Infine, il coinvolgimento del linguaggio corona le
nostre abilità olfattive, consentendo a scrittori come Proust di scrivere
pagine immortali e permettendo a nasi addestrati, come quelli dei sommelier o
degli analisti sensoriali, di classificare e descrivere sottilissime differenze
volatili che sfuggono alla coscienza della maggior parte di noi, facendo del
proprio naso una piacevole professione.
Una
delle scoperte più interessanti circa il sistema olfattivo, a livello
neurologico, è quella che rivela come operano e collaborano le due narici di
fronte agli stimoli. Perché le narici sono due? Non è solo una questione di
simmetria e, dunque, di estetica ma anche di specializzazione: ogni narice
raccoglie aria da zone spazialmente distinte davanti al nostro viso, nonostante
la prossimità che c’è tra loro. E’ facile dimostrare la difficoltà che si ha
nella percezione di certi odori tappando una narice, e viceversa: moltissime
sfumature non vengono colte da una singola narice. Per non parlare, poi, di
quanti problemi devono affrontare gli anosmici! Non ci si pensa, anche perché
per fortuna la perdita del senso dell’olfatto (anosmia, appunto) non è una
malattia così frequente. Non è nemmeno considerata invalidante ma chi ne soffre
sa bene che disagio sia non poter riconoscere gli odori: scambiare per buono un
cibo disgustoso, non accorgersi del gas rimasto inavvertitamente aperto in
cucina o di un incendio che divampa in casa durante il sonno. Sono tutte
situazioni estreme, di pericolo, è vero, ma l’anosmia conduce spesso anche alla
depressione, perché è dimostrato che l’esistenza di un anosmico è decisamente
più triste, vuota e sterile rispetto a quella di chi sa gustare i piaceri della
vita con tutti quanti i sensi.
Al
di là degli innumerevoli aneddoti che confermano scientificamente l’importanza
di un senso così primario come l’olfatto anche nell’uomo, è il risvolto emotivo
che mi affascina di più. Perché un profumo o un odore funziona un po’ come una
musica: entrambe stimolano umori e stati d’animo in maniera apparentemente
irrazionale, tuttavia i timbri di un profumo sono più subdoli degli accordi
musicali. Mentre le note hanno un nome, seguono una ritmica e una grammatica,
gli odori sono spesso sconosciuti, inafferrabili, effimeri, imprevedibili,
cangianti, indefinibili. Oltretutto chi può dire con certezza se quello che il
mio naso avverte è identico a ciò che percepiscono gli altri? Si tratta di un
linguaggio misterioso, intimo, ancestrale. Il fatto che qualche giorno dopo la
nascita siamo già in grado di riconoscere nostra madre dall’odore prodotto
dalle ghiandole apocrine delle ascelle e dei capezzoli la dice già lunga! Siamo
abituati a sentire l’odore materno già nel ventre, attraverso il liquido
amniotico e tramite questo comune denominatore riconosciamo persino l’odore dei
nostri fratelli dopo la nascita. Ed è altrettanto vero che una madre sa
riconoscere l’odore del proprio bambino tra tanti, solo annusando la sua tutina
o il lettino in cui è stato adagiato. Io stessa, dopo 15 anni dalla sua
nascita, fiuto inconsciamente la presenza di mio figlio e ho persino la
ridicola abitudine di annusare i suoi indumenti quando rientra la sera, come un
vero segugio sulle orme del colpevole, per scoprire eventuali tracce di bugie e
soprattutto di fumo. Cosa che, grazie al cielo, non mi è mai capitata. L’unica
eccezione all’infallibilità del fiuto materno riguarda i gemelli omozigoti, per
cui una madre può confondersi facilmente nel distinguere ciascuno dei suoi
figli. Questo conferma l’influenza genetica sulle firme olfattive ed è lo
stesso principio per cui ai segugi bastano pochissimi indizi olfattivi per
riconoscere una persona ricercata da un qualunque estraneo (a meno che, il
ricercato non abbia un gemello omozigote!). E sempre per restare nell’ambito
canino, anche noi ‘padroni’ siamo in grado di riconoscere l’odore del nostro
amato cane, anche solo annusando la sua coperta tra quelle di altri cani, a
prescindere dalla piacevolezza o meno del timbro olfattivo che emana. Se non è
amore questo!
Con
tutte le conoscenze che oggi abbiamo circa il funzionamento del nostro sistema
olfattivo, forse si è perso un po’ il senso misterioso e poetico di alcune
relazioni umane a vantaggio di spiegazioni chimiche e neurologiche sempre più
infallibili. Così, l‘amore, il sesso e persino la malinconia e la depressione
potrebbero essere spiegati attraverso molecole e sinapsi, perché i sensi
dialogano strettamente con le emozioni e si mescolano in quel sistema limbico,
responsabile dell’emotività e dei ricordi. In pratica, oggi sappiamo che se una
persona ci è istintivamente simpatica o antipatica può dipendere anche dalle
sue secrezioni endocrine che vanno a stimolare certe zone del nostro cervello;
se involontariamente eccitiamo una persona o ne siamo perdutamente attratti è
in buona misura dovuto alla tempesta dei nostri feromoni; se scegliamo di
frequentare più spesso un locale piuttosto che un altro, può dipendere anche
dall’atmosfera olfattiva che ci circonda; se alcuni nostri ricordi sono più
vividi di altri è perché vengono probabilmente associati ad effluvi, piacevoli
o spiacevoli, delle situazioni rievocate; e chissà, se di notte abbiamo un
terribile incubo o viviamo un sogno eccitantissimo, potrebbe dipendere dall’influsso
di odori subliminali che inconsapevolmente assorbiamo durante il sonno. Un bel
libro di Camilleri s’intitolava, guarda caso, “L’odore della Notte” e ricordo
che in quelle pagine si raccontava molto bene come la notte sprigioni odori
particolari, del tutto diversi da quelli del giorno. Naturalmente era
Montalbano a parlare e lui di fiuto se ne intende!
In
conclusione, dovremmo essere fieri di somigliare un po’ ai nostri amici cani,
avrebbero molto da insegnarci, aiutandoci a recuperare le nostre capacità
olfattive primarie, da addomesticare e utilizzare in maniera più consapevole.
Ora ho Rocky, il mio dolce molosso, che mi fa da guida oltre che da guardia e
da compagnia. Venti anni fa, invece, il cane che abitava con me era una bella
femmina di setter, furba e vivace, e si chiamava Tris. Una fredda sera di
dicembre, Tris per tutto il pomeriggio e in maniera del tutto inspiegabile, non
volle uscire in giardino, non mangiò nulla, si accoccolò seriosa sulla poltrona
di fronte al letto di mio padre e non si mosse di lì fino a notte fonda. Fino
all’ora, cioè, in cui mio padre spirò, dopo una lunga brutta malattia, senza
che ci fosse stato durante tutto quel giorno un evidente peggioramento del suo
stato di salute. Nessuno di noi, a parte il mio cane, aveva avuto sentore che
qualche cosa di nuovo e perfido stesse maturando inesorabilmente dentro il
corpo ancora apparentemente combattivo di mio padre. Noi umani potevamo usare
il cervello per pensare, supporre, immaginare, pregare, scongiurare o lasciarci
illudere ma non per ‘sentire’ con certezza la presenza dell’Invisibile.
Forse,
persino la Morte ha un suo odore.
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