Immaginiamo
l’Umanità come una grande carovana.
Una
carovana fatta di tante rissose colonne che procedono zigzagando verso un
destino comune e misterioso. In quest’immaginaria processione verso l’ignoto,
vi sono figure ricorrenti, come gli esploratori, i capi carovana, i
consiglieri, i giullari, i tesorieri e via dicendo, fino ai miliardi di
carovanieri che nascono, vivono e muoiono misconosciuti, chiedendosi fino
all’ultimo: ‘ma io che ci faccio qui in mezzo?’. I carovanieri esploratori sono
gli uomini di cultura, gli scienziati, gli intellettuali, i filosofi che
procedono in avanscoperta per scrutare l’orizzonte e indicare agli altri la
strada migliore da percorrere. Molti di loro non tornano più, o si ritirano in
disparte, convinti dell’inutilità di indicare alcunché alle colonne
indisciplinate di individui egoisti e ciechi. Altri, invece, tornano a mostrare
strade ovvie e facili ma prive di una méta veramente significativa. Altri
ancora, infine, fanno ritorno per suggerire le strade più impervie e difficili
da percorrere che, però, possono condurre all’intuizione di quel destino
misterioso verso cui si procede con affanno tutti insieme.
Ebbene,
se penso a questa immaginaria carovana, uno degli esploratori più instancabili
e interessanti è stato, a mio parere, James Hillman, analista d’ispirazione
junghiana e toccante portavoce della psicologia del profondo. Infatti,
nonostante la sua scomparsa, avvenuta un mese fa nel Connecticut all’età di 85
anni, egli ha lasciato, a noi umili carovanieri, un’immensa e preziosa opera letteraria. I suoi libri e le sue parole
trascendono la sua missione di uomo e analista, continuando a dare un sostegno
importante a quella parte di carovana particolarmente inquieta e affamata di
capire il senso di quest’ineluttabile procedere.
“Invecchiando rivelo il mio
carattere, non la mia morte”,
aveva scritto tra le sue pagine. Sempre più lontano dal rigore della clinica
ortodossa e sempre più terapeuta del Mondo, Hillman scuote le coscienze con la
semplicità delle parole, dello sguardo e del sorriso e la sua eredità è tesoro
sia per gli analisti, sia per i pazienti. “Occorre
aprire una finestra nella stanza
d’analisi. Io non sono, se non in un
campo psichico con gli altri, con la gente, gli edifici, gli animali, le
piante.” Con la sua sensibilità, Hillman restituisce all’Anima la sua
centralità, in un tempo in cui sembra essere perduta, soffocata dal frastuono
della superficialità. “L’Anima –
intesa come simbolo, come Psiche, come Interiorità – in realtà, non è mai morta, è sempre stata a portata di mano.”
Semplicemente, spesso non la ‘sentiamo’, non la notiamo, perché guardiamo nel
posto sbagliato, altrove, presi dalla fretta e dall’indifferenza. Il difetto
sta nella nostra vista, nelle lenti inappropriate che ci siamo abituati a
indossare e che ci illudono di vedere lontano, nascondendo invece ciò che è
vicino. E’ dentro noi stessi, nell’intimo silenzio del nostro cuore, che
possiamo trovare l’Anima e solo prestando ascolto a questo silenzio attivo
possiamo entrare in connessione con gli altri e con il senso più profondo della
vita.
Non è facile entrare in contatto con se stessi. Per
questo può essere utile un carovaniere esploratore, un interlocutore capace di
cogliere i battiti più intimi del nostro Essere per aiutarci a sentirli. Nel
momento in cui quest’incontro avviene, è come se un sipario si aprisse su
un’orchestra e, improvvisamente, l’accozzaglia di rumori della carovana si
trasformasse in un armonioso, intimo crescendo. Il contatto iniziale con l’inconscio
è un’esperienza vitalizzante che dà le vertigini, è come se “una fonte da molto tempo ingorgata per
incuria tornasse improvvisamente a scorrere.” E’ questo il senso viaggio: “la ricerca interiore che ci
pone tutti ininterrottamente in terapia.” E’ un viaggio arduo, perché
l’individuazione di sé richiede coraggio. Significa potare rami sterili,
sfrondare erbacce, denudarsi completamente di sovrastrutture ingombranti e
inutili fardelli per resuscitare le vere radici e poter finalmente gettare nuove
gemme al sole. Non sempre questo viaggio è sostenibile in solitudine, per
questo un buon carovaniere capace di ascoltare può essere prezioso. Perché “la conversazione come arte dipende in primo
luogo dall’arte di ascoltare, accogliendo dentro di noi l’altro come fosse
musica”, svuotandoci delle nostre note per far spazio a quelle altrui. Un
simile incontro di Anime, un tale contagio psichico, può somigliare a una folie a deux che, tuttavia, conduce a
trascendere l’individualità e ad avvicinarsi all’Anima del Mondo, attraverso la
scoperta della nostra stessa Anima.
Tutti, probabilmente, possiamo
trovare sul cammino un carovaniere esploratore come
James Hillman, se sappiamo indossare le lenti giuste per guardare e prestare
orecchie per ascoltare. Senz’altro, la méta della carovana resterà sempre
inafferrabile ma, se non altro, l’affannoso zigzagare di ognuno potrebbe nel
frattempo diventare un bel viaggiare insieme, verso un ineluttabile ma non più
angoscioso mistero.
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