La popolarità della “dolce Melba” ha da
poco compiuto novant’anni. Esattamente nel giugno del 1920, infatti, la
cantante lirica australiana, Nellie Melba, fu ascoltata alla radio per la prima
volta, battezzando così la nascita delle trasmissioni radiofoniche. Dalla
fabbrica di Marconi, a Chelmsford in Inghilterra, la voce della cantante venne
diffusa on air in tutto il Regno
Unito riscuotendo un enorme successo e nei mesi successivi le trasmissioni
furono perfezionate a tal punto da poter raggiungere altri Paesi europei, tra
cui certamente la grande Francia. Questa pionieristica avventura si rivelò
presto rivoluzionaria e contagiosa sotto molti punti di vista, alcuni forse
meno noti ma piuttosto curiosi.
Non tutti sanno, per esempio, che uno
tra i grandi personaggi ad essere stato contagiato dalla voce della bella Melba
fu Auguste Escoffier. Cuoco dei re, re
dei cuochi, capriccioso e audace in cucina come nella vita, Escoffier resta
tuttora famoso per aver rivoluzionato le abitudini di cucinare e presentare i
cibi a tavola, celebrando e diffondendo, già alla fine dell’8oo, l’haute cuisine francese in tutto il
mondo. E pare che fu proprio la voce vellutata di Nellie Melba ad avere
inconsapevolmente ispirato al grande cuoco una delle sue più famose ricette,
battezzata poi con il suo nome: la pesca melba, appunto.
Un’opera d’arte fatta di frutta, panna,
vaniglia e tanta passione. Un piccolo capolavoro da guardare, annusare, toccare
e gustare. Come sia andata a finire tra i due non si sa ma mi piace immaginare
che il baldanzoso Escoffier, dopo aver ascoltato l’irresistibile canto della
dama alla radio, l’abbia raggiunta e conquistata, corteggiandola con la sua
straordinaria sinfonia per la gola, le cui note saporite le avrebbero procurato
indimenticabili piaceri.
Questo fiero e meticoloso cuoco, che
nutriva un amore lezioso per il cibo, e non solo, è stato l’anticipatore di
alcune importanti scoperte in campi apparentemente estranei alla gastronomia.
In quell’epoca, la scienza e il positivismo contagiavano anche la cucina, che
veniva considerata un’alchimia piuttosto che un’arte. In Francia, i cuochi
rincorrevano l’idea di una haute cuisine
basata sulla tecnica e sulla conoscenza di ciò che era salutare e ciò che
invece non lo era. La convinzione che il sangue del maiale e la trippa
facessero bene, per esempio, mentre i broccoli e la pesca fossero indigesti,
indirizzava gli chef verso preparazioni pesanti e monotone. Ma Escoffier, che
di tecnica e di scienza gastronomica non ne voleva sapere, affidava il suo
talento alla sensibilità, alla creatività e all’esperienza. Era convinto che la
maggior minaccia alla salute pubblica del suo tempo venisse dalla diffusa
convinzione che “la necessità di nutrirsi
appare il più delle volte non già come un piacere ma come un ingrato dovere”.
Così, guidato esclusivamente dalla piacevolezza e dai capricci dei sensi,
Escoffier ha fatto dello chef un artista e della cucina un’arte.
La sua grande passione era il brodo di
vitello! Amava il suono dello sfrigolio della cipolla nel tegame, il profumo
della carne deglassata a fuoco lento, l’aroma sprigionato da prezzemolo, timo e
alloro mescolati con aglio e carote. Dedicava ore ed ore per preparare il
brodo, lasciandolo sobbollire fino alla sublimità, dopo di che si sentiva
pronto per cominciare a cucinare. Quel fondo di cottura – l’estouffade, l’umile fondamento di tutto ciò che segue – era per
lui il principio del piacere e il segreto delle sue ricette. E ancora oggi, la
sua tecnica resta intatta ed è utilizzata dai più grandi chef di tutto il
mondo.
Ma, concretamente, qual era il merito
della sua arte? Che cosa rendeva il sapore dei suoi piatti tanto allettante e
inconfondibile? E cosa continua a rendere tanto felice una parte così primitiva
di noi quando assaporiamo un certo cibo?
Ebbene, dietro all’appassionata
dedizione di Escoffier per la cucina – e in particolare per l’estouffade - si nasconde, in realtà, una
molecola, dal nome nemmeno troppo simpatico. Si tratta di un aminoacido
chiamato L-glutammato, che si è scoperto essere presente in grandi quantità
nelle proteine. L’inconsapevole genialità di Escoffier consiste nell’aver
condito i suoi piatti di più L-glutammato possibile, il cui potere “saporifero”
aumenta con la cottura e la stagionatura degli alimenti. Non ci sarà molta
poesia in questa verità ma si tratta, comunque, di un’intuizione culinaria che
ha avuto grande rilevanza anche in campo scientifico, biologico e neurologico.
Oggi si sa, infatti, che la nostra
lingua possiede un recettore di glutammato specifico, che risponde al gusto
delle proteine e che ci permette di distinguerle dagli altri sapori,
facendocele apprezzare in maniera amplificata. Questo perché il nostro stesso
organismo è fatto in gran parte di proteine, oltre che di acqua, e ha quindi
bisogno di una costante ricarica di aminoacidi che al palato sprigionano un
inspiegabile piacere. Probabilmente i vegetariani, come me, alterano questo
meccanismo chimico adattandolo alle proprie abitudini alimentari. Immagino che
la mia lingua possieda dei guizzanti recettori pronti a catturare tutta la
bontà racchiusa in un pomodoro o in una fragola, piuttosto che un filet mignon au foie gras. Comunque,
l’essere umano è nato e si è sviluppato carnivoro, si sa, e la lingua ama ciò
di cui il corpo ha bisogno. Questo è il motivo per cui quando spolveriamo una
pasta al pomodoro con del parmigiano grattugiato la pasta acquista maggior
bontà: il parmigiano, infatti, trabocca di quella misteriosa molecola ed esalta
il sapore della salsa di pomodoro rendendolo assolutamente unico, squisito.
Ma Escoffier, concentrato com’era nella
sublimazione dei sapori al palato, ha paradossalmente scoperto anche un’altra
verità. Vale a dire che il gusto, in realtà, è prevalentemente odore! I suoi
piatti, infatti, venivano immancabilmente serviti caldi e fumanti, in modo che
le molecole volatili dei cibi giungessero prepotentemente al naso e il piacere
dell’olfatto anticipasse quello del gusto. Il profumo del boeuf bourguignon, in pratica, predisponeva positivamente
l’avventore al pasto, stuzzicando le ghiandole salivari e mettendo in moto un
desiderio molto più complesso del semplice appetito.
La lingua non è una brava solista nel
concerto del piacere. Non potrebbe cogliere da sola tutte le sfumature
aromatiche di un pizzico di dragoncello in una vellutata d’aragosta, l’accenno
di vaniglia in una crema inglese, la fogliolina di cerfoglio immersa nel potage
di carote. Ha bisogno della collaborazione del naso. Oggi questo non ci pare
tanto assurdo, perché sappiamo che i recettori olfattivi occupano una grande
parte del nostro DNA, oltretutto i neuroni nasali hanno un’ottima memoria e si
rigenerano continuamente, rispondendo a migliaia di stimoli differenti.
Tuttavia, l’olfatto non pare essere un senso molto “intelligente”, perché si
lascia facilmente ingannare dal contesto. Moltissimi e divertenti esperimenti
dimostrano che se ci viene fatta annusare dell’aria inodore ad occhi chiusi,
informandoci che davanti al nostro naso ci attende un boccone di gorgonzola,
ecco che si scatena immediatamente dentro di noi un famelico desiderio. Secondo
questo stesso principio, la famosa aranciata è stata colorata di arancione
perché era stato dimostrato che, con quest’aspetto, piaceva di più dello stesso
liquido incolore, seppure con lo stesso identico sapore.
Senza volerlo, la mente inganna le
nostre percezioni. L’innovativo Escoffier, inconsapevolmente, ha saputo
sfruttare la fallibilità dei sensi e la conseguente confusione sinestetica con
geniale professionalità. Intuendo, infatti, che quello che gustiamo non è solo
un boccone ma anche un’idea, faceva sfilare i suoi camerieri in smoking, e i
cibi venivano serviti in piatti d’argento e fini porcellane. Un piatto
diventava perfetto se creava una disposizione d’animo perfetta.
Escoffier esigeva, pertanto, che i suoi
piatti fossero sempre onorati ed era convinto che le persone potessero persino imparare a mangiare, addomesticando i
propri gusti. Così, dopo aver lavorato al Savoy di Londra, sfidò se stesso
scommettendo di riuscire ad educare persino le pessime abitudini gastronomiche
degli anglosassoni. Inventò per questo il menu di degustazione, proprio come
strumento educativo all’alimentazione, con la speranza che prima o poi gli
inglesi sarebbero diventati un po’ francesi, almeno a tavola. E siccome il
senso del gusto, così come quello dell’olfatto, è estremamente duttile,
Escoffier con la sua scuola e i suoi seguaci è senz’altro riuscito nei secoli a
convertire ed educare un’infinità di gusti, plasmando altrettanti palati, nasi
e cortecce cerebrali.
Ecco, dunque, l’orgoglioso Escoffier, l’inventore di menu raffinati,
l’educatore di gusti, il rivoluzionario dell’arte culinaria, catturato da
improvviso incanto dalla voce di Nellie Melba. Lui, amante del lusso e delle
donne, non resiste al desiderio di sedurla e comincia il corteggiamento creando
un dolce con il suo nome. C’è però proprio da chiedersi con quale altra delle
sue virtù possa essere riuscito a conquistare quelle della bella Melba, essendo
la pesca a lei dedicata un dolce freddo, privo quindi di un profumo
particolarmente intenso e coinvolgente. … Non so perché, ma mi piace pensare
che Escoffier abbia acceso gli appetiti della gentile dama ricorrendo ad un
aperitivo eccitante e antico come il mondo: la dolcezza di un bacio!
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