Schopenhauer
diceva che “nove decimi della nostra
felicità si basano sulla salute. Con questa, ogni cosa diventa fonte di
godimento”.
Ma
che cosa intendeva esattamente per salute?
E cosa intendiamo oggi noi con questa parola che nei secoli ha articolato il
suo significato proporzionalmente alla complessità della società? Se un tempo
per salute s’intendeva sinteticamente assenza di malattie, oggi il concetto è
molto più sofisticato. Si preferisce parlare di benessere per intendere lo stare
bene non solo fisicamente, nel corpo, ma anche psicologicamente, nel cuore
e nella mente.
Sta
di fatto che il benessere comincia da tavola e questa convinzione, tipica del
pensiero occidentale, resiste sin dai tempi d’Ippocrate, quando il medico era,
guarda caso, innanzitutto un esperto di alimentazione. Se è vero che siamo ciò
che mangiamo, è altresì vero che non solo il nostro corpo – fatto di muscoli,
pelle, ossa, fibre, sangue, cellule, molecole e atomi – è il risultato di
un’alimentazione possibilmente sana. Lo è anche il nostro cuore, appunto,
inteso in senso metaforico e poetico, come la sintesi dello stare bene umorale,
affettivo e sociale. E lo è, a maggior ragione, il nostro cervello, concepito non
solo come marchingegno chimico ed elettrico ma soprattutto come motore pensante
che traduce l’energia in ragionamenti, emozioni, desideri, ricordi e sogni.
Perciò,
oggi, a un concetto di salute essenzialmente organico, focalizzato sulla quantità e la sostanza degli input che
ingeriamo, inspiriamo, assorbiamo e assimiliamo, si aggiunge un concetto più
spirituale, olistico, basato sulla qualità,
sulle virtù nascoste e le proprietà intrinseche di questi input. L’idea di
salute occidentale s’intreccia, così, a quella più tipicamente orientale che
esalta l’armonia tra corpo e ambiente, tra Uomo e Natura, abbracciati in un
continuo scambio in cui nulla viene perso e tutto si rinnova, cresce e si
trasforma, modificando contemporaneamente l’essere umano e ciò di cui esso fa
parte.
Tuttavia,
quella che dovrebbe essere una delle esperienze più semplici e gratificanti
dell’esistenza (insieme all’amore e al sesso!) ovvero mangiare, sembra
comportare sempre maggiori preoccupazioni, dubbi e frustrazioni, anziché puro
godimento. Colpa, forse, anche di un’informazione spesso imprecisa,
contraddittoria e strumentalizzata, che crea confusione e ansia anziché
chiarezza e buonumore.
Personalmente,
da buona vegetariana, mi sento a posto con me stessa, in perfetta forma psicofisica
e in armonia con la Natura. Con questo, però, non voglio sbandierare il
vegetarianismo come filosofia assoluta della sana alimentazione, perché sono
convinta non esistano ricette nutrizionali perfette, totalizzanti e
condivisibili da tutti. Oltretutto, la scienza, compresa quella alimentare, è
in continuo fermento, è come una fiamma che brucia costantemente e nel momento
stesso in cui si accende una miccia a scaldare un’ipotesi, contemporaneamente
scatta altrove un’altra scintilla pronta ad infiammare gli animi, provocando un
incendio ancor più prepotente e contagioso. Credo che nessuna autorità possa
convincere, completamente e a lungo, un individuo o una società della
correttezza di una tesi nutrizionale, poiché la valutazione finale su ciò che è
buono e sano viene dalla profondità della psiche e dagli organi di senso di
ognuno. Tuttavia, abbiamo bisogno di alcuni parametri, di punti di riferimento
che ci indichino il cammino senza rischiare di mandarci fuori strada.
Io
non ho mai saputo porre una distanza tra un tenero vitello che pascola beato
nei prati e una bistecca fumante al sangue nel piatto. Mentre ho sempre subito
il fascino istintivo per la frutta e le verdure raccolte nel mio orto, perché
questo è stato il mio imprinting alimentare. Da qui, le mie predilezioni a
tavola. Certo, oggi quando mi aggiro tra i banchi di frutta e verdura per far
spesa, qualche perplessità sorge spontanea anche a me e orientarmi tra
etichette e indicazioni dei prodotti cosiddetti naturali, a volte mi crea più
imbarazzo che certezze.
Il
linguaggio, in certi casi, anziché semplificare le cose, le complica e accentua
la distanza tra l’oggetto in discussione e la consapevolezza che se ne ha.
Penso che il vocabolario utilizzato per definire la ‘bontà’ dei cibi, oggi, sia
sintomatico di questa nuova concezione olistica della salute. Un cibo oggi è
considerato tanto più salutare quanto più è fresco,
puro, vergine, leggero, antiossidante, vitaminico, disintossicante, depurativo,
energizzante. Tutti attributi impalpabili e invisibili, che riconducono a
benefici concreti intuibili più con la fiducia che con la ragione. Frutta e
ortaggi dovrebbero essere per definizione, quindi, i simboli di
un’alimentazione pulita e trasparente,
che ci fa sentire e stare bene. Però, poi, entrano in gioco altri vocaboli a
complicare la faccenda e a guastare la festa: biologico e transgenico, tanto
per fare due esempi. Parole che incombono come miraggi o come spettri sugli
scaffali affollati dei supermercati, nelle ceste colorate dei mercati e sulle
tavole imbandite delle nostre case e che, anziché orientarci nelle scelte,
spesso illudono o inquietano.
Non
ho la competenza necessaria per dispensare consigli e informazioni certe,
perché io stessa mi dibatto continuamente tra letture spesso contraddittorie.
Però mi informo. E credo sia dovere e responsabilità di tutti noi informarsi
approfonditamente su questi temi, senza innamorarsi di una tesi, di una
filosofia, di una bandiera ideologica ma mantenendosi costantemente recettivi
al confronto e aperti al dialogo, rinunciando a velenose e sterili polemiche.
Anche perché i traguardi delle scoperte scientifiche, anche in campo
alimentare, sono spesso visibili a distanze temporali lunghissime,
imprevedibili nel presente o nell’immediato futuro.
Goethe
disse una volta: “In realtà si sa solo
quando si sa poco. Col sapere, aumenta il dubbio.” E’ tremendamente vero!
Una cosa certa e meravigliosa è, tuttavia, questa: quando la Natura è all’opera
è straordinaria, sia a livello microscopico che macroscopico, sia nel bene che
nel male perché la Natura contiene potenzialmente tutto, senza bisogno
d’artifici e correzioni. Vi siete mai chiesti, per tornare un attimo al mio
amore per i vegetali, perché frutta e verdura hanno in genere colori così
accattivanti? Che voi crediate in Dio, nell’evoluzione o semplicemente al caso,
l’invitante bellezza dei vegetali è uno straordinario esempio della saggezza
della Natura e il nesso tra colore e salute è scientificamente provato. I
colori dei vegetali derivano, infatti, da una varietà di sostanze chimiche, gli
antiossidanti. Le piante esprimono la propria bellezza colorandosi: catturano
l’energia del sole e la trasformano in vita tramite la fotosintesi, che muta
l’energia solare in zuccheri semplici e poi in carboidrati complessi. Il tutto
è azionato dallo scambio di elettroni tra molecole, il che rende il processo di
fotosintesi simile a un reattore nucleare. Gli antiossidanti sono colorati
perché la proprietà chimica che consente di assorbire elettroni crea anche
colori visibili. Così, i carotenoidi appaiono gialli grazie al beta-carotene
(come nella zucca), rossi per il licopene (nei pomodori), arancioni per via
della cripto xantina (nelle arance), e così via. Alcuni antiossidanti sono
incolori, è vero, come l’acido ascorbico, o vitamina C, e la vitamina E, perché
agiscono in parti più nascoste delle piante, parti che devono essere protette
da elettroni capricciosi. L’azione degli antiossidanti, questo è appurato, è
quella di combattere i radicali liberi, responsabili dell’invecchiamento di
ogni organismo. Il problema di noi esseri umani è che non siamo in grado di
produrre scudi naturali per difenderci dai radicali liberi. Non siamo piante,
non siamo in grado di compiere la fotosintesi, perciò non produciamo
antiossidanti. Sono i vegetali a fornirceli, quindi, perché frutta e verdura,
una volta ingerite, agiscono in armonia con il nostro organismo e rilasciano
tutto il bene che contengono, promuovendo un concerto di sostanze salutari
insostituibili.
Per
questo, mi piace pensare che i vegetali appaiano così belli, colorati,
attraenti e sensuali per solleticare piacevolmente tutti i nostri sensi e
rendere non solo più appetitoso ma anche più utile il consumo che ne facciamo.
Per
concludere, è doveroso informarsi e sapersi orientare con spirito critico tra
libri, riviste e siti internet che ci aggiornano vertiginosamente sul mondo
dell’alimentazione, senza lasciarci ingenuamente ipnotizzare e circuire.
Occorrono cautela nel comunicare, prudenza nell’ascoltare ma sempre tanta curiosità
e fame di sapere. Viviamo nel benessere, è vero, ma disinformati rischiamo
anche di soccombere al benessere.
Forse,
dunque, una corretta e onesta informazione potrebbe produrre quel un percento
mancante di felicità di cui parla Schopenhauer nel suo aforisma, all’inizio di
quest’arzigogolato discorso. Di sicuro, il saggio filosofo si sarebbe trovato
d’accordo con un altro grande personaggio vissuto in tempi più recenti, Massimo
Troisi, quando nel film “Ricomincio da tre”, scambia con la compagna d’avventure
queste fulminanti battute:
Lei: “Cosa vuoi che ce ne importi degli altri:
quando c’è l’amore c’è tutto …”
Troisi: “No, chille è ‘a salute!”
Nessun commento:
Posta un commento