Che i
vegetariani abbiano atteggiamenti diversi rispetto ai carnivori e siano più
sensibili verso gli animali, mi sembra possibile.
Una
notizia recente trasforma, tuttavia, questa semplice ipotesi-verità in una
specie di scoop scientifico. Un esperimento neurologico condotto al San
Raffaele di Milano, in collaborazione con le Università di Ginevra e
Maastricht, avrebbe dimostrato che i carnivori sono meno empatici rispetto ai
vegetariani, perché alcune aree del cervello sono attivate in maniera
differente. Sono stati sottoposti a risonanza magnetica funzionale, venti
onnivori, diciannove vegetariani e ventuno vegani, ai quali sono state mostrate
immagini di esseri animali e umani sofferenti. I ricercatori avrebbero rilevato
che "rispetto a soggetti onnivori, i
vegetariani e i vegani presentano una maggiore attivazione di aree del lobo
frontale del cervello associate allo sviluppo e alla percezione di sentimenti
empatici." Non solo. La ricerca avrebbe anche rivelato che "i vegetariani presentano una maggiore
attivazione del cingolo anteriore (cioè, hanno una maggiore attenzione
verso gli stimoli e un maggior controllo delle emozioni), mentre i vegani attivano maggiormente il giro frontale inferiore, (l’area
cerebrale che inibisce le stimolazioni cognitive ed emotive ma anche la
condivisione delle emozioni).
Ora che ho scoperto di avere un magnifico giro frontale
particolarmente sensibile agli altri – umani e non - mi sorgono spontanei
alcuni interrogativi: il cervello di noi vegetariani funziona così in
conseguenza della dieta vegetariana, oppure è la struttura del cervello a
indurci verso questo tipo di alimentazione? Insomma, i famosi neuroni specchio
responsabili dell’empatia sono causa o conseguenza dell’alimentazione? E ancora:
c’è qualche relazione più profonda tra struttura biologica e scelta alimentare?
La
domanda non è peregrina. Infatti, molti studiosi
sostengono che la preferenza per una dieta carnivora, vegetariana o vegana non
dipenda tanto da principi o simpatie, bensì da una base biologica non
modificabile (come invece è il cervello) riconducibile al gruppo sanguigno che,
a sua volta, è legato alla storia dell’evoluzione. Il primo a parlare di
‘teoria del gruppo sanguigno’ fu un naturopata, Peter D’Adamo, negli anni ‘90,
in un libro titolato “Eat right for your
type”. Secondo D’Adamo, ognuno avrebbe un organismo più adatto a digerire e metabolizzare nutrienti
diversi, quindi tutti seguiremmo istintivamente una dieta coerente al gruppo
sanguigno. Le persone con gruppo O storicamente
discendono dai cacciatori, quindi per sentirsi in forze hanno bisogno di
assimilare proteine animali, che forniscono loro il carburante necessario. Le persone con gruppo A (A come Agricoltura)
discendono dai primi antenati sedentari, gli agricoltori. Hanno un metabolismo
lento e per questo mal digeriscono la carne, il latte e tutto ciò che è ricco
di grassi saturi, che rubano energie, appesantiscono e causano difficoltà di
concentrazione. E’ naturale, quindi, che la loro dieta prediletta sia quella
vegetariana. Le persone con gruppo B
discendono invece dai nomadi, gli abitanti della steppa. Hanno un apparato
digerente molto forte, che tollera bene sia latticini sia i vegetali ma anche
la carne, eccetto quella di pollo. Infine, le persone con gruppo AB discendono dai caucasici e dai mongoli.
Queste persone sono le più elastiche nella scelta alimentare e tollerano
normalmente un'alimentazione onnivora, risultato di un’armoniosa alleanza tra i
gruppi A e B.
Tra tante
suggestive teorie, alcune dal sapore vagamente lombrosiano, mi sembra che in
fine emerga una sola indiscutibile verità: ognuno di noi è ‘unico’, con il suo
cervello e il suo gruppo sanguigno. Se il secondo è un destino, il primo è una
straordinaria opportunità perfettibile, attraverso la cultura, l’allenamento ma
anche attraverso una sana alimentazione che nel corso di tutta un vita varia e
si modifica, proprio come il cervello. Quindi, ognuno può trovare, senza
forzature né esasperazioni, l’equilibrio alimentare che lo faccia stare bene
nel corpo, nel cuore e nella mente, possibilmente in armonioso rispetto degli
altri, animali compresi. Questa piccola grande verità non farà mai sentire un
carnivoro colpevole d’essere un individuo crudele e insensibile, né illudere un
vegetariano di poter diventare un asceta o un francescano.
Dobbiamo comunque
ammettere che l’Homo Sapiens-Sapiens è diventato onnivoro, lasciandosi alle
spalle frugivori ed erbivori. Si è nutrito, cioè, allo stesso tempo di carni e
di prodotti spontanei della terra per migliaia e migliaia di anni,
privilegiando l’una o l’altra scelta a seconda di quello che era nella sua
disponibilità del momento. La scelta di eleggere o escludere una delle
soluzioni è avvenuta quindi più recentemente, in tempi cosiddetti storici, per
motivi esclusivamente culturali e dalle considerazioni morali, etiche o
salutistiche. Scelte, tra l’altro, avvenute, perlopiù, nella maturità delle
persone. Si sa che Empedocle, Pitagora, Plutarco, Voltaire, Show, Tolstoj e
Einstein sono stati dichiaratamente vegetariani ma siamo altrettanto certi che
da bambini e in gioventù costoro non abbiano mangiato il corrispettivo di
quelle che oggi chiamiamo una bella bistecca al sangue o una saporita cotoletta
d’abbacchio? Io stessa, che sono vegetariana dall’età di quindici anni (sarà
per via del mio gruppo sanguigno?), ricordo benissimo quanto amassi da bambina
la cotoletta alla milanese o il fegato alla veneziana. Insomma, nessuno
potrebbe legittimamente affermare che le opere, le scoperte e i comportamenti
di questi illustri personaggi siano tutti dovuti esclusivamente ad intelligenze
nutrite soltanto a pane, cavolfiori, mele, olive e pomodori.
Allo stesso
tempo, pur accettando la teoria scientifica di una maggiore empatia verso gli
animali da parte dei vegetariani rispetto ai carnivori, non ci sorprenderebbe
scoprire efferate crudeltà di pensiero e d’azione in persone rigorosamente
vegetariane e, al contrario, pensieri nobili ed elevati in persone fondamentalmente
carnivore. Per eccesso, qualcuno afferma, per esempio, che Hitler fosse un
vegetariano, mentre Gesù un onnivoro. In realtà, nessuna di queste due
affermazioni è provata. Hitler fu costretto dal suo medico a modificare la sua
dieta rinunciando in buona parte alla carne anche condizionato dall’uso crescente
di quelle che oggi chiameremmo anfetamine; e di Gesù si sa praticamente poco o nulla
in proposito, a parte la faccenda dei pesci e delle nozze di Cana.
Questa esasperata
contrapposizione è molto efficace per sottolineare il fatto che l’uomo resta un
‘animale’ ancora non del tutto
noto a se stesso. Siamo esseri complessi, fatti di carne, di ossa, di materiale
pensante ma anche di funzioni ancora misteriose e inesprimibili. Parliamo di
anima, di spirito, di conscio, di subconscio, di sconosciute empatie, di suggestioni,
coincidenze e preveggenze. Forse il vero limite dell’uomo è proprio questo: il
fatto che un giorno egli potrà pure scoprire la formula che spiega tutto l’Universo
ma non mi stupirebbe se non sarà mai in grado di capire del tutto se stesso.
Come scriveva dell’uomo, Hans Magnum Enzensberger nella sua opera “Gli elisir della scienza”, in elogio
dei due teoremi di Gödel sulla incompiutezza
delle teorie matematiche: “Puoi
descrivere la tua lingua / nella tua propria lingua / in parte ma non completamente
/ Puoi analizzare il tuo cervello / col tuo stesso cervello / ma non del tutto …”
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